Serenatella - Seconda e ultima puntata
6 ‐ Confidenze
Avviato alla meglio il gruppo dei tecnici, presi posizione nell’ufficio, dedicandomi, finalmente alla mia attività vera e propria.
Maria, una volta arresasi al “boss” si era rassegnata a trasformarsi in “tabula rasa” e, efficiente come un treno, aveva assorbito tutte le nozioni per tenere in pugno una buona organizzazione del lavoro.
La ragazza aveva recepito, inoltre, un messaggio importante e, con grande umiltà, l’aveva fatto suo: io non sarei rimasto là in eterno ma lei, una volta imparato bene il mestiere, si sarebbe ritrovata con una importante esperienza lavorativa, utilissima anche nel caso avesse cambiato azienda.
Arrivò veloce la primavera e poi l’estate. Il tempo passava veloce, soprattutto con la simpatica complicità della ragazza.
Avevamo imparato a fidarci molto l’uno dell’altra.
Mi divertivo molto a seguire la sue fresche battute e la spigliatezza giovanile con cui affrontava la giornata.
Lo stesso valeva per lei … castigata, nell’abbigliamento e nell’esistenza, da un famiglia all’antica e abbastanza ignorante, a ventitre anni, aveva il destino già segnato.
Il suo fidanzato, un personaggio gretto, era anche il predestinato a sposarla … imparai così che una ragazza come lei, per convenzione, aspirava solo a quello: un “buon” matrimonio.
Praticamente, il suo sogno di libertà era limitato a desiderare una festa nuziale da “principessa” e due settimane in viaggio di nozze … poi sarebbe passata dal “dominio” paterno a quello del suo ragazzo.
Unica gioia, dopo: scegliere detersivi e imparare ricette, magari qualche bella gravidanza in successione, per diventare vecchia a trent’anni.
Non mi permisi mai di inserirmi in queste sue “certezze”, dopotutto, nonostante mi fosse molto simpatica, non erano affari miei.
Stavo al mio posto con lei, ma la trattavo come una sorellina minore o una nipote; intendiamoci, in quei mesi che passavano, ebbi modo di scoprire che, sotto la “divisa”, indossata, probabilmente, per ordine del suo “uomo”, si nascondeva una ragazza dal fisico notevole, con un sederino niente male e due gambe lunghe e affusolate.
La cosa più bella era che emanava una freschezza semplice … nonostante tutto; nonostante girasse quasi senza trucco, era sempre bella da guardare.
Cominciammo a darci del tu e, sebbene fosse sempre guardinga, come una gatta un po’ selvatica, conquistai molto la sua fiducia. Probabilmente perchè non avevo nessuna intenzione di provarci. Era troppo distante da me, ero troppo bacchettone rispetto al lavoro e alla differenza di età.
Quindi pur restando un uomo, e anche propenso al piacere, l’avevo reclusa tra le “bellezze impossibili” dandomi subito pace ai “genitali”.
Però le sue vicissitudini mi stuzzicavano e lei ne parlava con me con grande apertura, probabilmente, imparata la mia mentalità, aveva capito che, con me, si trovava in uno spazio “libero” che forse non aveva mai goduto nella sua esistenza semplice ma, costantemente, controllata. Nemmeno con le amiche, segregate anch’esse in una mentalità antiquata, poteva esprimere liberamente se stessa.
Anch’io le avevo parlato un po’ di me, della vita molto più libera che si respirava al nord e dell’emancipazione delle donne europee.
In pratica, se lei accettava tutta una serie di limitazioni era solo una sua scelta. Oggi il mondo girava diversamente.
Alla fine, lei raggiunse tanta confidenza con me, da narrarmi anche episodi della sua vita più intima e privata.
7 ‐ Le ferie ci cambiano
Maria lavorava con piacere, avevo fatto in modo che tutto filasse liscio e sembrava serena e felice. Veniva al lavoro con il gusto di uscire da un labirinto di schemi e tradizioni, per trovare, in ufficio, il piacere di sentirsi più emancipata. Discorreva alla pari coi responsabili delle aziende con cui eravamo in contatto, senza ansia da prestazione”.
