Sottomissione di una vecchia signora 1

Erotico per adulti. Sesso estremo. Trasgressioni.

Il sesso è una fatalità.
Oliviero Toscano

Elvira aveva 60 anni.
Tentava di evitare il ridicolo ma, se sapeva resistere alla tentazione di spingersi oltre la semplice cortesia, le era impossibile trascurare la visita, quasi quotidiana, al negozio di cianfrusaglie dove lavorava "l'oggetto" del desiderio per eccellenza.

La tenda di perline tintinnò ammiccante e lei entrò, cercando di fare il meno rumore possibile. Desiderava essere invisibile. Voleva solo guardare il giovane, di nascosto, e bearsi della sua virile perfezione. Lo trovò intento a sistemare uno scaffale di ninnoli assortiti. Paccottiglia inguardabile. Non come quel suo fondoschiena perfetto, alto e sodo troppo fasciato in pantaloni almeno di una taglia più piccoli.
Deglutì. Il giovane uomo non si accorse si essere osservato e si passò distrattamente una mano fra i capelli chiari, leggermente lunghi. Un gesto affascinante, quasi erotico.
La voce femminile di un'altra commessa la fece trasalire.

‐ Buonasera, desidera?

‐ Ecco... Io... ‐ la vecchia fu presa alla sprovvista, si scrollò per uscire dallo stato ipnotico suscitato dall'attrazione indomabile. Stava quasi per arrossire...

Ma lui la salvò con galanteria, le fu subito accanto; sorrise come faceva tutte le volte che la vedeva.

‐ Alla signora penso io, non ti preoccupare.

Elvira aveva 60 anni.
Da 7 era vedova... e, da 3 mesi si comportava come una scolaretta alle prime armi: entrava e usciva da un negozio, che vendeva merce del tutto avulsa dalle sue necessità, per comprare, informarsi e valutare, con accuratezza certosina, le più astruse sciocchezze e i ninnoli più inutili.
Non poteva continuare così!
Non tanto perché ne soffriva la sua pensione, quanto per il fatto che, ormai, il suo comportamento bislacco si cominciava a notare.
Pure, quando il ragazzo era da solo, si trovava a suo agio e lui (magari la trovava ridicola) non faceva trasparire i suoi pensieri, anzi. Era talmente gentile, immediato, innocente, con quel suo sguardo azzurro, che la faceva sentire importante.
La sua dolcezza era come un cicchetto di grappa: a Elvira girava la testa e, per un attimo, dimenticava la differenza abissale che li divideva, peggio di un precipizio... una maledetta crepa che s'allargava, inesorabile, ogni giorno che passava.
A darle un colpetto odioso, invece, fu il sorrisetto ironico della commessa: la giovane aveva capito tutto. La troia, quando c'era, la osservava con condiscendenza malcelata. Tutto ciò non la feriva, lo riteneva normale, ma non sopportava l'idea che, quei due ridessero di lei, magari nel retrobottega, mentre, nell'ora di pausa, si scambiavano effusioni e carezze, intime e furtive.
Insomma: la sciacquetta trionfava sui suoi 60 anni, e di sicuro si godeva il suo collega; nessuna donna sana se lo sarebbe lasciato scappare... che rabbia le facevano quelle considerazioni, mentre sul faccino delicato, cercava di portare un sorrisetto placido, da nonnina appagata che si avvia tranquilla sul viale del tramonto

‐ Veramente, Fabio, avrei una richiesta un po' particolare... solo se si può, è naturale... ‐ Elvira partì all'attacco, giusto per lo sfizio di far rodere il fegato all'altra donna. Usò il "tu" che si erano concessi qualche giorno prima, per trattare con intimità, Fabio... il suo giovanotto preferito.

‐ Vedi ‐ continuò ‐ ho una veranda a casa e mi sono innamorata del vostro mobiletto di rattan, ecco, quello appena dietro la vetrina... prima non c'era vero? E' in vendita? ‐ Fabio rise e le spiegò dove l'avevano acquistato, ma per l'esposizione non per la vendita.
Ma Elvira questo l'aveva già intuito...

