Sottomissione di una vecchia signora 2

Fabio non aveva il coraggio di guardare Elvira però, a testa bassa; continuò a parlare; si esprimeva a scatti, era chiaro che aveva meditato molto su ciò che diceva e adesso sembrava liberarsene, come un pasto mal digerito.
“Poi, nei miei pensieri, sei entrata tu... non scherzo, in un certo modo mi hai conquistato. Venivi al negozio, eri sempre educata, gentilissima, portavi con te una dolcezza che nelle ragazze di oggi è impossibile trovare... però, sentivo anche il tuo carattere che, al contrario, mi parlava di una donna sicura di sé, forte. Mi eri molto simpatica e... stop: credo che tra di noi passino trent'anni, quindi non pensavo ad altro. Mi affascinavi ed era un piacere servirti. E' stata proprio Giusy, la donna del negozio a far scattare qualcosa nella mia testa. Avevo con lei una mezza storia di solo sesso, che pigramente si trascinava... da alcune sue affermazioni acide mi resi conto che era gelosa. Gelosa, di te. Sarà ammattita! pensavo... eppure. Eppure, la mia mente iniziava a rimuginare sulla tua figura, sul tuo carattere, ti pensavo spesso e poi, senza accorgermene, mi ritrovai a fantasticare. Pensieri strani, nuovi, per me. Perdonami, ma devo essere sincero fino in fondo: non desideravo di venire a letto con te, no, fantasticavo su una specie di visioni, immagini particolari, diciamo pure, sogni ad occhi aperti.
La differenza di età mi faceva sballare, immaginavo che io, per una donna della tua età, potevo apparire come una specie di angelo, un dono speciale; pensavo che tu ti saresti potuta sottomettere in tutto, umiliarti, mortificarti. Ti vedevo in ginocchio, davanti a me, come fossi una specie di divinità, prona e pronta a qualsiasi sacrificio, pur di ottenere il mio favore... il mio interesse. Pian piano, poi, questa follia mi portò a immaginare profanazioni, punizioni, perversioni da infliggerti, godendo della tua totale abnegazione. Ti sognavo pronta a tutto, annullata dal mio interesse verso di te; avresti sopportato qualsiasi, sia moralmente che fisicamente, pur di non rischiare di contrariarmi...
Scusami, Elvira... questo è ciò che mi è passato per la testa. Certo, ti rispetto come sempre, per questo evito di scendere in particolari scabrosi, che potresti addirittura ritenere estremamente volgari.
Perché dirtelo? Certo adesso ti stai chiedendo questo; naturalmente mi starai giudicando una merda, però ti prego, prova a metterti per un secondo nei miei panni... sono due mesi che impazzisco, con queste idee malsane che mi ossessionano, non mi fanno dormire.
Ecco tutto! Dovevo dirtelo, non avrei potuto vivere senza tentare... anche se ci fosse una probabilità su un milione che tu possa dire di sì; dovevo tentare per mettermi l'animo in pace e per...”
Ma Elvira, raccolta la borsetta, stava già uscendo dal locale, offesa e amareggiata.

4

La vecchia signora non era morta ma, per il mese successivo provò le pene dell'inferno. Elvira era una donna forte, seria, lo aveva detto lo stesso Fabio. Sapeva che sarebbe stata coerente con qualsiasi sua scelta, sapeva che se avesse detto sì a quel bastardo, poi sarebbe andata fino in fondo, dovunque la sua scelta scellerata l'avesse portata. Conosceva il sesso, non la perversione... adesso, dopo i sessanta, sarebbe mai potuta cambiare?
Come aveva detto Fabio: "Io come un dio per te e tu, prona e pronta a qualsiasi sacrificio per me!" Questo voleva dire, perversione, lei lo sapeva ma non era preparata a subire...
eppure, nonostante tutto sotto la pancia aveva il fuoco, la sua vagina non le era mai bruciata tanto e il suo plesso solare non aveva mai subito tanta pressione.
Una mattina che non ce la faceva più, cercò il numero di Fabio e scrisse un sms estremamente sintetico.
"Hai vinto! Sono pronta. Non so come ma sono pronta" scrisse, sperando che Fabio capisse e, soprattutto, che non avesse cambiato idea.

Passarono quasi due settimane… e Fabio non rispose.
