Sabato 4/4/2015 Parole che s'incrociano
Quest'oggi, un bellissimo sole si staglia su un cielo senza nuvole: è difficile dover radunare le proprie cose, preparare i bagagli e correre in stazione per prender il treno. A volte, basterebbe davvero così poco per essere felici: già appoggiarsi sul davanzale della propria finestra e vedere la città attraversata da questa luce calda e avvolgente riempiono il proprio cuore di gioia più di quanto si possa dire. Sembra, per un momento, che tutto il mondo si sia magicamente arrestato, che nulla di brutto possa davvero accadere per interrompere questo piccolo, meraviglioso spettacolo. Ma, soprattutto, si sente
quel calore, quel tepore diffuso dai raggi del sole che accarezza la pelle e pare darle una luce nuova, con il suo tocco tenero, ma deciso. Mi ricordo che, da bambina, dopo ore trascorse in spiaggia, fra giochi e bagni in mare, senza fermarsi un attimo, mi avvicinavo il braccio al naso e sentivo un profumo diverso, inebriante: con quell'odore, ad occhi socchiusi, ripercorrevo la mia giornata e riuscivo a percepire, anche di sera, la fragranza della salsedine, unita al calore della pelle esposta così a lungo alla luce del sole, formando un connubio meraviglioso e , per una bambina come me, irresistibile.
Crescendo, ho imparato a ripetere questo gesto meccanicamente, quasi per rispolverare una cara abitudine della mia infanzia, di quell'età per tutti dorata e persa in ricordi puri ed immacolati, proprio come un cielo terso in Aprile. Ora, però, se anche lo stupore non è più lo stesso di fronte a gesti come questo, è nata una nuova, più grande consapevolezza: abbiamo ancora bisogno di calore e non solo quello di una bella mattinata di primavera. Ciò di cui abbiamo bisogno, davvero, è del calore delle persone, dei nostri simili, di chi ci circonda. Pensiamo sempre che il nostro tempo sia prezioso e che, nella tortuosa gincana della giungla metropolitana, poco tempo sia rimasto per fare una sana chiacchierata, per rivedere il compagno di banco del liceo o per concedersi un buon caffè con un amico caro. Amiamo circondarci di SmartPhone, Tablet, WhatsApp e Social Network, pur di sentirci parte di un grande flusso globale, quando in realtà, prima di andare a dormire, fissando per lunghi minuti il soffitto, sentiamo che, nonostante tutto, siamo soli, vuoti e, forse, anche nudi davanti a noi stessi. Crediamo di avere qualcosa di ben più importante da fare o che, forse, le gratificazioni del lavoro possano supplire alla mancanza di avere persone disposte ad ascoltarci. Ci diciamo che va bene così, che in fondo siamo tutti venuti al mondo da soli, con le nostre forze e che, con le nostre stesse forze, dobbiamo lottare, ogni giorno.
Quanto mentiamo a noi stessi, quanto andiamo contro ad una delle più grandi verità di questa terra: l'uomo è fatto per parlare, per condividere il suo viaggio e la sua vita con i propri simili. Come faccio ad esserne così sicura, a pretendere di aver capito, poco più che ventenne, come funzioni la vita?