Il giovanotto fu gentile (e la "povera" Elvira non guidava) così, superando ogni aspettativa della signora, egli si dimostrò un gran signore; infine, e questo Elvira lo seppe solo dopo, la donna del negozio non era una commessa ma la proprietaria. Così ciò che avvenne raggiunse una notevole serie di scopi inaspettati... probabilmente la sua sessualità, più che matura, non sarebbe cambiata di una virgola ma, di sicuro, il suo orgoglio di donna ne usciva trionfante. In poche parole: Fabio si offrì di procurarle lo stesso mobiletto e di portarlo fino a casa sua.
Elvira sfoggiò, con un bel sorriso, tutto il "dolore" per aver arrecato tanto disturbo e, intanto, la donna del negozio schiumava, mentre Fabio accompagnava la vecchia alla porta benigno e rassicurante. Elvira andò via raggiante; al costo dell'inutile stipetto avrebbe aggiunto volentieri qualsiasi mancia... ne valeva la pena.
Si erano accordati per la domenica, nel primo pomeriggio, tra pochi giorni Fabio sarebbe stato a casa sua, non si faceva illusioni, non era il tipo, ma di certo si sarebbe goduta quella visita così speciale.
Maledetti imprevisti!

Alle 15 di domenica, puntuale, Fabio, in Jeans e maglietta attillati, arrivò, ma non recava con se un mobiletto, bensì un paio di scatole di cartone e persino la cassetta per i ferri.

‐ Sono stata una sciocca... mi perdoni; io non immaginavo... non posso rubarle altro tempo... e poi, di domenica... ‐ disse Elvira, veramente imbarazzata. Effettivamente non si era resa conto che oggi, i mobili, li vendono così, in scatole di montaggio.

‐ Ma non ci davamo del tu? ‐ rise mostrando la splendida dentatura. ‐ A quest'ora io prendo sempre il caffè... e tu?

‐ Oh, sì... ma certo, figurati, farò il più buon caffè della mia vita! – promise lei allegra, contagiata dal giovane solare. Era raggiante, e mentre, correva in cucina, Elvira si sentì addosso 20 anni di meno, e magari li dimostrava, chissà?