La signora trascorreva le giornate come un automa. Ogni tanto si recava al mercatino, a volte due passi nel pomeriggio inoltrato, entrò perfino in una chiesa, lei, che non era un'assidua frequentatrice, neppure di domenica.
Non riusciva a darsi una spiegazione di quel comportamento. Il messaggio inviato a Fabio era stato inviato correttamente: non aveva sbagliato numero; non aveva ricevuto avvisi di errore. Quindi: Ok, il "signorino" non rispondeva.
E questo non avrebbe dovuto significare nulla per lei! Pur dimenticando per un attimo la pazzesca differenza di età... comunque, lei non era mica innamorata di lui. Tra loro non c'era stato assolutamente niente (a parte quell'ultimo, strano discorso sul "dominare" e "l'ubbidire"). Eppure, la vecchia si doveva trattenere dal desiderio di chiamarlo: una, dieci, cento volte al giorno. L'attesa era snervante e, lei lo capiva, diventando debole diventava, automaticamente, più vulnerabile.
"Cosa diamine mi succede? Non sono più la stessa, a causa di questa maledetta, assurda, storia. Mi sto facendo un film che non ha ragione di essere... assolutamente nessuna."
Decise di fare un viaggio.
All'agenzia le proposero una crociera, era il periodo migliore, ma lei titubava. Prese qualche dépliant; pensò di ritornare a Parigi, le era tanto piaciuta, anni prima.
Però quando tornò a casa, appena aperta la porta, trovò un biglietto per terra:
"Sono passato ma non c'eri."
Maledetto, indecifrabile Fabio... proprio ora che si preparava a dimenticare, si era rifatto vivo.
Gli telefonò immediatamente, anche se dovette controllare la voce, perché le tremava.
‐ Mi spiace, – si giustificò senza motivo – ero solo uscita per una commissione...
Fabio tagliò corto ma senza essere scortese:
‐ Ascolta... voglio saperti "pronta" e disponibile, come mi piace immaginarti. Nei miei sogni hai la pelle morbida e chiarissima... voglio che ti procuri lingerie nera, anche qualcosa viola. Un po' di tutto, non so dirti. Anche dei collant... cose carine, non volgari. Magari anche dei guanti...
Poi... esistono ancora dei cappellini con la veletta? Boh? Vedi tu... ah dimenticavo, anche una mascherina veneziana o qualcosa di simile.
Elvira restò interdetta, intanto arrossiva mentre Fabio elencava quella caterva di oggetti... chissà perché questa cosa la faceva sentire ridicola, esposta come fosse nuda. Forse era a causa della confidenza che l'uomo si prendeva a parlarle così.
Ormai non era più se stessa e rispose che avrebbe fatto del suo meglio.
‐ Quando pensi di venire?
‐ Ascolta, io non lo so. Io con te non devo avere orari, appuntamenti. Mi piace pensare di averti a disposizione quando ne ho voglia e dove capita... non sono sicuro di nulla. È come masturbarsi: quando mi va, lo faccio e basta. Tu fammi sapere quando sei pronta, ok? Mi mandi un messaggio.

Di nuovo il fuoco si impadronì della pancia di Elvira. Felice di obbedire; felice di aver parlato con Fabio; felice che lui non si fosse scordato di lei, buttò via i dépliant e corse in camera da letto, la vecchia, grande stanza che aveva condiviso col suo povero marito. Aiutandosi con un piccolo scaletto, raggiunse gli stipi superiori del grande armadio. Tirò fuori due scatoloni e alcune buste; contenevano gran parte del suo abbigliamento intimo giovanile. Molte di quelle cose non le aveva usate più da anni ma le aveva sempre conservate, con un pizzico di civettuolo piacere.
Sparse sul grande letto tutto l'intimo e la biancheria e iniziò a cercare tutti quegli indumenti che non stridessero troppo con la sua età ma che, di sicuro, avrebbero potuto soddisfare le fantasie di Fabio. Un pensierino maligno le vibrava nella mente, un nomignolo odioso... lui non le aveva detto niente in proposito, eppure, a lei capitava di associare, in testa sua, il nome di Fabio a un altro, un sostantivo: Padrone!
Nella grande camera, mentre sceglieva tra le Liseuse dai bordi in pizzo; tra i reggicalze e i corpetti, spesso usati una o al massimo due volte; mentre controllava le calze di seta e le rarissime mutandine sfacciate, ricordò che era stata donna. Che aveva fatto sesso, e le piaceva... ricordò di aver indossato quegli accessori, esclusivamente per suo marito, sapendo che lui, arrivando a letto, avrebbe apprezzato quei preparativi e goduto tra le sue carni, costipate nella seta e nel Jersey.
