Ritratto di signora
Era bella. Il giovane Federico Fellini un giorno le aveva fatto il ritratto: uno schizzo tracciato con veloci tratti e con l’abilità di un artista dilettante dotato di estro e di genio, che si divertiva a fare ritratti e volantini pubblicitari. Ma i suoi concittadini non lo apprezzavano ancora, ritenendolo un ragazzo originale e senza prospettive, così lei non aveva dato importanza al disegno e ben presto lo aveva smarrito.
In una fotografia un po’ ingiallita, la si vede nei suoi anni giovanili: alta, bruna, con lineamenti solari e un’espressione aperta e comunicativa. Ha un abito bianco, le stanno accanto un’amica e il fratello minore. Sullo sfondo c’è il Kursaal. Quel famoso Kursaal che rappresentava il sogno della società riminese d’anteguerra: aiuole fiorite, palme, panchine e il bell’edificio elegante, che nelle grandi serate da ballo risplendeva di luci, luogo di ritrovo per la società raffinata dei villeggianti. Erano i tempi in cui Rimini era l’ “Ostenda d’Italia” e da tutta Europa giungevano persone dell’alta società internazionale per la stagione balneare.
Durante un soggiorno a Roma era stata notata da un agente di Cinecittà, che aveva voluto farle un provino cinematografico. Ma era ancora un’epoca in cui la carriera di attrice era considerata disdicevole per una ragazza di buona famiglia che veniva dalla provincia. Così rinunciò e non ci pensò più.
Sono tanti i ricordi di quegli anni. Gli affetti familiari, i soggiorni nella casa delle zie sulla collina, la vita di collegio dove, nonostante la tristezza della separazione dai suoi cari, riusciva a rallegrare le giornate col suo temperamento vivace e ottimista, e con l’innato senso di umorismo le suggeriva scherzi e burle ai danni delle povere “Maestre Pie” (le suore del collegio, che tuttavia le volevano un gran bene). A scuola coltivò le sue più care amicizie, che seppe poi conservare per tutta la vita con grande costanza e lealtà.
C’erano i pic‐nic sulla spiaggia con zie e cugini, tra le dune di sabbia e gli arbusti di tamerici. C’erano le rare serate a Teatro, in quel bel teatro neoclassico del Poletti, inaugurato a suo tempo da Verdi, che si diceva avesse un’ottima acustica, tanto che le migliori compagnie d’opera venivano volentieri a cantare per i cittadini riminesi, molto amanti della lirica. In quel teatro, una volta, si era esibita in un saggio ginnico della scuola, con le clave illuminate fatte roteare nel buio. L’effetto era stato così suggestivo che in lei era rimasto per sempre il ricordo di quella serata magica, con i suoi arabeschi di luce e le sue musiche, tra i palchi maestosi e davanti alla platea di spettatori eleganti.
Ma i giorni sereni finirono presto. Ancora giovanissima rimase orfana di entrambi i genitori, con inattese difficoltà economiche da affrontare. Mentre il fratello maggiore si allontanava per intraprendere la sua carriera (e per vivere più tardi vicende di guerra e di prigionia), il fratello più giovane, ancora studente, contrasse una grave malattia e lei dovette far fronte a un lungo periodo di sofferenza e di pesanti responsabilità. Aveva il diploma di maestra e lo mise a frutto cominciando il suo lavoro di insegnante, che nei primi anni la condusse a vivere situazioni difficili in località disagiate, perdute nella campagna, in ambienti squallidi dove viveva giornate di solitudine e di malinconia...
Non le mancavano i parenti: proveniva da una famiglia numerosa i cui discendenti erano un po’ dappertutto. La invitavano spesso, ma il suo vero rifugio era la “casa delle zie” su in collina. Lì le sorelle della mamma, Anita, Aida e Alfonsa, l’accoglievano a braccia aperte donandole tutto il conforto e il calore di cui aveva bisogno. In quella casa antica, ricca di ricordi, di tradizioni, di abitudini semplici e di sincero affetto, lei trovava la forza di affrontare il futuro.
