Serenatella - Prima puntata
1 ‐ Al Sud
Quando venni contattato, per diventare il responsabile commerciale di un gruppetto di operai e tecnici, abbastanza sporchi, puzzolenti di grasso e polvere metallica, non storsi il naso.Ho sempre preferito la compagnia schietta e triviale degli “addetti” ai lavori alla levigatura “da fighetto” dei rappresentanti di commercio.I venditori sono sempre stati disgustati dai tecnici, soprattutto per invidia, ben celata: questi ultimi erano ben accetti ai clienti perchè risolvevano i problemi di guasti e manutenzione, mentre il venditore, col suo abito alla moda, che sgambettava, schizzinoso per i locali officina, era odiato e delegato al semplice ruolo di “furba macchinetta mangiasoldi”.Insomma la gente vedeva sempre nel commerciale, colui con cui si parla solo di denaro; una specie di parassita, un politico, un male indispensabile… ma la vera passione di un cliente è un bravo tecnico.Capii subito, poco più che ragazzo, che sporcarsi un po’ le mani apriva meglio le strade del “successo”.La gente vuole vedere le mani che operano, altrimenti pensa che non fai niente … puoi essere Dante, Manzoni o Pippo Baudo: quando il lavoro che svolgi è di tipo prettamente intellettuale, il volgo è convinto che non fai altro che spassartela e che, con qualche misterioso magheggio, riesci pure a sbarcare il lunario, divertendoti.Così, avendo una cultura superiore e spiccate capacità dialettiche, riuscivo a tirare fuori il meglio di me stesso, con il minimo sforzo.Da giovane non perdevo occasione per lanciarmi, trattato bonariamente come il “mozzo di bordo”, dietro agli operai, con la scusa di dare una mano.Li osservavo, imparavo un mestiere solo “raccontato”, in pratica non sapevo fare niente… e loro, specialmente i “vecchi”, cui piace parlare, si sfogavano con me riguardo alle loro abilità e alle loro intuizioni.I loro giovani assistenti non avrebbero mai saputo quei segreti, imparati a furia di errori e sacrifici, ma a me, i loro trucchi, li svelavano, beandosene.Sapevano che le mie meni erano di pastafrolla e che mai sarei potuto diventare, per loro, un pericoloso concorrente.Se devo dirla tutta, io, la materia, la studiavo di notte. Ho sempre avuto una spiccata tendenza a leggere di tutto.In fondo i principi erano abbastanza facili ma, come spesso accade, ignorati.Chissà perchè molta gente ha paura dei manuali o dei trattati, forse teme di scoprire di non capire nemmeno ciò che crede di conoscere.Comunque, adesso, passata da un po’ la quarantina ero diventato uno dei capi area più apprezzati nel mio settore.E così nacque quella particolare proposta: il centro manutenzioni e assistenza tecnica per Napoli e Campania, si era talmente evoluto, da stimolare e promuovere un fatturato talmente interessante, che l’azienda decise di coadiuvarli con una figura squisitamente commerciale, consapevole anche del settore amministrativo.Avrei dovuto aiutare il gruppo a crescere, senza troppi traumi psichici e a inserirsi nel mondo di un lavoro più metodico.Formare una segreteria degna di quel nome e capace, anche, di mettersi in riga con le nuove tecnologie fornite dall’internet, che, all’epoca, erano agli esordi.I responsabili della ditta mi conoscevano già e accettarono di buon grado il salto di qualità, dovuto alla mia presenza … non che mi considerassero “meglio” di loro, ovvio (ignoranza e presunzione vanno sempre sotto braccio), ma erano certi che, presentandomi alla clientela, come una specie di “reliquia”: il direttore commerciale che viene “dal norde”, i loro portafogli e la loro prosopopea ne avrebbero guadagnato.Ero separato da non molto, libero e felice di scendere al sud, di cui avevo sempre apprezzato il sole, i paesaggi frastagliati e il mare.Anche la gente la preferivo … una filosofia di vita diversa, che una volta capita, sembrava molto più gaudente e meno “impegnativa” della nostra.Vivendo, ormai, senza una vera famiglia, potevo accettare di pensare al domani in maniera molto relativa.Inoltre, l’unico rapporto stabile, quasi un “fidanzamento” tra adulti, lo avevo con un’avvocatessa di Roma, con cui mi frequentavo da anni e che, dopo la separazione, era diventata il mio punto di riferimento.Così, stabilite le ultime postille, mi trasferii ad Amalfi che, grazie all’autostrada, era ben collegata a Napoli; ci voleva un po’ di più per arrivare al lavoro ma, specialmente nel week end, era tutto un altro vivere.Un lunedì mattina raggiunsi l’ufficio, intonso, dei tecnici, poiché la loro esistenza