E ora? Stava profanando il suo ricordo, ancor prima di cominciare un rapporto con uno sconosciuto... un ragazzo che aveva la metà dei suoi anni e che le aveva detto chiaramente di volerla usare. Come si usa una puttana, come si chiede a una mantenuta.
Nonostante tutto, l'anziana e impeccabile signora Elvira, aveva paura di una cosa sola: che lui, il giovane aguzzino, potesse dimenticarsi di lei in un qualsiasi momento. Non aveva carte da giocare. Per quel rapporto non c'era futuro, nemmeno adesso che ancora doveva cominciare.

5

‐ Claudia... Claudia... ?
‐ Claudia, tua figlia! Ma mamma che hai... stai bene?
‐ Ma sì, sì, tesoro, figurati. Ero sovrappensiero... stavo guardando la TV, ecco. Sul divano, come al solito... ecco, sì!
Elvira arrossì fino alla cima dei capelli, come se le avessero puntato addosso un riflettore. Era sì davanti a uno schermo, ma a quello del vecchio PC. Per fortuna, quando Claudia era ancora in casa con lei, aveva imparato i primi rudimenti e sapeva cercare un filmato sul Web. In effetti però, la dolce Elvira, stava consultando un canale che diffondeva video pornografici. Cercava d'imparare i termini e le posizioni più ricercate nel mondo del sado‐masochismo. Aveva compreso il significato di BDSM, cos'era una Mistress e cosa ci si può aspettare da una slave.
Le cose che più le mettevano paura erano gli atti violenti, ma, per quelli, non sapeva ancora se avrebbe dovuto preoccuparsi. Mentre una vocina, nascosta nel suo subconscio, l'avvisava continuamente di stare in guardia riguardo a una pratica che, quasi certamente, le sarebbe stata richiesta, o meglio, se aveva ben capito l'antifona, imposta: la sodomia.
Si era documentata, aveva letto, aveva osservato: uno slave, non importava se maschio o femmina, veniva inculato; in un modo o nell'altro. E, se a spadroneggiare sul malcapitato era una donna, l'atto veniva perpetrato, in genere, con un cazzo di gomma. Per questo Elvira era molto a disagio, o meglio… terrorizzata.
Comunque, il suo folle status bipolare, ormai aveva preso il sopravvento e tutto ciò che l'atterriva, al tempo stesso la eccitava; il solo pensiero di non farcela, il solo pensiero di subire violenza, invece di farla rifuggire dal fatidico incontro, l'aveva spinta, proprio il pomeriggio precedente, a mandare il messaggio a Fabio:
"Spero di essere pronta. Spero di aver preso tutto ciò che hai ordinato. Decidi tu."
Aveva da poco fatto colazione, dell'insalata e un poco di formaggio, voleva tenersi leggera, voleva tenersi pronta per quell'avventura che (finalmente aveva il coraggio di ammetterlo) le aveva fatto perdere la testa.
Fabio, comunque non si era sentito ancora… invece, di punto in bianco, era arrivata la chiamata di Claudia. Non che si fosse scordata di avere una figlia, ma insomma, adesso che, con suo marito e il nipotino, si erano trasferiti a Roma, era davvero difficile incontrarsi durante l'anno.
‐ E quindi, massimo per le 5 saremo da te! – Concluse la donna.
Elvira si sentì mancare e, al tempo stesso, si accorse che era matta.
Lei! Lasciarsi condizionare da quello stupido gioco e, tanto intensamente, da preoccuparsi del "nulla". Era nonna; era una donna seria: il suo adorato nipote sarebbe arrivato a momenti (dopo mesi che non lo vedeva), e lei? Lei si dava pensiero per Fabio. Lo sconosciuto!
Non erano amanti; tra loro non c'era mai stato nulla, tranne quelle quattro chiacchiere senza senso, eppure la sua vita ne era rimasta sconvolta. Elvira iniziò a pensare sul serio di avere dei problemi, forse, quella benedetta solitudine, che lei si lusingava di tollerare con una certa serenità, aveva alterato le sue facoltà. Per anni le era bastata la sua passione per i libri e il legame pacifico con qualche amica, una vecchia cugina... E ora era infoiata come una sedicenne. Era stata più spesso all'Istituto di Bellezza in quegli ultimo mese che in tutta la sua vita e, per paura di non soddisfare quel matto di un ragazzo, aveva speso mezza pensione per comprare lingerie e calze operate, tant'è che le stesse commesse ne restarono perplesse.