Mi ritrovava con piacere; avevamo intrecciato una complicità tutta segreta ed io, solo nel profondo sud, la coccolavo come una nipote troppo cresciuta, senza secondi fini ma, innamorato della sua gioventù.
Era come avere attorno una capinera, che riempiva di voli e gioia l’ambiente monotono del lavoro.
A parte il fatto che, la mattina, Maria si aspettava la colazione … perchè io la viziavo con le specialità che avevo imparato a comprare nei piccoli laboratori “di eccellenza”.
Arrivavo presto, il mattino e durante il tragitto, recuperavo di tutto: babà, cannoli, cornetti, graffe, sfogliate … bomboloni, e, quando tutti erano usciti, guardinghi, tiravamo fuori il “cartoccio” del peccato. In quei momenti, la giovane, dimostrava appieno i suoi anni … con un metabolismo fulminante assimilava senza batter ciglio tonnellate di calorie, mentre io mi godevo il colorito suo, sazio, che aggiungeva una mano di carnicino, alle sue gote chiare.
A ora di pranzo, poi, Maria non poteva restare con me, sola, in ufficio (ma questo lo seppi dopo) … verso le due, al sud, si rallentano tutte le attività, come se tutta la regione facesse un po’ di pennichella. Allora il suo “uomo”, preventivamente geloso, le aveva ordinato di andare a fare la pausa pranzo, nel casotto del custode … in vetrina insomma, in modo che tutti potessero vedere la sua ragazza, lavoratrice sì, ma illibata.
Il portiere, poi, simpaticissimo personaggio locale, era alto la metà di Maria, mentre era il doppio in circonferenza. Aveva quasi sessant’anni ma, tentato dalla bellezza della ragazza, se n’era innamorato, a modo suo. La sera, quando ci salutavamo ed io andavo a prendere la macchina, mi trotterellava dietro, confessandomi le sue pene d’amore e i vili sotterfugi, che cercava di organizzare, per attirare la ragazza tra le sue braccia. Inoltre, odiava a piè fermo il ragazzo di Maria e, parlandone con me che sogghignavo divertito, lo apostrofava sempre con lo stesso, offensivo, nomignolo: “O’cornutone”!
Questo teatrino era uno spasso, una parentesi scanzonata nella monotonia della solitudine e del lavoro.
Naturalmente, la sera, quando parlavo con la mia amata Beatrice, le riferivo spesso gli episodi salienti del portiere innamorato e di Maria la “vergine operaia”.
Qualche volta si erano già sentite, al telefono, ed era anche avvenuto qualche scambio di battute, tra le due, a mio danno, ovviamente.
Quando all’inizio dell’estate, Beatrice venne a Napoli, prima di andare a casa, volli che vedesse dove lavoravo. In ufficio, oltre agli altri, le presentai anche Maria.
Misteri femminili: Maria fu cordiale e accogliente ma, per me che la conoscevo bene, era lampante che qualcosa non andasse … era come se avesse ricevuto una doccia fredda, non capirò mai bene il perchè.
Beatrice era una donna veramente notevole: bella, elegante, raffinata e dalla personalità palpabile, che riempiva l’ambiente, intono a se.
La mia compagna, fu molto amichevole nei confronti della giovane, durante le poche battute che si scambiarono, ma, subito dopo, Maria fu ignorata e se ne restò al posto suo, mentre noi discutevamo allegramente con i titolari.
Andammo via, poco dopo, ed io, preso dalla mia bella, che non vedevo da due settimane, mi scordai di tutto. Mentre viaggiavamo verso il tramonto, col sole che cercava refrigerio nel mare, sempre più blu, Beatrice disse, lapidaria:
‐ Hai fatto colpo sulla sguattera! – fu tagliente – Bravo! L’Alain Delon dei poveri … –
Restai colpito e stupito da quell’osservazione tanto assurda quanto precisa, e pensai che la sua tipica gelosia avesse ottenebrato, per un attimo, la mente lucida della mia ragazza.
8 ‐ Agosto, il mese dell’Amore
La settimana dopo il Ferragosto, la città si ripopolava lentamente.
Ritornai a lavoro più rilassato e anche un po’ abbronzato, più fresco insomma.
Quel mattino Maria arrivò verso le nove. Non c’era molto da fare e chiacchierammo un poco.
