Serie - Dalla parte dei poeti - Saggio critico e storico su Umberto Saba; omaggio al poeta nel 55°anniversario della morte.
= Saba, il poeta snobbato =
Umberto Saba (che in ebraico sta per pane) é lo pseudonimo di Umberto Poli (1883‐1957): alcuni pensano lo abbia scelto in onore della balia, Peppa Sabaz, a cui era intimamente e profondamente affezionato, o in omaggio ‐ appunto ‐ alle origini ebraiche del bisnonno Samuel David Luzzatto. Egli può di sicuro ‐ ed a giusto motivo ‐ essere annoverato tra i "big" della nostrana letteratura d'ogni epoca: egli, infatti, fu artista a tutto tondo, vero cultore di scrittura e poesia ancorché maestro assoluto nella ricerca viva, concreta, lucida e sincera della parola pura e semplice, ossia nell'uso della parola "fine a sé stessa" che, d'altro canto, non l'impedì in primis di accostarsi e poi di aderire ed abbandonarsi ‐ caldamente, con passione viva e sentimento profondo ‐ alla realtà umana né di allacciarsi all'insieme di "buone ed umili cose" che circonda l'uomo. Nonostante tutto, però, il poeta giuliano molto spesso ‐ nonché a torto ‐ così, del resto, come accadde durante il ventennio fascista, per via delle origini ebraiche della madre, ‐ venne messo in second'ordine se non addirittura snobbato dalla critica, dai programmi didattico‐educativi di scuola ed università nonché dagli stessi insegnanti e studenti: ed accadeva probabilmente perché egli era compresso, letteralmente quasi schiacciato dalla imponenza preponderante e dal prestigio poetico e letterario di autori suoi contemporanei quali i nobel Pirandello e Quasimodo, o gli stessi Ungaretti e Montale ‐ che, tra l'altro, li furono vicini in diversi momenti difficili della sua vita ‐ o forse, perché più semplicemente era difficile "inquadrarlo" in una delle correnti dominanti del suo tempo. A questo proposito val bene riportare quanto scrive Salvatore Guglielmino nella sua notissima "Guida al novecento": ‐ Saba ci si presenta come un poeta solitario e, nel contempo, coerente che, tra il rutilare dei miti d'annunziani, i clamori futuristi, o la macerazione ermetica, continua a mantenere una rara fedeltà al suo mondo e al suo timbro...‐ ed io, aggiungo: ‐ chapeau (come affermerebbero nostri cugini d'oltralpe!), dinanzi a cotanta ed indubbia autenticità di intenti e genuina coerenza! Peraltro, lo stesso Maurizio Cucchi nel suo noto "Dizionario della poesia italiana" ribadisce il concetto e tanto aggiunge: ‐ la poesia di Saba é un capitolo potentemente isolato del nostro secolo, di cui costituisce uno degli esiti maggiori. Rarissimi sono stati i punti di reale sua coincidenza con il gusto e le tendenze prevalenti del tempo, essendo Saba per natura e necessità, oltre che per formazione culturale, su posizioni di irriducibile antinovecentismo. Legato alla tradizione poetica italiana e al tardo romanticismo tedesco (Heine), lontanissimo da suggestioni di tipo decadente o simbolista, con un linguaggio di base carico di arretratezze o arcaismi, Saba ha sviluppato un discorso di piena autonomia anche consapevolmente anacronistica. La sua grandezza si é fondata essenzialmente su di una straordinaria energia morale, sulla capacità di essere, vedere e penetrare nella realtà quotidiana. ‐
= Vita e dolore (per tutti) =
Tutto ciò che é vivente, in quanto tale, vive e soffre proprio perché é dolore ‐ da prendere sempre (e comunque), insieme alla vita, con serena ed umana, seppur amara, accettazione ‐ la vita stessa!
Pertanto il dolore é con tutti, accompagna tutti e non risparmia nessuno, riguarda proprio tutti (nessuno escluso ed allo stesso modo) a questo mondo: tanto il filo d'erba od il fiore, quanto l'uomo stesso o la capra. In buona sostanza, per il poeta triestino dolore e sofferenza ci rendono tutti eguali, pongono ogni essere vivente ed animato sullo stesso piano e sulla stessa barca...quella dell'esistenza: è come poterli dar torto, mi verrebbe da domandarmi? Tal concetto é superbamente espresso, sebbene fatto con linguaggio tanto semplice, preciso e concreto (netto o nettamente chiaro, direi!) da poter addirittura apparire quasi scarno e disadorno, nella poesia ‐ riportata sotto integralmente.
‐ "La capra" (da: "Casa e campagna")
Ho parlato a una capra
era sola sul prato, era legata
sazia d'erba, bagnata
dalla pioggia, belava.
Quell'uguale belato era fraterno
al mio dolore ed io risposi, prima,
per celia, poi perché il dolore é eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.
In una capra dal viso semita
sentivo querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita.
‐ Suprema, intensa e mirabile prova della facoltà del poeta di discendere (o di innalzarsi) a quella misteriosa dimensione in cui la vita degli uomini si incontra e si identifica con la vita degli animali. [DESIDERIO].
