Qui custodiet ipsos custodes?
Premessa.
Da https://www.injob.com/it/it/career‐plan/diventare‐quality‐manager:
Tutte le qualità del quality manager (gestore della qualità):
Il Quality Manager è una persona pragmatica, in grado di definire obiettivi raggiungibili. Scrupolosa, per controllare che questi vengano rispettati giorno per giorno. Aperta al confronto, perché deve dialogare con tanti diversi dipartimenti aziendali.
Il mio primo 'quality manager'.
Incontro n.1.
Tom, il project manager, il penultimo giorno del progetto mi (ci) scrive di aspettare a scrivere il 'Rapporto fine attività' perché sta per fornirci un nuovo modello da utilizzare per scrivere il documento.
Mi reco da Max, il quality manager, e gli dico: <<Max, vedi che le attività si sono tutte concluse con successo il giorno stabilito. Domani non memorizzo nell'archivio di progetto il rapporto perché Tom ci ha detto di aspettare: dobbiamo utilizzare un nuovo modello da compilare che ci fornirà tra un paio di giorni. Max, mi raccomando, tutte le attività eseguite con successo entro il giorno stabilito.>> (Esplicito: 100% executed, 100% successful, 100% delivery precision).
<<Sì, sì, sì>>, fa Max.
<<Max, mi raccomando>>.
<<Sì, sì, sì>>.
Due giorni dopo Tom invia il modello, scrivo il rapporto e lo memorizzo in archivio.
Qualche giorno dopo esce il 'Rapporto qualità' compilato da Max. Vi trovo scritto "Delivery precision: 98%" (o un altro numero, comunque non il 100%), faccio i calcoli e quei numeri in meno corrispondono proprio ai due giorni di 'ritardo' di consegna del mio rapporto.
Vado da Max e gli dico: <<Max, scusa, ma cosa è quel ritardo che hai relazionato!?! Ero venuta a dirti che le attività si erano concluse con successo etc.>>.
Max allarga le braccia e si stringe nelle spalle, fa l'espressione inconsapevole ed emette un <<Eeeh>>.
Mi chiesi se dietro quella facciata di impeccabilità e squisito formalismo non fosse un po’ stolido.
Magari la domanda che avrebbe dovuto sorgere spontanea era: ‘Ma ci è o ci fa?’.
Incontro n. 2.
Un errore trovato in fase di progettazione costa 10, un errore trovato in fase di esecuzione costa 100, un errore trovato in fase di verifica costa 1000, etc
Dobbiamo trovare gli errori il prima possibile: chi si occupa della verifica parteciperà all'ispezione dei documenti di progetto.
Bene.
Mi occupo di verifica e vado all'ispezione dei documenti di progetto.
Segnalo vari errori. Ne prendono nota e correggeranno il documento. Tranne di uno: "Ah, ma questo è responsabilità dell'altro comitato!", mi fanno.
"Va bene", replico, "Amedeo, il responsabile dell'altro comitato, siede nella stanza affianco: comunicateglielo.", dico al responsabile del presente comitato."
Due, tre mesi dopo è il momento di verificare il prodotto implementato. Non trovo gli errori che avevo già segnalato, tranne uno: quello che avrebbe dovuto correggere l'altra linea di prodotto. Scrivo ed invio, come da prassi, il 'rapporto d'errore'.
Meglio così. Max, il quality manager, stima la bontà dell'attività di verifica sulla base del numero dei 'rapporti d'errore'.
Sono andata spesso a parlargli: <<Max, se tu valuti la qualità del mio lavoro sulla base del numero dei 'rapporti d'errore' che scrivo al momento della verifica, io non sono motivata a segnalare gli errori quando vado all'ispezione dei documenti di progetto. Sai cosa faccio? Vado all'ispezione, vedo che ci sono degli errori e non li segnalo. Li segnalerò quando farò la verifica così scriverò tanti 'rapporti d'errore' e tu relazionerai che sono stata brava.>>
<<Ah, non devi fare così!>>, replica Max.
<<E mi dici perché non devo fare così? Che motivazione mi dai?>>
Ma naturalmente sono sempre stata stupida e quando ho rilevato un errore nel documento di progetto l'ho sempre segnalato.
Incontro n.3.
“Dobbiamo entrare nella telefonia mobile. Se non entriamo nella telefonia mobile non sopravviviamo.”.
Queste erano le frasi che sentivo dire in azienda.
OK. C’è un progetto con il quale abbiamo un primo contatto con il mondo della telefonia mobile.
“Dobbiamo lavorare bene. Dobbiamo fare bella figura. Dobbiamo presentarci bene, se non entriamo nella telefonia mobile”.