Per fortuna aveva conservato un fisico asciutto. Da giovane era stata magra: una donna alta, elegante, apprezzata. Inoltre, per scaramanzia, il sabato si era recata in un centro estetico fuori mano, per chiedere operazioni dolorose, costose e segrete, che, all'estetista del suo coiffeur, non avrebbe mai osato chiedere.
Indossava una vestaglia semplice, coi bottoni, e sotto delle collant velate nere, tutto qui. Di sotto portava solo una canotta aderente, nera: il seno piccolo, una volta era il suo cruccio, adesso ringraziava il cielo, perché, anche con il solo sostegno del top, ancora non cascava giù. Aveva trovato il coraggio di abbondare col suo profumo, anche se adesso, con Fabio a pochi metri da lei, trepidava per la paura di mettersi in ridicolo.
Da un lato era euforica, dall'altro temeva di sbagliare a ogni gesto che compiva. Di una cosa sola era certa: con quel giovane non sarebbe mai successo niente di più... ma... in un angolo remoto e dolente della sua coscienza, una maledetta, stupida speranza, non voleva saperne di scomparire per lasciare il posto al necessario buonsenso.
Il pomeriggio volò via in fretta. Fabio sembrava del tutto a suo agio, smanettando tra pinze, cacciaviti e chiavini; lavorava comodo, prendendosi delle lunghe pause, per chiacchierare con la padrona di casa. Elvira si fingeva tranquilla, mostrando una disinvoltura che era ben lontana dal sentire. Ogni frase "spontanea" che le usciva di bocca era frutto di una costante e trepida autoanalisi.
"È giusto dire questo?"; "Posso nominare quel film... quella canzone? o mi farà sembrare più decrepita e ridicola di quanto già sono?"
E poi: "Si sta così bene con Fabio. Vorrei che questo pomeriggio non passasse mai!" E ancora: "Cosa diavolo mi sono messa in testa?"
Insomma Elvira, dopo anni di isolata e triste routine, si sentiva felice e, allo stesso tempo, frustrata, perchè tutto quel che desiderava non se lo poteva permettere. Non avrebbe mai creduto che essere vecchi avrebbe potuto comportare tanta passione, tanta indecisione e tanta, incontenibile, immaturità.
Ma il tempo passava e il ragazzo rimaneva padrone della situazione. Lui, almeno, sembrava godersela, senza porsi troppi freni e (Elvira ci fece ben caso) senza misurarsi assolutamente; Fabio la trattava come fossero stati coetanei, non ricercava le parole; non centellinava i pensieri: sciorinava le sue idee senza ritegno, l'unica cosa che non faceva assolutamente era provarci.
Alla fine le cose continuarono a scorrere, leggiadre e senza peso.
Fabio, sudato e imbrattato, chiese a Elvira se sarebbe stato troppo sperare di usufruire della sua doccia; Elvira chiese a Fabio se non gli sarebbe dispiaciuto trattenersi per cena.
Tutto facile, tutto amichevole, come in un sogno, felice e inatteso.
Il giovane insistette per la pizza, Elvira le ordinò. Alle otto erano a tavola, nell'accogliente, immacolata cucina.
Dal salotto, le note soffuse di una raccolta di musica soft. E, finalmente, dopo il primo calice di vino frizzate, Elvira (che era quasi astemia) si lasciò andare. Sprofondò in un piccolo paradiso rosa, dove il tempo non dominava più sullo spazio e l'amicizia, genuina e piacevole, non aveva età.
Aveva combattuto tutto il pomeriggio con la sua capacità di "fingersi" spontanea... adesso lo era veramente, e un possibile giudizio negativo, da parte di Fabio, non avrebbe avuto nessuna importanza, per quella sera, almeno.
Si sentì la sua amica del cuore: avrebbe persino potuto offenderla, non le sarebbe importato un fico secco. Stava bene, stop! Tutto il resto non le importava più... e pensare che in tutta la sua lunga e scontata esistenza, sensazioni così erano capitate talmente di rado che iniziava a dubitare di non essersi mai sentita tanto bene.
L'euforia si protrasse fino alle undici, quando Fabio dovette andare via: il giorno dopo lo attendeva il lavoro e quell'arpia, "purtroppo assai giovane", della proprietaria del negozio. Un guizzo di curiosità femminile attraversò il cuore dell'anziana signora, ma seppe tenerlo a bada e non chiese a Fabio se, magari, tra loro due ci fosse qualcosa di più di un rapporto di lavoro, ma si trattenne.
Niente di speciale accadde tra i due, però Fabio, prima di uscire, quando la porta di casa era ancora chiusa e i due erano nella penombra, salutò Elvira con un abbraccio affettuoso e virile, poi, mentre continuava a stringerla a sé, le baciò il collo e le guance, premendo con le labbra tumide e facendo impazzire il cuore della donna.
Fabio uscì senza aggiungere nulla e socchiuse la porta sul suo sorriso... Elvira arrossì quando il giovane era già andato via, con la testa che le girava non volle fare niente, quella sera. Corse a buttarsi sul suo lettone e si masturbò con ferocia, come non le capitava da tanto; se ne venne tra le dita, smaniando sul letto; approfittando ancora delle sensazioni che le aveva impresso sul corpo, il giovane Fabio: la forza delle sue braccia, il calore dei suoi baci innocenti e le tracce del suo profumo di uomo, che lentamente svaniva, da quella sua casa asettica e solitaria.

2
"Maledetto lui! Maledetta lei!" pensava Elvira nella sua mente offuscata dalla fantasia e dall'eccitazione, sopita per anni nella sua mente, avvezza a sentirsi una donna anziana. Adesso, un po' per "calore" di femmina, un po' pure per gioco, la vecchia si tirava tutta una serie di competizioni, gelosie, emozioni... con chi, magari, non si era nemmeno accorto di lei.
Resistette una settimana senza notizie di Fabio, poi suo malgrado, non riuscì a fare a meno di cercarlo... aveva il suo numero di cellulare, ma non aveva idea di cosa chiedergli, così preferì recarsi al negozio, però ci trovò solo la strega. Dopo aver cincischiato in giro alcuni minuti, si fece sfrontata e chiese notizie del giovane, servendosi di una scusa. La donna la squadrò dalla testa ai piedi. Gelosa? Possibile? Certo sarebbe stata una bella soddisfazione... anche se solo morale.

