Quotidiana follia

Roma. Ore 07:10. Il suono della sveglia del cellulare mi butta giù dal letto; la tecnica di posizionare il cellulare lontano da me per costringermi ad alzarmi funziona sempre e mi permette di evitare di chiudere la sveglia mentre sono semidormiente e semisveglio, cosa che talvolta è accaduta.
Mi alzo, vado a lavarmi e mi preparo una buona colazione.
Sono fresco e riposato, pronto a cominciare questo nuovo giorno.
Esco di casa per andare a lavoro.
Percorro i soliti trecento metri per arrivare alla fermata del tram di Largo Telese, sulla Prenestina.
Sono le 07:53, devo essere in ufficio per le 09:00, un’ora dovrebbe avanzarmi per arrivare all’altezza di Piazza Navona, dove lavoro.
Per fortuna il tempo è ottimo, fa molto caldo ed a Giugno è più che normale, c’è un bel sole che illumina una città che si prepara a vivere un altro giorno della sua storia lunga e gloriosa.
Giunto alla fermata, vedo molta gente sulla banchina, quasi tutti con il viso rivolto verso un tram che pare lontano all’orizzonte.
Mi avvicino, noto che si vocifera, dunque mi decido a chiedere informazioni.
“Mi scusi, è molto che aspetta ?”
“Guardi – mi dice con un sorriso misto di consolazione e sarcasmo – ero un giovanotto quando giunsi a questa fermata, ora ho 56 anni.”
Accolgo con un sorriso l’ironia, ma anziché assecondarlo con un’altra battuta che inevitabilmente genererebbe una discussione polemica sul servizio pubblico, non volendo perdere tempo per non fare tardi a lavoro, ribatto con una domanda seria.
“Ma sa se è successo qualche cosa ?“
“Non si sa nulla, sono passati una decina di tram dall’altra parte, ma da qui sarà almeno mezz’ora che non passa nulla.”
“Ok, la ringrazio.”
Cominciamo ad essere troppi alla fermata, molti hanno cominciato a fumare e di conseguenza anche io, pur non essendo un fumatore, attivo si intende, perché come fumatore passivo sono un veterano.
Quando il mormorio comincia a salire, ecco finalmente intravedersi in lontananza un mezzo che somiglia a un tram, diretto proprio nella nostra direzione. Gli animi lentamente si placano, ma comincia uno strano movimento.
Come nelle migliori strategie del gioco degli scacchi, ogni persona si sceglie una posizione strategica.
Il tram arriva, ma è già stracolmo, vedo delle facce spiaccicate sui finestrini, scompare quasi subito l’illusione di alcuni di trovare posto a sedere, è già tanto se riusciremo a trovare posto per viaggiare, qualcuno probabilmente dovrà restare fuori, aspettando un’altra chance o rinunciando prendendosi un giorno di ferie.
Le porte del tram si aprono a fatica, ma si aprono, c’è qualcuno che scende, non si sa se perché sia giunto alla propria destinazione o per motivi di salute, giunta anch’essa al capolinea.
Il problema ora è che chi volesse scendere non può neanche esercitare tale facoltà poiché non appena è avvenuta l’apertura delle porte, i passeggeri in attesa sulla banchina si iniziano il loro lancio tipo kamikaze. C’è qualche scambio sereno di battute tra chi sale e chi scende, ma il clima è ancora accettabile.
Passano circa cinque o sei minuti di contrattazioni, alla fine quasi tutti siamo riusciti ad entrare nel tram, ma dobbiamo ringraziare il metodo “Tetris” per esserci riusciti.
Il metodo “Tetris” funziona così.
Ogni persona si spinge con forza, nonostante non vi sia apparentemente spazio sufficiente, fino ad entrare per incastro tra una o due persone, l’utilizzo di olio sulle braccia può facilitare tale inserimento. È importante inoltre avere una certa malleabilità e flessibilità, oltre a scegliere di volta in volta il verso corretto per introdursi. Una volta che la persona si è incastrata tra due o più persone, non avrà nemmeno bisogno di reggersi agli appositi sostegni, poiché resterà in piedi qualsiasi cosa accada, anche se dovesse avere un infarto.
Sono le 8:08, finalmente ci muoviamo da Largo Telese, destinazione finale, per me, Stazione Termini, ovvero il capolinea.
L’aria non è molta, siamo davvero tanti, qualcuno più fortunato è alto oltre il metro e ottanta quindi riesce a sfruttare quel minimo di circolazione di ossigeno, ma non oso immaginare come si sta ad un metro e sessanta centimetri.