si svolgeva nei capannoni dell’officina, a pochi passi, nel retro di un’enorme area industriale, vicino dalla Ferrovia.Esposito, il capoccia del gruppo, mi aspettava all’ingresso e mi accolse affettuosamente.Il tempo di entrare e di posare i miei borsoni carichi di documenti, manuali e depliant, poi avremmo raggiunto gli altri, nel capannone, per sancire la nostra alleanza con una buona sfogliatella e un ottimo caffè.Mentre ritornavo verso la porta per guadagnare l’uscita, una donna, meglio, una ragazza, uscì dal bagno con uno straccio in mano, notai allora che, fuori, c’era anche un secchio per le pulizie. Si trattava certo della sguattera, vista l’ora. E non la degnai, al momento di grande interesse, però, poiché la ragazza non si aspettava che già fossimo nell’ufficio, mi squadrò, sorpresa.Senza dare nessuna importanza all’incontro, Esposito disse: – Questa è Maria, la nipote di Cangiano … – e senza aggiungere altro mi precedette verso l’esterno.Maria aveva ventun’anni e, inaspettatamente, i miei occhi s’incrociarono con i suoi.Chiari, grandi, intensamente azzurri … di quell’azzurro che cattura.Per una frazione di secondo mi ci tuffai, come se fossi caduto da un molo … ma l’immersione durò un nulla.La ragazza abbassò gli occhi ed io uscii, dimenticandomi della sua esistenza.
2 ‐ Padrone della situazione e della … colazione
Nei giorni che seguirono al mio “incipit” in quella nuova realtà, come mia abitudine, me ne stetti molto zitto ma osservai molto.Agisco sempre così. Come se “pranzassi con gli occhi” senza nemmeno fare troppo caso a ciò che divoro della realtà che mi circonda … dopo un po’, come per magia, le tesserine disordinate di quello che ho … ingurgitato, prendono il proprio posto, in una specie di “puzzle” mentale.Ecco che divento padrone della situazione e ne vedo tutti gli sviluppi, sia negativi sia positivi. Mi hanno detto che si chiama facoltà di sintesi. Ben venga! Mi aiuta nel lavoro e mi fa amare ciò di cui mi occupo.Il tempo che trascorrevo nell’ufficio era soprattutto quello pomeridiano, la mattina era dedicata a visite, incontri e valutazioni.Come tutti i “pulentun” divenni drogato dalla cucina napoletana. Per clienti, agenti e concessionari, ogni scusa era quella giusta per invitarci a pranzo.Tutti conoscevano il “loro angolino” tipico, affidabile, economico e … eccezionale!Imparai così che, al sud, esistono alcuni grandi ristoranti: una certezza per il palato, ma sono soprattutto turistici. La vera cucina tipica e deliziosa si nasconde gelosamente, in piccoli anfratti, dedicati ai locali.Non disdegnavo neppure le “colazioni” incredibili che gli operai sapevano scovare nelle salumerie, più recondite e improbabili.La “colazione” è la pietanza tipica degli addetti ai lavori … vista da lontano sembra un … sandwich (?), ma …E no, mr. McDonald, a Napoli, una colazione è un pranzo completo: in quegli enormi pezzi di pane, manca solo la frutta, ma semplicemente per mancanza di spazio.Negli sfilatini ci mettono di tutto: calamari fritti, tonno e mozzarella (insieme), pomodori all’insalata e galbanino, ciccioli ricotta e pepe, alici marinate e provolone piccante … insomma: la smetto, perchè ci vorrebbe un racconto a parte solo per le colazioni.E non tocchiamo l’argomento pizza …Ma torniamo alla parte più sentimentale della mia esperienza, il paziente lettore, vedrà poi che la colazione c’entra … sempre, anche nel vivere i sentimenti più alati o erotici: il cibo è molto presente nella napoletanità!Insomma, di pomeriggio, in genere verso le sedici, rientravo in ufficio, col mio borsone pieno di scartoffie e iniziavo la parte analitica del mio lavoro.In ufficio c’era solo Maria, la ragazza che scoprii essere una tutto fare molto eclettica.La mattina presto puliva e faceva brillare tutto l’ufficio, onestamente, compresi i bagni.Poi, durante il giorno, faceva la “segretaria” ma era solo un incarico “ad honorem” perchè mi resi subito conto che, quelle persone, non avevano la benché minima idea di come dovesse essere organizzato un ufficio che si rispetti e, nemmeno, a cosa potesse mai servire.Il lavoro principale di Maria era rispondere al telefono … ma questa sua attività “principale” merita un capitolo a se.Per il momento vi basti sapere che, la signorina Maria, parlava un italiano napoletanizzato e grossolano; che nascondeva, nel suo corpicino esile di ventenne slanciata, un vocione da scaricatore di porto (femmina, ma non per questo meno temibile) e che mi guardava con terrore, soprattutto per il mio silenzio nei suoi confronti … l’intuito femminile aveva percepito che, come un bulldozer, mi preparavo a rivoluzionare tutta l’attività di quell’organizzazione e, ovviamente, temeva per il suo “posticino”.Non era stupida, capiva perfettamente di non saper fare quasi niente e che, un tipo come me, non si poteva spaventare solo grazie a una voce stentorea.Nel mio caso, invece, la giovane Maria, era come la filodiffusione … semplicemente: non esisteva, per ora.Avevo ben altro cui pensare. Arrivavo tardi e lei, alle cinque, andava via, ci incrociavamo, si, ma nulla di più.
