Reazioni
Marzo. Un tizio presenta un preventivo nel nome di una ditta dalla quale so che si serve anche mio padre per lavoretti personali.
A me il preventivo appare evidentemente scritto dal tizio stesso, ma non parlo.
Reazione corretta?
A luglio sto per assentarmi da casa per lavoro per tre mesi e faccio una domanda [azione scorretta? no lecita, magari imprudente, ma non avevo ancora dato il nome di 'pizzo' a quelle richieste impudenti] sui lavori legati a quel preventivo e per i quali sto pagando, ma di cui non ho alcuna notizia.
Il tizio si mette ad urlare senza che si capisca niente.
Siamo in casa d'altri.
Il padrone di casa scuote la testa e fa: "Ecco lo sapevo".
Dopo il primo attimo di sbigottimento, mi metto ad urlare anch'io.
Reazione scorretta?
Però urlo parole chiare: "Ma che ti urli?"
Il padrone di casa fa un'aria sbigottita, allora mi rivolgo a lui e urlo: "Ma che si urla? Sappia che se lui urla, io so urlare più forte di lui!".
Però per rivolgermi al padrone di casa ho voltato la testa ed entrano nel mio campo visivo sua moglie e la sua bambina di circa due anni, sedute sul divano.
Allora rientro in me, mi metto le mani sulla bocca ed in tono tornato normale dico: "Scusa, ho urlato in casa tua".
Vado a sedermi accanto alla bambina, mentre quel tizio continua ad urlare, senza che nessuno lo rimproveri o lo butti fuori casa, e la rassicuro: "Stiamo giocando".
Azione corretta per riparare alla reazione scorretta?
Dicembre. Il nipote del tizio dice che la ditta, della quale né io né mio marito abbiamo mai visto nemmeno un operaio, ha presentato la fattura e bisogna pagare l'ultima rata.
So che non esiste alcuna fattura. Non dico che il nipote mentisse: stava solo ripetendo quello che lo zio gli aveva detto. Pago.
Reazione corretta?
Febbraio.
L'amica del tizio, direttamente interessata a quei lavori, bussa alla mia porta. "Ho di nuovo problemi", afferma.
"Scusate, ma la ditta che ha fatto? Che garanzie ha lasciato?", rispondo.
Reazione corretta?
La tizia fa: "Ah, oh" e se ne va.
2004.
Maggio.
Mio fratello maggiore mi aggredisce verbalmente (e naturalmente l'atteggiamento fisico nemmeno scherza) di fronte a nostro padre, uscito di ospedale da meno di due settimane.
Secondo lui sono una cretina perché non ho capito che devo telefonare io all'ospedale per sapere quando mio padre deve iniziare la terapia e non viceversa.
Su sua insistenza avevo già telefonato due volte al reparto ed entrambe le volte mi avevano ribadito che avrebbero chiamato loro. E la seconda volte si erano, giustamente, anche mostrati seccati e pensato che io fossi un po' tonta.
La mia reazione? Naturalmente non ritelefono ed il sabato successivo, quando so che c'è anche mio fratello maggiore con la sua famiglia a casa dei miei, non ci vado.
Reazione errata?
Mi telefona mia cognata per chiedere spiegazioni. Le spiego cosa era accaduto. "Lo sai che animale è! E non capisce che in un momento delicato come questo, uno può anche essere più sensibile e suscettibile.", replica a mo' di giustifica.
Ed allora? E' un animale: lo devo giustificare gratis et amore deo e bisogna permettergli di continuare ad essere un animale? E' questo che intende mia cognata? Se è un animale, bisogna agire per riportarlo tra le persone civili!
"Sa dove abito", replico.
Intendevo dire: "Venga qui a scusarsi".
Reazione errata?
Mia cognata sembra risentita e chiude la telefonata.
Nessuno viene a scusarsi con me.
Evidentemente chi è un animale nella mia famiglia e nel mio vicinato, è giustificato e ha il diritto di continuare a comportarsi da animale, mentre chi è in torto è colui che non accetta supinamente che le persone intorno a lui si comportino da animali e si rifiuta di subire in silenzio.
Per la cronaca, finalmente telefonano dall'ospedale per comunicare quando mio padre deve iniziare la terapia.
E le cose continuano come prima. Ed io mi ritroverò di nuovo a tavola con mio fratello maggiore e mia cognata. Senza che nessuno si sia scusato.
Reazione errata?
A mio avviso, sì. Continuare a frequentarlo come niente sia successo. E' questa la reazione errata.
Luglio. Mio padre è ricoverato d'urgenza in ospedale. Me lo sono visto morto tra le mani.
Il giorno dopo, il primario pronunzia una diagnosi infausta e mi parla di intervento palliativo. Sono sola. Devo decidere io.
Mio marito mi porta a parlare, giustamente, con chi aveva operato mio padre tre mesi prima. Pronuncia una diagnosi direi quasi di routine e dice: "Portatemelo qui". Non so chi abbia ragione, ma decido di affidare mio padre a lui.
Con enorme fatica, senza dirgli niente delle due diagnosi, riesco a convincere mio padre a farsi trasferire di ospedale. Non appena accetta, mio fratello maggiore, appena arrivato, si volta verso di me e dice: "Se papà muore, è colpa tua". Una mazzata. Ma reagisco a me stessa. Lo ignoro e continuo a sovrintendere al trasferimento di mio padre.
Reazione corretta?
La sera e la mattina dopo sono una pezza, incapace di muovere un muscolo o applicare il cervello a qualsiasi cosa.
Il pomeriggio vado a casa dei miei per raggiungere il resto della famiglia e andare a trovare mio padre in ospedale.
Mio fratello maggiore mi aggredisce di nuovo. Verbalmente, ma stavolta anche fisicamente.
Cado all'indietro. Mi alzo, afferro la mia borsa e scappo via da casa.
Reazione corretta?
Mio padre viene operato il giorno dopo, l'intervento conferma la diagnosi di un problema "quasi" di routine, ma, di nuovo, nessuno si scusa con me.
Nonostante il primario abbia ingiunto ai miei fratelli: "E lasciate in pace questa povera signorina!".
(to be continued) .....
Preciso: favola, storia di pura invenzione ispirata alla massima "Quello che fanno gli altri, fa parte della loro storia. Come reagisco io, fa parte della mia.", magari da continuare se se ne avrà l'occasione.