Capii che qualcosa non andava e glielo dissi, sincero; lei mi raccontò volentieri che era molto giù perchè il suo ragazzo era andato in vacanza da solo, con alcuni amici, mentre lei, bloccata dai genitori, aveva dovuto restarsene a casa, a conservarsi integra e obbediente per il matrimonio.
‐ Dopo sposata andate dove vi pare! – le aveva detto la mamma, però la sua delusione principale era che il suo lui l’aveva lasciata, fregandosene.
‐ E poi – concluse amaramente – se veramente ci sposiamo, farò la fine delle mie cognate … comunque resterò a casa a fare la sguattera e il cane da presa. A volte vorrei tanto essere come una di quelle donne emancipate che conosci tu, che fanno ciò che gli pare. –
La ragazza era tesa e anche un po’ dimagrita. Nonostante le facesse piacere sfogarsi con me, un velo di tristezza stazionava sulle sue palpebre.
‐ E per finire ho male al collo da due giorni, soffro di cervicale! –
‐ Si, si – risposi seccato – e magari hai pure la gotta alle caviglie … Maria: tu hai vent’anni, capisci? – e le spiegai che le mancava solo un po’ di felicità … uno spazio suo, magari segreto, contro quel mondo gretto che, ormai, le stava troppo stretto.
Le avevo portato delle deliziose brioche con la crema di limoni e cercai di rallegrarla con qualche battuta … le recitai persino una poesia, altro non era che le sole parole di una canzone napoletana. Ne rise, felice come una bambina.
Poi, visto che quei pochi che erano al lavoro, sarebbero stati fuori tutto il giorno, le feci anche una proposta “indecente”: se riusciva a trovare una scusa, la invitavo fuori, per un pranzetto veloce.
Infine, per la cervicale, le avevo più volte detto che ero bravissimo nei massaggi, mi offrii di fargliene uno, seduta stante.
In realtà, spesso, i dolori articolari, sono dovuti alle energie traumatiche e allo stress stazionarie nei nervi e avvelenano le articolazioni.
Non me l’aspettavo però, stavolta, lei accettò.
Allora le proposi di spostarci in una delle stanze interne: non si sa mai, poteva entrare qualcuno ed equivocare sulla nostra posizione.
Maria, ebbe una piccola esitazione ma poi disse che si fidava di me … e io ne risi.
E in quell’ufficio anonimo, in penombra, iniziò una tra le storie più brevi e delicate della mia vita … una vera “serenatella”. Dolce, senza pretese, come sì confà alle cose belle della vita: semplici, immediate, spontanee.
Cominciai, sedendomi davanti a Maria; la feci porre in piedi, voltata verso me, ad occhi chiusi. Teneva le braccia abbandonate sui fianchi; era tesa come una corda di violino e oscillava pericolosamente.
Quando le mie mani raggiunsero le sue gambe, nonostante il jeans, sussultò, come chi si spaventa, per lo schianto di uno specchio infranto
Usai la voce per tranquillizzarla, stemperando l’assurda tensione che si era creata, intanto salivo con le mani fino alle ginocchia, si sentivano benissimo essendo la fanciulla ulteriormente dimagrita.
Maria aveva accelerato il suo respiro. Le dissi che, se la prendeva così, era meglio smettere; non facevamo nulla di male. Se le piaceva restare nella sua condizione di soggezione a tutto e a tutti, io non potevo farci niente.
Con uno sforzo sovrumano, combattendo contro ognuno dei valori e dei limiti con cui era abituata a convivere, la giovane mi disse di andare avanti: voleva!
E si sciolse come burro al sole … sentii le sue membra rilassarsi e predisporsi ad aspettare l’indagine delle mie mani maschili.
Allora mi misi in piedi e mi spostai alle sue spalle; le carezzai i fianchi, poi la schiena. Andavo su e giù ma mi fermavo al limite dei glutei, dove incontravo la cintura dei pantaloni.
Quando non riuscii più a farne a meno, iniziai a baciarla sul collo, imperlato di goccioline fredde, di sudore nervoso.
La pelle d’oca la rendeva ancora più presente ed eccitante sotto i mie polpastrelli.
