Raccontarti è stato inventare un amore alla volta
Ho parlato di noi, con la stessa malinconia di chi ha perso l’ultimo viaggio per il mare, la sua mezzanotte da fiaba scoccata troppo presto perché resti più di un ricordo, che di tanto in tanto, amo apparecchiare nei banchetti solitari con me stessa, come si sistemano certe candele a centro tavola, sperando che il buio clemente non le inghiottisca.
E’ una fiamma così ingannevole quella della memoria. Riscalda per quel poco che il pensiero l’alimenta, poi si estingue in un frullare di tante piccole lucciole disperse nella malattia del tempo, nella fissità delle giornate che mi hanno portata immancabilmente lontana. Irraggiungibile dai più e da te. Raccontarti è stato come inventare un amore alla volta, un personaggio alla volta, potendo io plasmarti a mio piacimento solo dall’assenza che hai lasciato su questo palcoscenico, costruito a misura d’eroina senza alcun cavaliere intrepido a freddare notti ostili a colpi di spada.
Ma che puoi saperne tu delle mille volte che ti ho abbandonato, ucciso, pianto e riabbracciato. O delle infinite volte che mi hai abbandonata, uccisa, piegata al pianto e di nuovo abbandonata.
Due amanti distanti vivono delle percezioni che sono soliti cogliere tra una partenza e l’altra, un richiamo muto e l’altro. Il gelo delle sere d’inverno simili a questa li sconforta e riunisce, perché nei loro intenti cresce il desiderio di carezze mancanti sulla pelle, la “buonanotte” sussurrata stretti nell’attesa dei sogni o il respiro che si accende in un angolo del letto mentre si cercano.
Sono debole, fragile come una foglia che si sgretola lenta sull’asfalto. Incompiuta, come la luna al suo mezzo giro, quando mostra una parte di sé alle stelle e nasconde l’altra dietro un sipario d’ombra che la riavvolge.
Afflitta, come un gabbiano che ha smarrito la rotta e non trova l’orizzonte.
Sono forte, amore mio, forte come le onde che s’abbattono furiose sui moli per scuotere le navi addormentate. Più feroce dell’arsura al solleone che getta negli stenti i contadini e i loro campi.
Sono impossibile, più impossibile di te, che mi sei apparso in veste di miraggio ovunque andassi a posare lo sguardo affamato, sognante, desolato...
Tu, semplicemente autore e attore in primo piano. Spettatore parco d’applausi in un silenzio disarmante.
Vedi, com’è stato facile raccontarci, inventando un amore alla volta, un personaggio alla volta. Un mattino eri grande e superbo tanto da farmi vergognare della mia pochezza, un altro eri misero e delicato quanto un bambino in cerca di conforto, di una caramella da succhiare per dimenticare il sapore amaro dell’inquietudine.
Non ho mai detto d’amarti. Eppure, in quanti modi l’ho detto.
Mi chiedo a volte se sia giusto ricordarti che esisto. Dimenticarsi, sì, forse dimenticarci è l’unico espediente possibile per sfuggire alla condanna di un destino che ci ha ingannati.
E’ ora che riprenda il mio viaggio per il mare, amore mio. E’ la cura che ho scelto alla mia nostalgia di te.
L’ultimo biglietto l’ho conservato con cura per lasciarti in questa casa che a lungo abbiamo abitato senza mai incontrarci…
Troppo distanti per amarci davvero, troppo vicini per giocare al gioco degli amanti o di qualche innamorato infelice.