Il capo mi chiama e mi chiede se voglio occuparmi della pianificazione e controllo dell’esecuzione dell’ultima fase del progetto. Mi sembra una cosa importante ed accetto, anche se sento puzza di bruciato. La pianificazione era già stata iniziata da un mio collega che lascia. Perché?
OK. Controllo la sua pianificazione, vi trovo un paio di errori e li correggo.
Inoltre non sono d’accordo con l’avere prenotato tre centrali di prova, due secondo me sono sufficienti. “Oramai le abbiamo prenotate e dobbiamo utilizzarle”, mi fa il capo. Va bene. Sarò costretta ad arrampicarmi sugli specchi per giustificare l’invio di due miei colleghi e di un collega greco ad eseguire le verifiche su una centrale a 2000 km di distanza.
Squilla il telefono sulla mia scrivania. Il mio telefono non ha il display che mostra il numero del chiamante. Rispondo. Una voce in inglese si presenta e si dice preoccupato e meravigliato che io non stia per andare alla riunione in Germania di tutti i responsabili della fase di verifica. “Daniel”, lo rassicuro, “non ero stata informata. Verrò sicuramente”.
Nessuno mi aveva parlato di Daniel. Mi avevano detto che dovevo fare riferimento a Stephen che supervisionava la fase di verifica del nucleo (core, in inglese) della telefonia mobile.
Telefono a Stephen che mi conferma la riunione e precisa che un primo giorno ci saremmo incontrati con tutti i responsabili della fase di verifica ed il giorno dopo ci sarebbe stata una riunione più in piccolo dove ci saremmo incontrati solo i responsabili afferenti al ‘nucleo’ e lì avrei relazionato anch’io.
E così ci ritroviamo almeno una ventina di persone sedute intorno ad un tavolo ovale ad anello.
A turno, tanti presentano le attività che andranno ad eseguire. All’improvviso, “out of the blue” direbbero gli inglesi, si sente la voce di Daniel che con un inaspettato tono di sfida fa: “E Lidia non presenta niente?”. Un sentimento di imbarazzo e curiosa attesa serpeggia intorno al tavolo. Guardo Daniel tranquilla, ma non replico. Aspetto. Stephen emette un colpo di tosse imbarazzato e spiega che io, come gli altri afferenti al ‘core’, avrei relazionato il giorno dopo in quella riunione ristretta.
“Ah”, fa Daniel, “dopo la riunione vorrei incontrarvi”.
E così il giorno dopo ci ritroviamo intorno ad un piccolo tavolo Stephen, Daniel, un assistente di Daniel ed io.
Daniel col tono di chi sta per sparare un proiettile che andrà a segno, spara: “Nella vostra pianificazione avete mancato di inserire questa funzione”.
Era uno degli errori che avevo rilevato nella pianificazione del collega che mi aveva preceduto.
Il proiettile sta viaggiando verso me. Rispondo: “E’ vero. Nella pianificazione precedente mancava. Ora nell’ultima revisione del documento, memorizzata nella libreria di progetto, l’ho inserita.”
Il proiettile fa flop davanti a me senza raggiungermi.
Daniel fa la faccia di chi vede cadere inesplosa la prima granata che ha lanciato.
Un po’ meno convinto, ma senza perdersi d’animo, spara il suo secondo colpo.
Replico anche su quello ed anche il secondo proiettile fa flop davanti a me.
L’incontro si conclude. Germania 0 – Italia 2.
Rientro in ufficio direttamente dall’aeroporto venerdì pomeriggio. Il mio capo è partito poche ore prima per le ferie estive. E quando torna diciotto giorni dopo non ha alcun interesse ad ascoltare la mia relazione sulla riunione in Germania.
Due mesi e mezzo dopo, quando abbiamo iniziato già la fase di esecuzione arriverà nella nostra sede colui che da lì a meno di dieci anni sarebbe diventato il Chief Executive Officer dell’azienda, ma nemmeno lui ebbe voglia di ascoltarmi.
Perché Daniel ce l’aveva con me? Certo non con me personalmente, ma con la sede che rappresentavo. Nella mia ingenuità, per un bel po’ ho pensato che il suo amor proprio era stato offeso in quanto era stato ordinato che io riferissi a Stephen e non a lui. Tecnicamente sarebbe stato più corretto che io facessi riferimento direttamente a Daniel, ma compresi che la scelta era stata strategica e non tecnica in quanto puntavamo a mettere piede nel ‘core’ della telefonia mobile.