Le mille ritrosie, le barriere che mi accorsi, solo allora, di avere eretto a mia volta, caddero giù, come un castello di sabbia, mentre assetato della sua carne, la carezzavo, indagando, e indovinando le sue forme, tra gli stretti passaggi che gli indumenti concedevano.
Con la sinistra, infilai la via della pancia, piatta e arrendevole, salii sotto la maglietta ecru e seguii il suo sudore, fino a perdermi tra i due piccoli seni, dove i capezzoli, puntuti e duri, erano due bottoncini caldi.
L’altra mano lenta e sicura, profittò della magrezza giovanile di Maria.
In piedi, le anche pronunciate, lasciavano aperto un largo spiraglio, subito dietro la cintola. Ancora una volta, mi servii di quella pancia, piatta e complice, foriera di delizie, per avventurarmi in basso, con la mano destra.
Le dita scendevano e il calore del “paesaggio” aumentava, diventando tropicale … là, dove le cosce tornite si distendevano, lunghissime, verso i piccoli piedi curati. E poi, risalendo, al centro di esse, perchè, sotto la pancia, c’era lo slip, sicuramente bianco e castigato. Mi spezzava il fiato nella sua libidinosa castità, mi sfidava i sensi col profumo della sua purezza.
Riuscii a scendere al di sotto delle mutandine, tra le due cosce, a cui, il suo fisico, quasi adolescenziale, non permetteva di toccarsi.
Eppure, un calore umido e sublime, faceva venir voglia di tuffarsi, in quell’afrore dai profumi intimi e segreti.
Maria era rossa in viso, incapace di ogni reazione; cercava di ribellarsi, di esprimere un disappunto che non c’era, così, deliziosamente, proferiva dei pensieri sincopati e senza senso.
Continuai a tentarla, senza essere né aggressivo né frettoloso, le diedi il tempo di accettarsi e di arrendersi al suo stesso desiderio.
Intanto, aprivo, toccavo, godevo … l’animo mi si spaccava per la fresca sincerità di quel momento. Non c’era appuntamento di amanti: la ragazze era là, genuina, semplice, come una rosa selvatica, tanto bella, quanto inattesa, nel suo splendore tra le forre.
Quando, la “femmina” che era in lei, vinse la sua ingenuità e, coraggiosa, si presentò al richiamo feroce del sesso, Maria si lasciò andare nelle mani del maschio, come forse aveva desiderato ma senza saperselo figurare.
Ora reclamava il premio, potente, per la sua sofferta trasgressione e io non aspettavo di meglio.
Per prima cosa, e senza dolcezza, le guidai la mano sul membro, per dimostrarle quanto la volevo … e lei impazzì, aggrappandosi anima e corpo, a quel caldo segnale virile.
Era mia e volevo stupirla, sconquassarla, segnarla come una preda: non doveva più scordarsi di me.
La presi per mano e contrariamente alle sue aspettative, invece di inoltrarci verso il buio, la trascinai verso la luce.
La sua postazione, oltre alla lunga scrivania, era sovrastata da un’alta ribalta, un bancone e li la feci appoggiare, con i gomiti. Era costretta a guardare fuori, come se niente fosse; io, seduto alle sue spalle, le abbassai jeans e slippini, per poi affondare, di faccia, tra le sue natiche, che, dopo un attimo di sorpresa, si inarcarono e mi aprirono la via, verso il suo sapore di giovane donna in calore.
E poi, sempre da dietro, quando mi misi in piedi, la possedetti … mentre Maria faceva finta di nulla con se stessa e col mondo che, da fuori, la guardava senza vedere: né le sue gote rosse, né i suoi occhi azzurri, pervasi, finalmente, dal guizzo della lussuria.
Quel bancone divenne il nostro angolino erotico. Alle sue spalle avveniva di tutto. Maria imparò presto a sedersi a sua volta: in quel caso, era lei che mi succhiava il piacere da dentro, con la bocca e con sempre maggiore sapienza.
Per alcuni mesi diventammo amanti e le insegnai tutto, gustandomi ogni palpito del suo cuore innamorato.
Non so dove sia adesso Maria, ma certo, nonostante gli anni, non dimenticherò mai le semplici effusioni, le note delicate, di quella deliziosa serenata napoletana.
FINE