‐ Fabio? Non gliel'ha detto? È in viaggio di nozze... o qualcosa del genere, non saprei nemmeno se ritornerà a lavorare qui. Cosa le serve?
Elvira avrebbe voluto sparire. Lasciò il negozio biascicando una scusa e si allontanò il più velocemente possibile.
Il peso degli anni le ricadde tutto addosso. Dopo lo smarrimento, in pochi minuti era ritornata vecchia; giusto il tempo di vergognarsi con se stessa: poi l'oblio della sua vita piatta e incolore la pervase nuovamente. Fabio, la cena, i sogni: tutto si era spezzato come uno specchio che si schianta; il ricordo di quella serata folle si ridusse prima in pezzetti minuti e poi, finalmente, in polvere, allontanandosi nel tempo come se tutto fosse accaduto mille anni prima.

‐ Elvira?
‐ Sì, ma chi... ? – La donna non finì nemmeno la frase, non poteva sbagliare, era la voce di Fabio. Nonostante fossero passati oltre due mesi, non poteva sbagliare.
‐ Vedi... se non ti spiace, io ti vorrei dire un paio di cose, magari se puoi, da vicino...
‐ Ma... ‐ disse lei, stordita dalla sorpresa. Intanto, anche la sua visione rispetto a Fabio e tutta quella sua folle fantasia era diametralmente cambiata. Elvira era tornata un'anziana signora e Fabio, per lei, un simpatico ragazzo. – Non saprei, di che si tratta? Non puoi dirmi al telefono?
‐ Se non ti disturba, preferisco da vicino... magari in un posto... un bar, scegli tu. Si tratta solo di pochi minuti.
Elvira ci pensò su un momento. Aveva già frainteso tutto una volta... magari voleva un prestito, oppure solo un consiglio. Però, in definitiva, lei si fidava di quell'uomo, dopotutto era stata lei a farsi "un film" nella testa, lui non aveva mai fatto niente di sconveniente.
‐ No, no, perché? Vieni pure a casa, sai dove abito, – disse, un po' risollevata – dimmi quando, però?
Ma Fabio insistette perché si vedessero in una tranquilla sala da Te.
‐ Scusa, ma sono sicuro che, se vengo a casa, non riesco a dirti... a comunicare...
La curiosità fece il resto e i due s'incontrarono il giorno dopo, nell'ora di colazione, ovviamente il retro con i tavolini era deserto.

‐ E così, ti sei sposato? – esordì Elvira – Devo farti gli auguri...
Lui rise ma era un po' teso:
‐ Assolutamente no, sono stato semplicemente in vacanza, mi sono preso un po' di tempo e... mi sono liberato di Giusy. – Elvira sapeva che Giusy era la proprietaria del negozio di oggettistica. – Ora, ho aperto un negozio mio, con la mia compagna... ‐
La donna sorrise, non sapeva cosa pensare:

‐ Ah, ah, scusa, ma non potevi semplicemente invitarmi all'inaugurazione? Inviti tutte le tue clienti al bar? ma spenderai una fortuna! – Le era venuto spontaneo scherzare sulla cosa, dopotutto si prendeva pure una piccola rivincita: quel maledetto le era mancato.
‐ Ascolta, fammi un favore... ascolta, non è facile chiederti quello che mi è passato per la testa. – Riprese l'uomo – Sono due mesi che ci penso, due mesi che sogno ma non trovo il coraggio di chiamarti...
Elvira si fece seria e più attenta, continuava a essere completamente all'oscuro riguardo al motivo di quello strano incontro.
‐ Facciamo così, se ti va. ‐ Cominciò Fabio – Immagina che io ti chieda un regalo, un regalo un po' strano, magari: donami cinque minuti.
‐ Guarda che io sono una donna di una certa età... non ho molto tempo da sprecare, quindi, attento. – L'atmosfera s'era fatta tesa, la stessa Elvira si sorprese per le parole che aveva appena pronunciato, era come "sentisse" che Fabio stava per confidarle qualcosa di grave, o almeno, di essenziale.