Solo di recente ho riflettuto che il motivo era proprio questo: a Daniel, ed a molti altri, non andava giù che la nostra sede mettesse piede nella telefonia mobile e voleva approfittare dell’occasione per dimostrare che non eravamo affidabili.
Tentativo che, in quella sede, gli era fallito.
OK. Un mese e mezzo dopo arriva la data stabilita per l’inizio della fase di esecuzione della verifica del prodotto.
Illusi. Il prodotto (non nella parte di nostra responsabilità che era marginale) viene consegnato in uno stato così miserevole che viene rispedito direttamente al mittente, ossia ai progettisti che devono rimetterci mano.
Inizia la fase per me più concitata. Sì, perché i progettisti possono permettersi di consegnare il loro prodotto in ritardo, ma questo lusso non è concesso a chi si occupa della verifica che è l’ultima fase del progetto e deve terminare nella data stabilita.
Cominciai subito a darmi da fare.
Prima di tutto bloccai la partenza dei miei due giovani colleghi per la Germania.
Senza prodotto da verificare che dovevo fare? mandarli lì a fare i turisti a spese dell’azienda?
Sarebbe stato meglio che l’avessi fatto. Avevo anche pensato di farne partire solo uno per limitare lo spreco. All’inizio non sapevamo di quanto sarebbe stato il ritardo. Avrei potuto mandare solo un collega che avrebbe potuto iniziare a lavorare se la situazione si fosse sbloccata. Ma mi comportai da madre eccessivamente ansiosa. I miei due giovani colleghi, un ragazzo ed una ragazza, erano alla loro prima missione all’estero ed io, ingenuamente, pensavo sarebbero stati più tranquilli se fossero andati insieme. E così i due si andarono a lamentare con il nostro capo che non sapevano quando dovevano partire.
Nel frattempo non me ne stetti con le mani in mano.
La parte di prodotto che era completamente sballata era quella che aveva interazioni con l’hardware.
Isolata la parte di prodotto ‘puramente’ software, feci iniziare la verifica almeno su quella parte.
Passano tre settimane. Il prodotto viene consegnato di nuovo, stavolta almeno funzionante nelle sue parti di base.
OK. Andate voi tre (i miei colleghi della stessa sede ed il giovane collega greco) in Germania con la nostra benedizione ed intanto noialtri ci diamo da fare qui.
Ma tre settimane sono tre settimane e devo organizzare doppi turni per un po’. Doppi turni ai quali il collega italiano rimasto in sede ed i colleghi cinesi arrivati da noi si prestano di buon grado. E con qualche disagio. Il mio collega cinese rimane giustamente perplesso che alle otto di sera non possiamo ordinare delle pizze da far portare in sede.
Va bene. Arriviamo alle ultime due settimane. Abbiamo recuperato il ritardo e stiamo finalmente lavorando di nuovo su ritmi normali.
Alle 18:00 di un giorno di metà settimana spengo il Personal Computer, mi alzo e mi giro per andare incontro al collega con il quale ho finalmente potuto ricominciare a viaggiare che mi sta aspettando e mi vengono incontro Enzo, il project manager, e Max, il quality manager.
Mi devono parlare. Ci sediamo. Inizia Enzo: “Si dice che il progetto non sta andando bene perché c’è qualcuno del gruppo di verifica che non si sta impegnando …”, intanto Max annuisce.
Come dice la pubblicità di quella merendina? “Non ci vedo più dalla fame”?
Mi sa che non ci vedi più dall’esasperazione. E partii con una veemente difesa dei ‘miei ragazzi’.
Dopo di che raggiunsi il collega che mi stava ancora aspettando e che aveva assistito alla scena e mi scusai per la mia eccessiva veemenza. “Lidia”, commentò, “eri una leonessa che difende i suoi cuccioli”.
Quante volte ho pensato: “Ma perché non ho tirato un bel respiro profondo e non ho chiesto con calma: <<Chi 'dice'? E su quali basi fonda queste affermazioni?>>”.
Ma in seguito, anche nella vita privata, mi sarei rovinata nello stesso modo. Fino a quando toccano me transeat, ma quando toccano qualcuno che considero sotto la mia protezione dopo un po’ esplodo. E, naturalmente, peggioro le cose.
Comunque continuiamo a lavorare bene. Arriva la fine del progetto. Successo. Festeggiamo con una allegra cena di fine progetto per salutarci.
E dopo quindici giorni vado dal mio capo a chiedere per quale motivo non avevo avuto lo ‘scatto’ previsto dall’iter standard nella mia fase di anzianità di servizio.
Lo ‘scatto’ tanto caro a Totò e Peppino in “Chi si ferma è perduto”.