Ogni fermata sembra una stazione della Via Crucis, ognuno vive la propria passione personale ed ognuno la viva in maniera distinta. C’è chi si arrabbia, chi tace, chi sbuffa, chi mormora, chi fa battute, chi ha gli occhi chiusi, chi dorme, chi è svenuto.
Fortunatamente ci sono anche le distrazioni che aiutano a portare la croce.
Alcune delle possibilità sono:
‐ ascoltare le storie di vita che si raccontano i due vicini accanto
‐ se lo spazio lo permette, leggere le notizie sul giornale o un libro
‐ ascoltare in cuffia un po’ di musica

Può capitare anche di fare due chiacchiere con qualcuno, il che è quasi sempre piacevole.
Il viaggio prosegue molto lentamente perché ad ogni stazione devono ripetersi tutte le operazioni di incastro e disincastro.
La domanda che si sente più spesso in questi casi è: “Scende alla prossima?” , ed è una domanda carica di speranza, speranza che l’altro risponda “Si”.
Mentre il viaggio prosegue, avverto un certo disagio e una delle prima goccia di sudore in fronte mi suggerisce una questione profonda.
“Come mai, pur essendoci almeno 28° gradi ed usufruendo del tanto calore umano a disposizione, tutti i finestrini sono chiusi ?
Possibile che nessuno abbia caldo ?
Possibile che nessuno cominci ad avvertire questo pesantissimo odore di aria viziata ? Possibile che nessuno si accorga che non c’è l’aria condizionata ?”
Da notare che quando capita di avere in funzione l’aria condizionata, i finestrini sono miracolosamente e stupidamente tutti aperti; paradossi della vita che sempre stenterò a capire.
Intanto giungiamo ad un’altra fermata. In teoria dovremmo essere al completo e non potremmo contenere altre persone, eppure le persone che in sosta alla fermata urlano:”Andate al centro! Al centro c’è tanto spazio!” ed è a questo punto che si accende un piccolo caos, poiché da una parte le persone che sono sul tram non accennano a spostarsi, e hanno pure ragione poverini, difficile biasimarli, d’altra parte peraltro coloro che si trovano alla fermata hanno tutto il diritto di viaggiare con i mezzi per i quali pagano biglietto o abbonamento. Dunque, la diatriba è aperta: “E’ giusto che chi sta già sul mezzo possa viaggiare e chi invece si trova alla fermata debba aspettare il mezzo successivo, facendo così tardi e per di più col rischio che anche il successivo sia pieno, dovendo quindi sopportare la medesima pena ?”
Come si risolve la cosa ? Molto praticamente, attraverso il metodo “UNZIP”.
Questo metodo consiste nel aumentare la capienza del bus o del tram attraverso la compressione delle persone. Si attua dando forti spinte e facendo pressione sulle persone che automaticamente si appiccicano l’un l’altra diventando, come le prime comunità cristiane dopo Cristo, “un cuor solo e un’anima sola”. In questo caso si arriva a condividere anche il cervello, le braccia, tutto tranne borse e portafogli, gelosamente custoditi e supervisionati da sguardi polizieschi.
A questo punto un ragazzo esclama: “Evidentemente oggi è il giorno della memoria, ricordiamo l’Olocausto”.
Un signore casca in pieno nella battuta, e non comprendendola risponde seriamente:”Davvero? Perché?”
E il ragazzo: “Viaggiamo stretti come gli Ebrei… non vede?”
Beh, con l’assist servito, la battuta non poteva che riuscire, probabilmente è anche un po’ eccessiva, però comprensibile vista la situazione critica a cui siamo sottoposti; dopotutto, il fisico e la psiche sono messi davvero a dura prova.
Intanto un altro ragazzo, rivolgendosi a una ragazza, dice: “Una volta una mia amica è salita su un tram normale ed è scesa incinta.”
Le battute si sprecano, forse si cerca di distrarsi per ammazzare il tempo che sembra essere rallentato dal caldo o forse dall’autista che va a passo d’uomo nonostante la corsia preferenziale. Sta riuscendo a prendere tutti i semafori rossi, quando è verde rallenta e aspetta il giallo, e quando scatta il giallo si ferma e aspetta il rosso. Secondo me se li prende tutti rossi da capolinea a capolinea vince un premio, altrimenti non si spiega questo fatto.
Comincia a mancare l’aria, siamo troppi e troppo stretti. Qualcuno scende per la disperazione.
Siamo così stretti che è facile fidanzarsi, infatti la vicinanza con una ragazza talvolta è tale che nemmeno con la propria fidanzata si è stati così vicini.