Le 5 arrivarono, sua figlia e il genero dovevano partecipare a una cerimonia importante; il piccolo Mattia, raggiante per aver ritrovato la nonna, si stringeva a lei senza mollarla un istante. Si era già prenotato per dormire insieme a lei, nel lettone.
Le ore passavano: Fabio non chiamava; Elvira respirava, sentendosi sempre meno sotto stress... stava andando tutto per il meglio. Aveva fatto sparire, in fretta e furia, i segni del suo rinnovato guardaroba da sgualdrina.
Sua figlia sarebbe tornata non prima di mezzanotte, Elvira non voleva credere che il giovane avesse intenzione di vederla, ormai era tardi. E poi, alla fine, diamine, avrebbe pur potuto capire... lei non si aspettava l'invasione dei parenti!
‐ Nonna, mi fai il lattino? – disse il piccolo verso le 9, con la vocina già lievemente impastata; il viaggio in macchina lo aveva stancato.
‐ Certo, tesoro, sistemo il letto di mamma e poi te lo preparo subito. – Lasciò tranquillo il nipote che, comodo sul divano, seguiva il suo programma preferito.
Aveva appena inserito, nella federa immacolata, l'ultimo cuscino, che il suo cellulare iniziò a vibrare. L'aveva abbandonato in cucina, ci mise un po' ad accorgersene, poi rabbrividì e corse a rispondere.
Maledizione: era Fabio!
‐ Mi servi. – disse in tono perentorio, era la prima volta che le parlava così. Ma lei immaginava che, prima o poi, sarebbe successo. Cercò di spiegarsi, di scusarsi (ma di cosa poi?), però l'altro divenne laconico.
‐ Elvira? Cominciamo così? – Non aggiunse altro e la donna temette che fosse già tutto finito. Una lunga pausa, come se l'uomo, dall'altro capo stesse riflettendo. ‐ Stammi a sentire... ho bisogno di te per una "dimostrazione". Non c'è bisogno che io salga, scendi tu, basteranno pochi minuti... fa in modo da farti trovare. – poi, prima di posare, aggiunse ‐ Aspetta... ecco, scendi con una vestaglia scura o qualcosa di simile, sotto, però, devi essere completamente nuda. Capito? Nuda... tutta!
Dopo quella telefonata, una "Elvira" del tutto nuova, girava per la sua casa. Vista da fuori poteva sembrare la stessa signora, ma dentro di lei, c'era un'altra persona! Le sue priorità erano cambiate. La nonna premurosa, che si occupava del nipotino, era divenuta un'estranea: pensava ad altro, viveva per altro... Faceva le cose di routine come se, da dentro, le avesse affidate a un essere sintetico. Non provava quasi niente per il bambino, non aveva alcun pensiero per sua figlia e suo genero. In realtà, non che li avesse cancellati dalla mente, al contrario, si adoprava per sistemare le cose al meglio, per farli stare bene... ma non per amore: era per liberarsi di loro e liberarsi "da loro".
La nuova Elvira aveva un solo obiettivo immediato: non scontentare Fabio; non perdere l'occasione di essere tutta sua; un essere dedito a un solo scopo, accontentare tutti i suoi desideri.
Fu in questo orribile stato di lucida confusione che decise di perpetrare la prima, incredibile, trasgressione: al latte e cioccolato del piccolo, aggiunse un'abbondante porzione di certe gocce di camomilla, che teneva come calmante e antidolorifico. Naturalmente non lo avvelenò ma, se fosse stata presente a se stessa, come al solito, non avrebbe mai neppure pensato di fare una cosa del genere. Il ragazzino, comunque, si addormentò in pochi minuti.
Elvira corse in bagno, si lavò i denti, si passò addosso delle tovagliette detergenti, per evitare di farsi trovare impegnata in una doccia. Indossò una camicia da notte nera, sottile, quasi trasparente; naturalmente sotto non mise assolutamente niente: né mutandine, né reggipetto. Di sopra, per mascherare la cosa, indossò uno dei camicioni che era solita adoperare per casa. Di nuovo in bagno per sistemarsi i capelli, poi in giro per tutte le stanze, controllando che tutto sembrasse in ordine, completamente normale.
