Risoluzione / Preludio
Solo quando il tonfo delle lacrime, cadute sui dorsi delle mani poggiate sul tavolo, arrivarono alle mie orecchie, mi resi conto.
Come piombo fuso, caduto in una piccola bacinella di acqua ghiacciata, le ferite profonde, cicatrizzandosi formavano nuovi dolori e la memoria sanguinava facendo fluire getti di pensieri che non avevo più come cose mie, ma per questo ancora più lancinanti.
Stavo abbandonando il luogo della fumosa infanzia e quello della sofferta adolescenza; non avrei permesso agli anni a venire di confrontarsi con cose e situazioni per me ora così lontane.
Non era stata la decisione istintiva a farmi ragionare, ma un piccolo castello di nebbie, formatosi negli anni di pura apatia e rabbiosa solitudine, una struttura che dopo avermi accolto ignaro mi obbligava ad un lungo esilio, il più lungo possibile.
Davanti agli occhi si stendeva fragile la pianura, soffocata dalle piccole gocce di brina che come una volta mi permettevano solo una vista parziale. Così attesi, e così iniziai il primo cammino, prima che tutto sparisse.
Nondimeno i miei pensieri erano nebbiosi. Come avrei iniziato la ricerca, da dove sarei partito…sì, soprattutto come avrei fatto a trovare ciò che mi era più caro.
La ricerca spasmodica della verità, questo avevo appreso in tutti quegli anni? Era forse vero che anch’io, illuminato novizio mi ero fatto travolgere dall’aridità di vane illusioni?
Il ritorno alla mia vecchia dimora non aveva sicuramente facilitato il compito.
Tutto era già di per sé grottesco, perché allora mi ero spinto fino alla terra che forse odiavo più dei miei stessi nemici.
Un luogo che mi aveva privato di ogni umore, di ogni forza e che mi aveva tolto la mia unica fonte di luce.
Possa allora il tempo guarire dalle richieste malate che gli avevo fatto.
Questo era finalmente chiaro, le uniche risposte potevano sgorgare dall’infinito ruscello di sapere che il Signore del Tempo conosceva.
L’insieme di pietre, che robuste si alternavano sotto i miei piedi, mi comunicavano incertezza.
Alcune avevano la forma di continenti, altre di pezzi di pane, ormai secco, senza vita.
Non c’era nessuna speranza che diventassi così fermo, inamovibile. Tutto quello che posso dire, è che cercavo di andare in una direzione, senza percorrerne una.
Iniziai a concentrare il pensiero su ciò che avevo intorno, trattenni il respiro per il massimo che mi era concesso, forse sarebbe servito…
Un’ esistenza mi sfiorò, e solo in quel momento mi accorsi che le cose erano diventate chiare, manifeste.
Di fronte a me, a diverse ore di cammino si poteva distinguere una costruzione di robusta fattura e di forma quadrata o così era l’impressione immediata che avevo avuto. Un cubo di colore ocra.
Ricorda che ogni cosa che si mostrerà ai tuoi occhi è soltanto quello che la volontà vorrà.
Intorno a me solo delle distese di roccia o sabbia, era come camminare sopra la schiena di un enorme mostro. Distinguevo i muscoli di quel terreno, le sue giunture e ogni suo nervo, ma tutto sapeva di morto, di qualcosa che una volta aveva avuto un gran vigore ma che forse ora, si stava riposando da tempi ancora più lunghi di ZOC.
Mi soffermai per raccogliere un qualcosa che si era scontrato con la mia caviglia.
Era un foglio di stoffa molto fine, come quelli usati per scrivere anni fa o forse così mi ricordavo.
Mentre lo raccolsi, il vento che lo aveva fatto arrivare ai miei piedi si placò di colpo.
Gettai il mio sguardo verso la costruzione. Era scomparsa. Mi girai su me stesso, forse non era la giusta direzione, ma ora che il vento era cessato e la sabbia si era posata, non avrei avuto problemi a ritrovarlo.
Da ogni parte il cielo aveva assunto una tiepida tonalità di grigio, ma del cubo nessuna traccia. Dissolto.
Osservai con attenzione quella stoffa. Niente.
Il vento improvvisamente riprese a soffiare e i detriti del terreno si alzarono in cielo come sciami d’insetti, in formazione di mulinelli.
Ora potevo leggere alcune cose sulla stoffa: la direzione è quella del pensiero
Una volta è sempre la prima
Due frasi che non mi erano sconosciute ma che apparivano lontane, ormai dimenticate.
Il colore del cielo era di nuovo cambiato. Rosso sangue. Pensai di essere dentro un’enorme arteria, qualcosa di familiare.
Mi girai di scatto come impaurito. Quello che vidi aumentò i miei timori.
A pochi centimetri da me il cubo, non più ocra, ma rosa e bianco.
Forse quella era la dimora del signore del tempo.
Dimenticandomi di me stesso…
Camici bianchi
Un bambino che gioca con le costruzioni.
Ecco cosa vidi entrando.