Non riusciva a inserire la chiave nella toppa. Aveva resistito per tutto il tragitto, aveva resistito in ascensore, perché non era sola, ma adesso, che era finalmente a un metro da casa, gli occhi si velarono di lacrime.
Rabbia, disgusto, vergogna... un po' di tutto. Emozioni dimenticate, emozioni mai provate così intensamente... eppure lei era certa di aver accarezzato mille ipotesi segretamente, ma mai aveva dato adito, al giovane, di farsi delle idee, di azzardare delle proposte. Una sera, a casa sua, aveva intessuto una trama Platonica e del tutto privata, riguardo a una storia impossibile e assurda. Va bene... ma ora, come aveva potuto osare tanto?
Che razza di proposta era? Per chi cazzo l'aveva presa... ?

Fabio, nemmeno mezz'ora prima, con una faccia tosta del tutto incredibile, aveva sciorinato una serie di fantasie, di richieste strane, di desideri umilianti, inaccettabili... E pensare che Elvira, nell'ipotizzare sui motivi del loro appuntamento, era arrivata a pensare anche al peggio. Infatti, per un secondo, si era chiesta come sarebbe rimasta se il suo amico le avesse proposto di essere pagato, di farle da gigolò in cambio di sesso... quell'ipotesi l'aveva fatta solamente sorridere.
Ne era assolutamente certa: Fabio non era il tipo e lei non avrebbe accettato mai, piuttosto preferiva regalarglieli, se avesse avuto bisogno di soldi.
E invece? Invece, serio serio, guardando fisso per terra, aveva cominciato a sussurrare delle parole strane, parole oscene pur senza essere volgari, proposte raccapriccianti... ipotesi mai valutate nella lunga vita di Elvira. Ma da dove gli veniva tanta spavalderia? Lui era un ragazzo così premuroso, educato, si può dire: all'antica. Anzi era per questo che l'aveva incantata, ammaliata ma di certo, Fabio, non l'avrebbe mai sedotta. Lo sapeva già da prima, da quando era lei "il problema" in quel sogno irrealizzabile: lei troppo vecchia; lei troppo moralista; lei troppo vergognosa e timida... esatto, timida e riservata, com'era stata per trent'anni con suo marito.
Cosa che non faceva mai, Elvira si versò due dita di liquore, tolse le scarpe e si lasciò cadere sulla sua poltrona. Il pomeriggio era silenzioso, il tempo era bello, fuori, e il sole punzecchiava tutta la parete, attraversando i fori della tapparella.

"Ma che razza di discorso è?" pensò, adesso che era sola "Ma che razza di proposta è? Ma con quale coraggio si parla così a una signora? Insomma... nemmeno a una puttana, credo, si possono fare proposte così strambe... malate... sporche!"
Era rimasta talmente inebetita, sconcertata, che non aveva nemmeno risposto a Fabio, a un certo punto si era alzata, aveva raccolto la borsetta e si era allontanata, senza salutarlo.
Controvoglia, nonostante il desiderio di cancellare tutta quella maledetta e stupida storia, non poté fare a meno di ripensare al discorso di Fabio. Voleva raccapezzarcisi, visto che nel locale, a un certo punto, non aveva capito più niente, tant'era la stizza che le avevano provocato le sue parole, melliflue e maligne.

Cosa diceva? Cosa voleva dire? Come gli era venuto in mente di dire quelle cose proprio a lei?
"Allora, io adesso ci provo" aveva cominciato "tu fa così: immagina di non essere qui ma di poter sentire i miei pensieri più segreti, ok?
Ora ti trasporterò in un mondo che non esiste, un mondo pieno di ipotesi, magari assurde, e su quelle ipotesi assurde, io ho costruito delle congetture.
Credo di essere un ragazzo che piace alle donne eppure non sono mai stato un donnaiolo, anzi. Diciamo che ho preferito sempre la tranquillità di un tradizionale rapporto, a una inconsistente e faticosa serie di avventure.
Non sono mai stato un tipo strano; non ho mai vissuto pratiche particolarmente "morbose" o pervertite. Non ne sentivo l'esigenza... magari ho letto di certe cose, o le ho viste rappresentate in un film; niente di più... eppure con te..."