Sembra un film di fantascienza, “2007 – Odissea nel tram”.
Cerco di non pensare che giunto a Termini, dovrò prendere un altro autobus e continuare la Via Crucis.
Sono le 08:35 e siamo a Porta Maggiore.
Molta gente scende, ma che succede ? Chiedo a una signora:
“Mi scusi, che succede adesso ?”
“Eh… ogni giorno una nuova, si è rotto il tram… dobbiamo scendere e aspettare il successivo.”
Incredibile. Sconforto. E il ritardo cresce. Scendo tra il mormorio generale.
Fortunatamente il tram seguente arriva quasi subito, ma sfortunatamente è stracolmo di tutte quelle persone che non riuscirono a salire in precedenza.
Nemmeno il miglior Dante poteva immaginare un contrappasso di tale portata.
Adesso noi che siamo giù osserviamo i volti soddisfatti di quelli che sono sul tram e che sorridendo sotto i baffi stanno consumano la loro vendetta.
“In quale girone dell’inferno mi trovo oggi ?” , penso tra me e me.
E mi rispondo anche.
“Il girone dei pendolari a Roma, uno dei peggiori, dove solo i più pazienti e tolleranti sopravvivono… ma chissà per quanto…”
Qualcuno cerca di usare il metodo UNZIP per salire, ma io ci rinuncio, sono troppo stanco e già troppo in ritardo, preferisco arrivare in salute all’ufficio.
Dopo altri cinque minuti giunge un altro mezzo, stavolta c’è spazio, posso riprendere il mio cammino verso la santità.
Non manca molto verso la destinazione tanto ambita, comincio a sentirmi meglio a tale pensiero. Intanto mi godo alcune scene grottesche, di quelle che capitano praticamente tutti i giorni.
Ci sono, infatti, quelli che si piazzano davanti le porte e lì sostano, come se dovessero scendere da un momento all’altro, ma in realtà devono giungere al capolinea; così facendo si beccano ogni due minuti l’insulto da parte del soggetto di turno che deve scendere e si era messo in fila supponendo che colui che gli stava davanti avesse buon senso, e non ponendo la mitica domanda:”Scende alla prossima ?”.
Guai a non fare questa semplice domanda.
Affidarsi alle supposizioni può risultare comodo ma è molto pericoloso oggi giorno, visto che il buon senso non esiste ormai più e siamo nel regno dell’assurdo.
Fermata. Succede quello che temevo accadesse.
Le porte si aprono. Molte persone devono scendere, ma il tizio in sosta (vietata) che sta in prima fila non si muove e blocca tutti.
“Allora si muove ?”
“Perché si mette davanti alle porte se non deve scendere ?”
“Mi fa passare per cortesia!”
“Si sposti!”
Dopo un po’, questo piccolo putiferio si placa, si ripeterà comunque alla fermata successiva se quel genio non si sposterà da lì.
Poi ci sono quelli che stanno seduti e si ricordano solo all’ultimissimo minuto che debbono scendere.
La scena è questa.
Il tram arriva alla fermata, si aprono le porte, la gente scende.
Il tizio è ancora seduto. Le porte cominciano a chiudersi. Improvvisamente lo stesso si ricorda che forse deve scendere, si alza di scatto e, sgomitando e divincolandosi come può, comincia a chiedere:”Permesso! Permesso! Scusate….devo scendere!! Mi scusi, autista, può aprire ??”.
Ora, a questo punto le sorti sono nelle mani del conducente, tutto dipende dalla sua misericordia.
Sulla base delle ultime statistiche, nel 93% dei casi l’autista fa finta di nulla, chiude le porte e prosegue il suo viaggio.
Ripartiamo.
Sono le 08:48. Piazza Vittorio Emanuele.
Qui molta gente scende e finalmente si può tornare a respirare e a riprendere l’uso degli arti superiori e inferiori.
Ormai manca poco alla Stazione Termini, da lì prenderò un altro autobus, o due se il 70 non passerà, e giungerò in ritardo all’ufficio, ma almeno arriverò, di questi tempi e con questi mezzi è già qualcosa.
Ore 09:13.
Sono arrivato.
Stanco e sudato.
Roma. Ore 07:10. Il suono della sveglia del cellulare mi butta giù dal letto.
“Azz… ma allora era un incubo ?” – mi chiedo.
Già… doveva essere proprio un brutto sogno, perché la realtà non è questa, per fortuna.
Altrimenti, sai che vita, ogni giorno una giornata in quel modo.
Ogni giorno, vivere una quotidiana follia.