Correva leggera da un ambiente all'altro, si sentiva vent'anni di meno. Alla fine, sedette, scomoda, sul bordo del divano. Era tesa come una molla. Erano solamente le 21 e 45.
E aspettò!
Poi aspettò ancora.
Poi si alzò e rifece tutto daccapo: bagno; denti; passata di tovagliette per tutto il corpo... un po' di profumo. Di nuovo il giro delle stanze; il bambino dormiva della grossa.
"E se lei fosse uscita davvero? E se il piccino si fosse svegliato quando lei non c'era?"
Panico; nervi; attesa spasmodica... terrore e desiderio. Desiderio, che alla fine, avrebbe avuto la meglio su tutto il resto. Non si era mai sentita così!
I minuti passavano. Si stava quasi appisolando per la tensione, quando il cellulare vibrò. Lo teneva poggiato sulle gambe, sussultò, e poi rispose a Claudia. Sua figlia l'avvertiva che era questione di poco, poi, con suo marito, avrebbero potuto riprendere la via del ritorno. Naturalmente, la sfiga ci mise lo zampino: mentre parlava, il telefonino l'avvisò, con un bip, che qualcuno le aveva inviato un messaggio.
"Scendi nell'androne tra 5 minuti." Di nuovo la prese il terrore, di nuovo la sensazione di calore alle guance.
"Porca miseria," pensò giustamente, "mesi e mesi sola come un cane, stasera mi succedono tutte le cose insieme!"
Anche per la rabbia decise di fregarsene e di correre qualche rischio... e se l'avessero scoperta?
"Che vada tutto a puttane, io non rinuncio!"
Diede un'ultima occhiata al bambino, le si strinse il cuore... non poteva nemmeno pregare, perché in effetti stava andando a "commettere peccato". Guardinga, scese a piedi i due piani della sua palazzina. Nessuno, per fortuna. Erano in pochi e, alle 11, dovevano essere tutti tappati in casa.
Pochi istanti dopo arrivò Fabio. Gli aprì.
Le luci dell'androne non avevano pietà di lei; se fosse uscito qualcuno l'avrebbe notata di sicuro. Pelle bianca, piedi nudi e con addosso lingerie nera, talmente trasparente che le si vedeva il cespuglio scuro della vulva.
‐ Brava. ‐ Disse Fabio, squadrandola dalla testa ai piedi. Lei sorrise, non avrebbe saputo cos'altro fare. Lui era entrato nella parte, ormai: non era più ossequioso e bonario ma deciso, quasi burbero.
‐ Apri la veste! ‐ Ordinò senza cerimonie.
Il suo cuore voleva fermarsi... immaginare era una cosa, le era persino piaciuto, l'aveva pure eccitata; adesso però, quella richiesta, di fretta e furia la imbarazzava. Erano anni che non si spogliava davanti a un uomo. Poi arrivò la vergogna, aveva sessant'anni e nessuna "protezione", addirittura niente intimo!
Si sentì nuda… e magra, come una prigioniera in un campo di concentramento. Eppure tanta mortificazione non riuscì a fermarla:
"E se deve finire, finisca pure così!" pensò. "Adesso Lui mi vede e prova il disgusto legittimo di un giovane, un bel ragazzo, che vede spogliata sua nonna!"
Aprì la vestaglia e si scoprì.
La luce era impietosa; chiunque avrebbe potuto vederla attraverso i vetri del portone, o dalle scale, e il suo nipotino era solo in casa, probabilmente terrorizzato.
"Sono proprio una vecchia puttana!"
‐ Bene, ‐ disse Fabio – hai obbedito, mi fa piacere. – La valutava con lo sguardo come si osserva un oggetto prima di decidersi all'acquisto. Poi, fece una cosa a cui Elvira non era preparata. Tirò fuori dalla tasca il cellulare, scrisse qualcosa sullo schermo, poi le scattò un paio di foto, senza chiedere il permesso. Istintivamente lei provò a coprirsi in tutta fretta...
‐ Che cazzo fai? – Sbottò il giovane. – Apri, idiota, apri bene i lembi della vestaglia.
In che maledetta sciagura si era andata a mettere? Era ancora in tempo... poteva fuggire, chiudersi in casa. Cazzo, e le foto? Ormai le aveva scattate, quel porco.