3 ‐ Arriva Beatrice, fine dell’astinenza
Il tempo passava veloce. Gli impegni erano molti ma il modo di lavorare, al sud, è meno stressante che al nord.Iniziarono a stimarmi.Dopo un paio di mesi di lavoro duro, raggiungemmo un primo step di eccellenza, dal punto di vista operativo.Adesso potevo rilassarmi e dedicarmi al cuore di un’Azienda che si rispetti: l’amministrazione.Per ora si trattava solo di una serie di monticelli di carte e documenti, che sorgevano da tre, inutili, scrivanie.Il venerdì pomeriggio di un bell’Aprile tiepido, mi guardai introno, nelle salette vuote e pensai: “Bene, sono soddisfatto, del lavoro fatto … la settimana prossima inizierò a sistemare tutto questo casino. Povera signorina Maria.”Mi chiusi la porta alle spalle, con un sorriso cattivo e mi recai all’aeroporto di Capodichino, per ricevere Beatrice, la mia avvocatessa, finalmente.Per due lunghi mesi mi ero dedicato al sesso solitario … che ci posso fare? Non vado con le prostitute, per principio, mai.Adesso, giacché era Pasqua, la mia bella Beatrice scendeva da me, finalmente. E saremmo stati insieme fino a martedì …Lei non conosceva la costiera Amalfitana.Avevo fittato una villetta e, per l’inverno, avevo ottenuto un prezzo incredibile … a Luglio e ad Agosto potevo lasciarla, o pagare quattro volte di più; ci avrei pensato poi.Dipendeva soprattutto da Beatrice, se, come me, s’incantava di quei posti mozzafiato, avremmo potuto farci anche le vacanze, il costo non era un problema.Fu un week end romantico, meraviglioso.Sentii che un uomo si lascia veramente andare, solo quando è vicino alla donna che ama o che, almeno, gli piace. I posti che vedi sono più belli e le azioni acquistano uno scopo.Facemmo l’amore più volte, sia durante le passeggiate che a casa ma, sempre, all’aperto.Durante il giorno, baciati dal sole nell’aria ancora fresca, lo facemmo, ad esempio, su un sentiero che si inoltrava per la costa frastagliata.La gente del posto è pigra e si sposta solo in auto … così la “montagna” è per i turisti.Beatrice era una donna bella ed elegante, tonica nel fisico, che curava con palestra e massaggi; il sedere un po’ abbondante non guastava … anzi, poiché lei ne faceva una fissa, indossava comunemente la gonna. Per me questa era una grande fortuna.Da donna elegante, qual era, aveva sempre, rigorosamente, le calze.Per l’occasione, infatti, era abbigliata con una gonna nera a piccolissimi fiori, molto colorati … primaverile. Sotto portava delle parigine di filanca nere che le superavano il ginocchio, comode per le scarpette da trekking, leggere e femminili.Trovai un angolino riparato dalla macchia mediterranea, scura e rigogliosa, e, dopo pochissimi preliminari e qualche bacio molto lascivo, la feci voltare, indirizzandola, con le mie mani, verso il panorama.Non dovette fare altro che trovare un piccolo appiglio su un tronco, per appoggiarvi le mani, quasi si affacciasse a una balconata sul golfo di Salerno.Io, alle sue spalle, le alzai la veste fino ai fianchi e, natura nella natura, mi trovai di fronte le sue natiche chiare, che spiccavano tra il nero intenso delle calze e quello della gonna sollevata.Un piccolo perizoma scuro spariva tra le sue chiappe, tonde e abbondanti.Volevo essere molto materiale e svelto nel possederla, a lei piaceva essere presa più volte, in situazioni successive.Infatti avevo imparato a trattenere a lungo l’orgasmo, altrimenti rischiavo di non soddisfarla appieno.Ma non potevo penetrala se prima, non l’avessi baciata, nei modi più sconci che conoscevo.Lo spettacolo della sua natura, gonfia, tracciata da una leggera peluria castana, e la valle, solo accennata, che comunicava col suo ano, meritavano tutto il mio desiderio.Mi abbassai alle sue spalle, inginocchiandomi sull’erba umida, spostai il perizoma e iniziai a operare, rumorosamente nelle sue intimità odorose.Beatrice mugolava e roteava i fianchi, come una gatta marpiona.
