Res publica
Mi addormento col trucco sbiadito, sbiadita io come la sera, è la notte, l'unico modo per sparire, per placare quella sofferente lagna del giorno, dopo che ti spacchi in tante te. No, non è lamento, non è immaturità o impreparazione, è solo stanchezza, la testa si rifiuta, non questione di ricordarsi dei valori, dei buoni propositi, di spingersi oltre. Troppe ne ho dentro di fotografie interrotte, troppa la mezz'aria che ho dovuto respirare spalancando la bocca, rimboccandomi le maniche. Sarà dura, lo è sempre stata e lo sarà, anche quando i cantanti si ritirano dal palcoscenico perchè troppo stressati dalla carriera, è dura guardare chi si diverte, chi è felice, fa quasi male anche provare a sentirsi bene. Perchè mi viene così assurdo emozionarmi per un giorno di festa comandato, dal momento che passo tutti gli altri a commuovermi per fiori spuntati, becchi di uccellini e labbra semiaperte di mio figlio che dorme. E non provo nemmeno più rabbia, è tutto solo torpore, sotto una pelle che digita ideogrammi invisibili e porta a casa il conto. Lì vedo tutti i miei terrori, sono lì ogni sera come i sette nani, i sette sosia, le sette bellezze e le sette nere. Non mollano il mio passo probabilmente dalla scorsa vita già infiammata da un'altra me insofferente. E pur quella vocina mite a volte, vince su tutti gli altri baritoni, quell'occhio grande di donna forte si riflette in me dandomi la carica, miracolosamente. E il tempo dei ringraziamenti lo passo al telefono con la mamma e la sorella, le amiche. Lo so è incommentabile la sofferenza altrui, ma condivisibile. E le mie braccia non finiscono mai.