Provò a dire qualcosa, a farsi valere. Ma lui la guardò con freddezza:
‐ Senti, stronza, già ti rimangi i tuoi impegni? Che faccio, me ne vado?
‐ No... no... ti prego, perdonami; ho sbagliato. Faccio tutto quello che vuoi. – Ma chi aveva parlato da dentro di lei? Non si riconosceva: era impazzita? Nonostante quell'orribile situazione, lei continuava a desiderare di soddisfare quell'uomo! Incredibile, eppure, ne aveva un bisogno viscerale. E più lui la mortificava, più si sentiva di appartenergli.
‐ Brava, la mia stronzetta, ‐ disse lui abbozzando un sorriso – così mi ecciti... devi essere remissiva. Girati, adesso, tirati su tutta la veste e scopri il culo.
Elvira eseguì ciò che le veniva chiesto.
Le luci si spensero, Fabio le fece ripartire, poi riprese a fotografarla impietosamente.
‐ Chinati avanti, a novanta gradi... Bene! – Ordinava, e decideva le sue mosse, e la povera Elvira cominciò a bagnarsi in figa.
– Bene, così. Adesso apri le gambe... bene. Apriti con le mani; allarga le chiappe. Devo vedere il culo e la fessa. Ok, girati di nuovo... ‐ Scattava continuamente, da tutte le angolazioni.
Elvira sapeva perfettamente che, con quelle immagini, avrebbe potuto ricattarla per tutta la vita; era stata stupida a non mettere "paletti" prima, e adesso era troppo tardi. Ma la cosa che più la disgustava di sé era che lei provasse piacere, un piacere subdolo a essere svergognata così.
Non aveva spiegazioni plausibili... forse era la sorpresa di ricevere un tipo di trattamento che non aveva mai conosciuto.
Fabio mise il telefono in tasca. Elvira si strinse addosso il suo straccetto. nessuno ancora l'aveva vista, ma sua figlia sarebbe arrivata a momenti.
‐ Posso andare? – disse; era sulle spine.
‐ No, aspetta... mi hai fatto eccitare, ‐ disse Fabio – vieni, mi pare che dietro l'ascensore c'è un piccolo sottoscala. Infatti, c'era un piccolo ripostiglio dove tenevano le scope e qualche attrezzo, ma era angusto e senza porta.
‐ Vieni, ecco... mettiti, al mio fianco, così. – L'aiutò a raggiungere la posizione che desiderava; lei si trovò sulla destra di lui, quasi alle spalle. Le prese la mano e la costrinse a sbottonargli la patta. Elvira dovette frugare nel pantalone, finché gli prese il cazzo e lo fece uscir fuori.
Era duro e bello grosso, non esagerato, ma notevole. Alla vecchia mancarono le forze, troppe emozioni quella sera, e adesso era con quel caldo pene in mano, nascosta tra le scale di casa sua.
‐ Fammi la sega, Elvira. – disse Fabio; si vedeva che si gustava tantissimo tutta la situazione anomala di quel rapporto. Elvira non era brava in quelle cose; per lei toccare il cazzo del marito, faceva parte dei "preliminari" ma si era sempre limitata a carezze ed effusioni. Adesso doveva praticare una masturbazione a un maschio e lei non era per niente preparata. Fabio dovette capire e, con pazienza, la guidò. Per lui doveva essere una situazione molto arrapante, infatti il pene gli diventò di pietra e gli bastarono solo un paio di minuti. A quel punto, le adoperò la mano a suo piacimento: due o tre segate veloci, per poi fermarsi, e così via... finché Elvira lo sentì respirare affannosamente e mugolare; poi gliela tenne ferma, tutta in basso, col cazzo che svettava dalle dita. Il ragazzo cominciò a sborrare, accasciandosi soddisfatto sulla sua amichetta.
Elvira, dimentica di tutto, seguì il suo istinto e continuò a menargli il cazzo con delicatezza, sgusciando con le dita tra quella sua crema calda e odorosa. Fabio, si calmò, alla fine. Si pulì il cazzo sulla vestaglia di seta, imbrattandola di bianco. Diede un buffetto a Elvira e sgusciò via dal portone.
In quello stesso istante, sua figlia Claudia e il marito, entravano, incrociando lo sconosciuto che si allontanò a testa bassa. La luce si spense, per fortuna.
Elvira fece appena in tempo ad appiattirsi nello sgabuzzino e fu per puro caso che, i suoi, non la scoprirono in quelle condizioni.