4 ‐ Beatrice ama il sud
Facemmo l’amore e non lo dimenticammo mai più.Eravamo quasi selvatici, in quello scenario incontaminato. Il sole irrorava di luce il mare, che rifletteva la luce con un riverbero, abbagliante, tutto d’argento.La costiera, frastagliata e scoscesa, biancheggiava ma era delineata da profonde ombre che diventavano sempre più nere, tra gli anfratti, taglienti.Qua e là, come bouquet lanciati a casaccio da spose … la macchia mediterranea anticipava la primavera con i verdi intensi e i primi fiorellini di ogni colore.Dopo più di mezz’ora, appagati e felici, sedemmo su un muretto per consumare delle caldarroste che avevo acquistato al mattino.Eravamo vicini a una fonte da cui sgorgava, cantando, una delle mille vene che traevano la loro acqua, purissima, dai monti che sovrastavano la valle delle Ferriere.Beatrice era rimasta veramente incantata dal suo soggiorno, pur se breve.Il martedì l’accompagnai in macchina fino a Roma, tanto dovevo fare un salto in azienda e dare anche una controllata a casa mia, chiusa da mesi.Riuscii in tutte le mie imprese, salvo scoprire che “qualcuno” aveva fatto visita nel mio appartamento, cercando alla meglio di nascondere i propri misfatti … di certo il mio primo figlio, non ancora diciottenne, ma già abbastanza sveglio. Dopotutto, solo lui aveva le chiavi.Non volli sgridarlo, ma era meglio sapesse che sapevo.Tornando al sud lo chiamai, per metterlo in guardia e per consigliargli di stare molto attento con le ragazze, se non voleva rovinarsi la vita alla su età.‐ Usa sempre il profilattico, capito! – conclusi – io non ti darò nessuna mano in caso di stronzate, ricordatelo bene. – Lui mi accontentò … sperai davvero che avesse capito: dopotutto era un ragazzo molto giudizioso.Il venerdì mattina, fresco come una rosa, alle sette ero già in ufficio e feci una sola catasta, molto pittoresca di tutte le carte, le fatture e le cartelle, sparse e confuse, in un ordine del tutto casuale che, la povera signorina Maria, aveva cercato di creare, a modo suo.Non avevo mai invaso, fino ad allora, l’amministrazione e, la ragazza, doveva essersi convinta che tutto sarebbe andato avanti come sempre … quello di cui non si accorgeva era che ogni volta che una “carta” serviva, per trovarla bisognava passare due ore, in cui gli improperi dei proprietari arrivavano alle stelle.Passata la bufera, tutto tornava nel solito caos di sempre.Alle otto e dieci, da una piccola macchina scura, spuntò Maria, accompagnata da un giovane, che la depositò nel cortile e scappò via, per i fatti suoi.L’ufficio era a piano terra, tutto lastricato di cristalli che facevano da pareti.Erano fatte in modo che, da dentro si vedesse perfettamente fuori, mentre, dall’esterno ci si trovava davanti a enormi specchi; questo effetto si invertiva, pericolosamente, la sera, col buio.Per Maria fu già abbastanza strano trovare che la porta era aperta ma, quando mi vide, scartabellare alla rinfusa nei “suoi” documenti e nel suo ufficio, dovette rasentare una crisi di nervi. Fece del suo meglio per controllarsi e con durezza, disse:‐ Ma … cercate qualcosa? – intanto si guardava intorno incredula, mentre toglieva il giubbino. Più si accorgeva dell’estensione dello “scempio” che avevo combinato, più annaspava, in cerca di qualche parola per mandarmi “affanculo” senza rischiare il posto … con dolcezza, diciamoIl mio semplice e allegro: ‐No! – di risposta, la fece infuriare ancora di più.