= Trieste, ovvero il primo amore non si scorda mai =
Trieste fu punto focale e di primaria (se no assoluta) importanza per Saba, il vero nodo strategico della esistenza e dell'arte sua stessa, quello attorno a cui ruotarono e si dipanarono poi ‐ come una matassa che si sbroglia piano piano ‐ tutti gli altri (celebrazione del quotidiano, angoscia di vivere, dolore esistenziale, etc.): la città giuliana, che all'epoca però era ancora integrata nell'impero austro‐ungarico, diede al poeta i natali (aspetto di non poco conto, evidentemente!) e lo vide ritornare, più volte, dopo alterne vicissitudini personali ed umane e varie "fughe" (volute o meno, ma questo poco importa!), od il girovagare per altri lidi, come a simboleggiare l'approdo in porto (sicuro) dopo l'alterna (e perigliosa) navigazione negli oceani della vita. Insomma, per dirla breve, Trieste ha rappresentato tutto (e forse anche di più!) per il poeta, ovvero é stata il primo amore della vita sua (e senz'altro unico, insieme a quelli per moglie e figlia) quantunque vissuto, a volte, in un rapporto e con toni di conflittualità estrema: l'amore, appunto, che non si scorda mai seppure ti faccia soffrire! Trieste fu per Saba la "sua" città così come Lina ‐ diminutivo della moglie Carolina Wolfer ‐ la sua donna ("Trieste é la città, la donna Lina", egli stesso dirà in "Autobiografia") ed il lavoro, la di lui opera (come già scritto) risentirono parecchio (in positivo, ovviamente!), ruotarono spesso e volentieri intorno ad essa. A Trieste ‐ ed alle sue cose, ai suoi luoghi, alle sue "plebi" ‐ l'artista dedicò, infatti, tanti versi (da "Il borgo", che contiene la famosa dichiarazione di poetica, a "Città vecchia", o "Ultimi versi a Lina", etc.), produzione in prosa (ad esempio "Gli ebrei" del 1910‐12), perfino un romanzo autobiografico ("Ernesto", uscito postumo nel 1975). A parer mio, però, é la poesia "Trieste" ‐ riproposta dopo le mie note ‐ da ritenersi fondamentale sotto questo aspetto, essendo quella che più genuinamente, ancorché fedelmente, rispecchia lo stato d'animo e il sentimento di Saba verso la sua città: essa quì assurge a vero e proprio simbolo della stessa sua vita, in eterno conflitto tra gioia e dolore, dolce e amaro. Mi pare doveroso chiudere con le parole dello stesso poeta che nel suo autocommento in "Storia e cronistoria del Canzoniere" così si esprime: ‐ Trieste é la prima poesia di Saba che testimoni la sua volontà precisa di cantare Trieste proprio in quanto Trieste, e non solo in quanto città natale. E'accaduto per Trieste come per Lina. Nel libro "La città e la donna" assumono i loro inconfondibili aspetti; e sono amate appunto per quello che hanno di proprio ed inconfondibile". (E non é un caso, aggiungo io, se la stessa poesia é contenuta nella raccolta "Trieste é una donna").
‐ "Trieste" (da: "Trieste e una donna")
Ho attraversata tutta la città.
Poi ho salita un'erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.
Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
é come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore,
come un amore
con gelosia.
Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all'ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l'ultima, s'aggrappa.
Intorno
circola ad ogni cosa
un'aria strana, un'aria tormentosa,
l'aria natia.
La mia città che in ogni parte é viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.
= Cronologia delle opere =
Saba é stato autore alquanto prolifico e lo dimostra il fatto che la sua produzione letteraria fu tanto lunga, direi quasi infinita ‐ iniziò, infatti, durante il servizio di leva e si concluse poco prima che egli morisse! ‐ quanto vasta (e varia): comprende ben cinquantadue opere, distribuite in modo assai eterogeneo ed assortito tra poesia (trentatré, incluse sei raccolte pubblicate postume), narrativa e prosa (diciannove, inclusi tredici epistolari pubblicati tutti postumi). Tuttavia, la poesia sabiana ‐ nonché la "poetica" dell'autore triestino ‐ é possibile raccchiuderla in toto principalmente nel Canzoniere, il quale ebbe varie edizioni, ogni volta modificate e accresciute: la prima fu quella del 1921, a cui seguirono quelle del 1945, 1948, 1951 e 1961 (postuma e conclusiva). Di seguito é riportata una cronologia soltanto essenziale, compendiata (ma spero, tuttavia, ben esaustiva) del lavoro e corpus letterario del poeta.
a) Poesie (raccolte)
Il mio primo libro di poesie, 1903; Versi militari, 1908; Poesie, 1911; Coi miei occhi (Il mio secondo libro di poesie), 1912 (nel Canzoniere diverrà Trieste e una donna); Cose leggere e vaganti, 1920; L'amorosa spina, 1921; Il Canzoniere, Trieste, 1921; Preludio e canzonette, 1923; Autobiografia. I prigioni, 1924; Cuormorturo, 1926; Preludio e fughe, 1928; Parole, 1934; Ultime cose, 1943; Il Canzoniere, Torino, 1945; Mediterranee, 1947; Il Canzoniere, Torino, 1948; Storia e cronistoria del canzoniere, 1948; Trieste e una donna, 1950; Il Canzoniere, Torino, 1951; La serena disperazione, 1951; Uccelli, quasi un racconto, 1951; Il Canzoniere, Torino, 1961; Il piccolo Berto 1923‐31, 1961.