“Perché non ti sei sacrificata abbastanza”, fu la risposta.
In quel momento non pensai agli errori della pianificazione del mio collega che avevo dovuto correggere. Non pensai a come avevo tenuto testa a Daniel che aveva l’aspetto e la stazza di un sergente nazista (scusa Daniel, ma era così, per cortesia non mi mettere allo stesso piano di Silvio con Shultz). Non pensai a come avevo dovuto sforzarmi a presentare in maniera accettabile al collega greco il fatto che dei suoi cinque ragazzi, invece di stare tutti da noi, uno doveva andare in Germania. Non pensai a tutto quello che avevo dovuto inventarmi per riuscire a rispettare la scadenza nonostante le tre settimane di ritardo della fase precedente. Non pensai a tutte le volte che avevo fatto le 21:30 in ufficio per aiutare la squadra a risolvere i problemi tecnici, per poi lavorare a casa fino alle 23:30 per preparare la scaletta degli argomenti da discutere alla riunione telefonica del giorno dopo con i colleghi stranieri o per preparare le slide da presentare il giorno dopo ai capi norvegesi in visita.
Pensai ai sacrifici che avevano fatto i miei genitori.
A quando in estate si erano preoccupati perché alle 21:30 non ero ancora arrivata alla casa al mare (da 60 km di distanza), non potendo avvertirli in quanto i telefonini non prendevano.
A quando scesi in garage e trovai rotto il motorino d’avviamento dell’auto e mi feci accompagnare da mio padre al lavoro perché quella mattina c’era un’altra riunione con i capi norvegesi ed io non sapevo guidare l’auto di mio padre. E fu quella volta che mi resi conto per la prima volta che non dovevo chiederglielo più.
Quattro anni prima mio padre mi aveva accompagnato lui il primo giorno di lavoro, dato che io, pur avendo la patente, non guidavo.
Per la prima volta realizzai che mio padre, 72 anni, si stancò.
E fu così che esplosi di nuovo.
“Non ti sei sacrificata abbastanza”.
In seguito riferii queste parole ad una mia compagna del corso di specializzazione in telecomunicazioni.
Commentò: <<E tu non gli hai risposto: “Fatemi vedere dov’è l’altare del sacrificio, così mi immolo”.?>>.
Il mio fidanzato invece commentò: <<E tu non lo hai informato che tu vai lì per lavorare e non per sacrificarti?>>.
Di nuovo, solo di recente, ho riflettuto che quel “Qualcuno del gruppo di verifica non si sta impegnando”, era riferito proprio a me. Ero io quel qualcuno del gruppo di verifica che non si stava impegnando. Avevo sempre pensato che una lamentela fosse giunta dal project manager, ma mi sa che il quality manager non era estraneo.
Per permettere al collega greco, che gestiva il gruppo più numeroso e che doveva ‘sacrificare’ uno dei suoi ragazzi mandandolo in Germania, di apportare modifiche fino all’ultimo per la parte di esecuzione di sua competenza, avevo commesso un’altra ingenuità.
Anche se il documento di pianificazione era pronto alla ‘milestone’ stabilita da processo, avevo ‘congelato’ la revisione del documento solo prima che iniziasse la fase di esecuzione, precisando che la pianificazione delle fasi precedenti non era modificabile.
Questioni che controllava il quality manager. Ed il ‘tailoring’ (adattamento) del processo, documentato dalle ‘excemption request’ (richieste di eccezione)?
Mi sa che il quality manager, senza venire a chiedermi spiegazioni, aveva riferito al project manager che era andato a lamentarsi dal mio capo che io ci avevo messo “tanto tempo per scrivere il documento di pianificazione”. Frase che, di nuovo “out of the blue”, avevo sentito dire dal mio capo quando il documento di pianificazione era bello che ‘congelato’ da oltre due mesi.
Il quality manager.
La scorsa estate ho ripensato a questo episodio.
Il quality manager.
Era rigido, era fiscale o ce l’aveva con me?
Un anno prima dell’episodio 1, in luglio ci eravamo ritrovati in tre ad uscire dalla mensa a fine orario. E, non so come, Max aveva letto l’importo scritto sulla lettera che mi comunicava qual era l’ammontare del mio premio produzione, la futura quattordicesima. Ed era sbottato scandalizzato: “Non è possibile che Lidia Lauda abbia avuto un premio più alto del mio! Non è possibile!”.
Non è possibile.
[P.S. In seguito le cose furono messe a posto, anche con un aumento che non era nell'iter ‘standard’. Avrei potuto metterci una pietra sopra.]