5 ‐ Professionalità, prima di tutto
Era evidente che la giovane subiva il mio prestigio e anche la mia età: dopotutto avevo il doppio dei suoi anni; ma non voleva lasciare del tutto impunito il mio oltraggio. Iniziò a vedere il mio operato, come un’offesa diretta e personale. Quindi ritenne suo dovere difendersi e attaccare: iniziò a bersagliarmi di domande e frasi, abbastanza insensate tra di loro.Quell’effetto “doccia fredda” era stato voluto, ovviamente e un po’ mi era anche dispiaciuto. D’altro canto era importante creare una lacerazione radicale tra il vecchio e il … futuro, il nuovo.Maria doveva capire che proprio non andava e che, da oggi, tutto sarebbe cambiato, magari con un po’ di sacrifici, almeno all’inizio.‐ Signorina … uhm, Maria, giusto? – finsi di non ricordare nemmeno chi fosse per renderla ancora più vulnerabile.Lei annuì, sorpresa. Dopo oltre mezz’ora di invettive malcelate, forse aveva creduto che non le avrei risposto … forse non avrei fatto altro che accatastare tutto il “suo” lavoro per farne un solo, definitivo, falò.‐ Veda Maria … anzi, venga, sediamoci un momento – e le feci strada verso una delle scrivanie, ormai vuote; ovviamente mi sedetti dalla parte padronale e lei (credo volesse piangere) compunta e confusa … buttata quasi fuori dal suo “regno” dovette sedere dal lato degli ospiti.‐ Ha studiato la matematica, vero? – le domandai con falsa ingenuità e lei, impacciata rispose di si.Continuai: – Quindi, Maria, lei saprebbe dirmi quanto fa due più due? –Era completamente destabilizzata, ormai mi temeva … però fu sveglia nel rispondere.Non prese tempo inutile, né indagò sui miei motivi, con intelligenza, intuì che, tutto questo, aveva uno scopo.‐ Quattro, ma … –disse subito.‐ Molto bene – sorrisi – quindi saprebbe anche dirmi quanto fa … quaranta più nove: fa, semplicemente quarantanove, esatto? –Lei annuì ma si sentì in dovere di mostrarsi seccata.‐ Ma se noi ci chiedessimo quanto fa 2.370 moltiplicato 31 e diviso per 17 … nonostante lei conosca la matematica … saprebbe rispondermi … così, a caldo? –Evidentemente non era possibile, Maria annaspò, convinta di essere caduta in qualche trappola … cercò persino, a mente, di trovare la risposta, giusto per non passare da idiota.Allora iniziai la mia arringa: – Lasci perdere, ragazza mia, e solo un gioco di parole … adesso cominciamo a lavorare, va bene? – non attesi la sua risposta.‐ Si rilassi e mi stia a sentire: io sono molto ammirato del suo lavoro sa? – lei, stavolta, trasalì in modo evidente.‐ Nonostante lei è molto giovane e ha studiato ben altro … ha frequentato l’alberghiero, se non erro? Lei, in questo caos ha fatto del suo meglio. E’ da quanto sono arrivato che la seguo, Maria, lo sa? –Evidentemente non lo sapeva (tra l’altro non era del tutto vero) ma dimostrarle il mio interesse calmò un poco il suo animo, teso.‐ Noi abbiamo degli strumenti per fare questo tipo di calcolo, signorina, e lo stesso vale per l’organizzazione di un ufficio. Lo stesso vale per l’archiviazione di documenti e anche per l’amministrazione. – la guardai attentamente – Mi sono spiegato? Abbiamo dei mezzi ed io glieli insegnerò tutti … che ne dice? ‐La ragazzona cominciò a orientarsi e trovando, finalmente, il coraggio per incrociare il mio sguardo, mi sorrise con devozione. Ma io non vidi nient’altro che i suoi occhi azzurri come il mare … ci misi un attimo per tornare con i piedi per terra.Ma, Maria, questo non lo doveva sapere.