Poi venne una nuova felicità.
La fotografia del suo matrimonio la rappresenta in un bell’abito bianco all’uscita della chiesa di San Girolamo, là dove si apriva la cancellata, tra le due cappelle laterali, al braccio del marito in divisa di gala e preceduta dalle damigelle d’onore. Durante la cerimonia, il primo violino dell’EIAR (che era un parente acquisito, marito dell’estrosa zia Peppina) aveva suonato per lei il “Sogno”di Schumann e il sacerdote aveva fatto piangere la sposa e gli invitati ricordando i dolori che l’avevano afflitta.
Aveva conosciuto il marito in un modo singolare. Erano anni di guerra e, come tutte le giovani donne di una certa istruzione, era stata esortata a considerarsi “madrina” di un combattente e a scrivergli lettere di incoraggiamento. Così intrecciò una lunga corrispondenza con uno sconosciuto ufficiale di Marina che ebbe modo di apprezzarla prima ancora di vederla. E quando la vide se ne innamorò.
Ma la guerra premeva. Il suo primo anno di sposa lo trascorse ad ascoltare Radio Londra e i bollettini di guerra, trepidando ad ogni notizia che riguardava i combattimenti navali e ricordando con angoscia le tragiche vicende vissute dal marito in precedenza, quando il cacciatorpediniere “Grecale” era rimasto per molti giorni in avaria vagando alla deriva. Quando le nacque la prima figlia, era stato appena dichiarato l’armistizio e a Rimini si avvicinava il fronte.
Con la bimba di pochi mesi volle allontanarsi, terrorizzata dalla minaccia che la Linea Gotica rappresentava per loro. Così una notte fuggì sopra un camion tedesco, guidato da un autista ubriaco, dove aveva ottenuto il passaggio grazie a un giovane ufficiale della Wermacht, che aveva lasciato a casa, in Germania, una bimba della stessa età. Dopo un viaggio avventuroso si rifugiò a Milano presso i cognati e poi si stabilì sul lago di Como, dove rimase per alcuni anni. Ma quando dovette tornare provvisoriamente a Rimini, per recuperare i suoi documenti dopo la fine del conflitto, rimase sconvolta. La città, attraversata dalla Linea Gotica e teatro di scontri e bombardamenti devastanti, era stata letteralmente rasa al suolo. Lei ricorda ancora con impressionante lucidità lo spettacolo che le si presentò. Uscita dalla stazione, non capì dove si trovava e perse l’orientamento. Le macerie ingombravano il terreno in ogni direzione; non c’era più traccia di strade e palazzi conosciuti; non c’era più un impianto urbanistico; non c’era più Rimini.
Da allora gli anni sono passati portando la pace, la ricostruzione, il benessere. Tante antiche famiglie sono scomparse o si sono trasferite. Tanti costumi e tanti valori sono cambiati. Lei è tornata nella sua città dove è riuscita a vivere serenamente una vita che non è stata facile, col marito sempre lontano, in mare. Una vita che le ha portato nel tempo altre gioie e altri dolori. E’ nata una seconda bambina; il giovane fratello, amato come un figlio, è morto in circostanze drammatiche; una malattia cronica ha limitato presto e per sempre la sua esistenza; il marito è scomparso prematuramente. Ma lei ha continuato a insegnare con impegno e passione. E ha allevato le sue due “bambine”.
Oggi è un’anziana signora con i capelli bianchi. Passa le ore nella sua poltrona parlando con vivacità e con la mente lucida, ricordando le cose lontane della sua vita e valutando con interesse e saggezza le cose del mondo di oggi. Ha una fede forte e senza ombre, che l’ha sempre sorretta e confortata. In estate contempla i gerani del suo balcone e controlla il volo delle rondini. E’ ancora bella, nonostante l’età e i problemi di salute. E io la conosco bene.
E’ la mia mamma.*
- [ n.d.a.: Al momento di questa mia trascrizione, la mamma non c’è più.] Tratto da "Mi torna al cuore"