b) Prose e narrativa
Scorciatoie e raccontini, 1946; Storia e cronistoria del canzoniere, 1948; Ricordi‐racconti 1910‐47, 1956; Epigrafe. Ulime prose; Quel che resta da fare ai poeti, 1961; Ernesto, 1975.
c) Epistolari
Il vecchio e il giovane, Carteggio con Pierantonio Quarantotti Gambini, 1965 (curato dalla figlia Linuccia); Lettere inedite con Svevo e Comisso, 1968; L'adolescenza del canzoniere e undici lettere, 1975; Amicizia. Storia di un vecchio poeta ed un giovane canarino, 1976 (curato da Carlo Levi); Atroce paese che amo, lettere familiari (1945‐53); Lettere sulla psicoanalisi, carteggio con Joachim Flescher 1946‐1949, 1991 (contiene lettere al dottor Edoardo Weiss e quelle di Weiss a Linuccia Saba; Lettere a Sandro Penna 1929‐40, 1997; Quante rose a nascondere un abisso: carteggio con la moglie 1905‐56; Il cerchio imperfetto: lettere 1946‐54, carteggio con Vittorio Sereni.
= Antologia critica =
In Saba non c'é traccia di volontà orfiche, non c'é celebrazione del mistero [MARIO LAVAGETTO].
Le parole in Saba si presentano naturalmente, come i segni necessari delle cose che egli vuole dire. Sono e appaiono, come imposte dalle cose direttamente. [GIACOMO
DEBENEDETTI].
La profondità dello scavo etico‐psicologico di Saba dona al suo linguaggio l'essenzialità che gli altri "lirici puri" cercarono per strade diverse, soprattutto nei vertiginosi trapassi analogici [MARIO PAZZAGLIA] ‐ Note sulla poesia "Sovrumana dolcezza" in Letteratura italiana, vol.III°, Bologna, Zanichelli, 1986, 2^edizione.
Frequente é nella poesia di Saba l'osservazione morale lucida e mesta, disincantata eppure sempre intimamente compartecipe e sofferta [MARIO PAZZAGLIA]. Note sulla poesia "Il fanciullo e l'averla" in Letteratura italiana, vol.III°, Bologna, Zanichelli, 1986, 2^ edizione.
La sua visione della vita é astorica: l'uomo, le stagioni dell'esistenza e i tipi umani hanno caratteristiche fisse [GIORDANO CASTELLANI].
In lui vi é l'aspirazione ad immettere la sua dentro la calda vita di tutti, di essere come tutti gli uomini, di tutti i giorni [CARLO MUSCETTA].
L'esperienza di Saba deve essere riportata alle origini, al clima dell'energica e giovanile cultura della Venezia‐Giulia, a quel sapore acerbo di romanticismo tempestoso e di moralismo tormentato, in cui si collocano anche le esperienze distinte ed affini di Slataper, di Michelstadter, di Italo Svevo. Un romanticismo, al quale é venuta meno tanta parte dell'antico fervore, di quello slancio cordiale e gioioso che fu del primo ottocento, che ha smarrito la possibilità di un consenso immediato, di una coincidenza piena tra cultura e vita; ma in cui sussiste tuttavia il bisogno del consenso, l'esistenza di un rapporto, di una comunicativa, il desiderio di uscir da sé stessi, di "vivere la vita di tutti, d'esser come tutti gli uomini di tutti i giorni" (NATALINO SAPEGNO in "Compendio di storia della letteratura italiana" ‐ vol. III°, Firenze, La Nuova Italia, 1985, 2^edizione).
Saba non ha mai perso il contatto con la realtà umile, con la cronaca dei sentimenti elementarr. Anche la sua poesia migliore nasce, non dalla rinunzia, anzi dall'intensificarsi e inasprirsi della sua tenace volontà di confessione, di diario denso di opache vicende, di figure anonime e banali. Saba é riuscito in ogni tempo a trarre luce di poesia dalla materia più umile e popolare: é il lirico più umano del nostro tempo, e ci sembra di tanto più vicino, quanto più gli altri sono remoti e più chiusi ed astrusi. E perciò, indipendentemente dalla maggiore o minor felicità delle sue prove e dalla scarsezza stessa dei risultati raggiunti in senso assoluto, questo soprattutto importa, che dal suo libro (n. b. "Il Canzoniere") ci venga incontro una folla vivace di creature e di oggetti, e il colore caldo di una città, e tutta intera la storia di un uomo (NATALINO SAPEGNO in "Compendio della letteratura italiana" ‐ volume III°, Firenze, La Nuova Italia, 1985, 2^edizione).
da: una mail inviata a rai storia il 25 agosto 2012.