Da due eventi, semplici nella loro essenza, ma entrambi importanti per capire, sentire come sia solo questa la strada giusta. Ieri, ho ascoltato un amico: l'ho ascoltato mentre, casualmente, la nostra conversazione toccava tematiche importanti e , senza nessun preavviso, si soffermasse su di lui, su un evento del suo passato che ancora lo lasciava stupito, se non amareggiato. Vedevo la sua timidezza nel mettermi a conoscenza del suo profondo rammarico, ma allo stesso tempo, il sollievo nel dare sfogo, nel nominare, anche se per pochi minuti, quel piccolo dolore accantonato in nome della quotidianità, della routine, dell'andare avanti ad ogni costo. Mi sono intrufolata in punta di piedi nella sua vita, cercando di dimenticare la mia storia ed abbracciare la sua visuale, di far mia la sua delusione. Eppure, non ho permesso che tutto ciò scemasse in un repertorio di brutti ricordi: ho cercato di confortarlo, di rincuorarlo non con parole di circostanza o con frasi stereotipe, ma mostrandogli qualcosa di me, regalandogli qualcosa di mio in cambio. Decisi di raccontargli una mia esperienza, molto simile alla sua, e quanto io ne avessi tratto per essere migliore, per non farmene fermare: ho semplicemente condiviso con lui qualcosa del mio profondo, qualcosa del mio io e ho cercato di infondere in lui la stessa speranza, lo stesso entusiasmo con cui ho superato il mio impasse, pur con le stesse paure ed incertezze. Bastavano i suoi occhi per capire che la mia mossa avesse colto nel segno: ora erano accesi, ridenti, non più velati della stessa malinconia di prima ed il viso aveva anche il suo solito sorriso spuntato nelle labbra. Certo, una bella chiacchierata a cuore aperto non modificherà quanto è successo, non toglierà a lui il suo dolore, come non annullerà le mie cattive esperienze: eppure, è bastato ascoltarsi un po' e condividere la propria vita per sentirsi meno soli, più vicini, più sereni. E come si può barattare questo, cosa può sostituire il calore umano di un abbraccio sentito o di una stretta di mano decisa? In quel momento, una mia parola ha potuto fare la differenza, un gesto così piccolo come un sorriso ha dato qualcosa di prezioso a qualcuno che ne aveva bisogno, pur senza averlo specificamente chiesto. Questo è il potere della condivisione, dello stare in mezzo agli altri ed irradiare la gioia e la speranza, anche quando sembra che non possa esserci più nulla da fare, anche quando tutto sembra perduto. Ma, ci si potrebbe chiedere, perché dovremmo disperdere nostre energie nel farlo? Che senso avrebbe aiutare altre persone, se ciascuno di noi è così diverso e ha compiuto esperienze totalmente differenti?
Professor Lamberto MaffeiA questa domanda, risponderò grazie alle parole di qualcun altro, che mi ha fatto indirettamente capire come questa sia la strada giusta. Questo tale non è una persona qualsiasi: sto alludendo al professor Maffei, presidente dell'Accademia dei Lincei, nonché neuroscienziato di fama mondiale, con un curriculum troppo lungo per essere anche solo ripercorso in breve. Ebbene, questo uomo, così famoso eppure così umile e pronto ad ascoltarci, ha concluso il suo intervento, quest'oggi a Trento, con una bellissima frase: il cervello umano ha bisogno di stimoli, ha bisogno di un ambiente recettivo in cui svilupparsi, altrimenti muore. Di primo acchito, sembra un'affermazione perfino ovvia e scontata, ma, in verità, mentre la annotavo velocemente fra i miei appunti, ne ho percepito davvero la portata e l'effettivo significato : ognuno di noi può stimolare, incuriosire ed affascinare gli altri molto più di quanto si crede. Ognuno di noi può fare qualcosa di speciale e divenire un esempio per tutti gli altri. Ognuno di noi può venire in questo mondo ed inciderlo profondamente, perché ne abbiamo tutti gli strumenti e la forza. Siete ancora scettici? Le ricerche del professor Maffei lo comprovano: alcuni anziani, con i tipici segni iniziali della demenza senile, se opportunamente coinvolti in una terapia comprendente attività mirate e coinvolgenti, hanno presentato un ritardo significative nell'insorgere dei sintomi più gravi. E sapete quale è stata una delle attività offerte al suo interno?? Proprio l'ascolto, il confronto con l'altro, il comunicare insieme. Non credo ci sia nulla di casuale in tutto ciò, ma anzi la conferma di quanto sospettavo da tempo: la parola è un motore grande, immenso, le cui potenzialità sono spesso taciute, perché non sempre è facile buon uso e non sempre i contenuti da affidare all'altro sono facili, semplici o piacevoli. E se tenessimo più a mente che anche una macchina potente come il nostro cervello ha bisogno di stimoli, di aprirsi all'esterno e alle sue molteplici possibilità, perché la solitudine e l'isolamento non fanno altro che minarne lo stesso funzionamento, forse davvero carpiremmo l'elisir di lunga vita. Perché la vita è questo: una lunga, sorprendente serie di suoni, immagini, parole che si incrociano inestricabilmente con altre combinazioni, per creare qualcosa di diverso, ma pur sempre meraviglioso.
Cecilia Cozzi
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