Spazzatura

Ricordo un Natale di tanto tempo fa quando la povertà lambiva la mia  giovinezza. Era il 1978  anno di  trasformazione, di intrighi e rivolte studentesche, un anno cruciale per gli altri ma per me segnato dalla stessa indigenza e calda povertà. Ero rimasto senza padre da pochi anni e mia madre lavorava come badante nelle famiglie.  Vivevano un modesta casa di due stanze, mancava il riscaldamento ma era bella a suo modo: mura spesse, pavimento in cotto anche se totalmente rovinato, mancava il bagno, ve ne era uno in comune in fondo al  cortile, a volte bisognava far la coda, soprattutto dopo pranzo. Ricordo che quell’inverno mia madre aveva lavorato anche la vigilia di Natale e avrebbe dovuto recarsi anche il giorno dopo a cucinare. Gli altri festeggiavano, ci voleva pur qualcuno che preparasse loro da mangiare. La gente con noi era formalmente gentile, i preti da cui lavorava si mostravano solleciti e ci invitavano  a pranzo nelle ricorrenze, quell’anno però non aveva nevicato e volgeva un forte vento, faceva molto freddo. Ricordo che quella sera, quella vigilia volevo uscire con dei miei amici, avevo appuntamento verso le nove.Ma immancabile arrivò  lei e mi costrinse a fare un giro per le piazze. Non era una novità ma quella volta , quella sera di forte freddo era una necessità; come avremo fatto il giorno dopo ... si sa sotto le coperte si rimedia … ma di giorno? La giornata era lunga e  molte cose avrebbero potuto impedirmi di uscire, costringendomi a rimanere dentro per chissà quante ore. Inoltre nella luce del giorno, quel chiarore che solo l’inverno ci sa dare quando si riempie di bianche sfumature e rende tutto brillante,  la gente ci avrebbe visto  noi due furtivi passeggiare con garbo e poi avvicinarci e prendere e andare lungo la strada fatta di ciotoli irregolari e anche aguzzi; prendere e trascinare e voi svoltare a destra seguendo la striscia dei muri e camminando sui corti marciapiedi.  Poi  c’era anche un breve passaggio pedonale con vicino il negozietto di giocattoli per bambini e l’irritante odore di tabacco.  Quello sì che era un posto celebre  per la mia infanzia ma che guardavo con sufficienza. Ora ero grande potevo permettermi altro.  E poi oltrepassato quel crocevia  ci si incamminava lungo una stradina semiasfaltata che  svoltava  a  sinistra e manteneva varie zone d’ombra. Ma il  negozio della parrucchiera era illuminato e ci spingeva a passare sotto le  insegne luminose per allontanarci dal suo sguardo di donna capricciosa e indiscreta. Infine si  fiancheggiava la casa appena risistemata della vecchia lattaia, donnone da un seno procacissimo e dalla presunta giovinezza  allegra e spensierata. Era una donna  sposata con tre figlie ma penso che prima di  giungere all’altare abbia dispensato molte sue grazie. Passavamo davanti alla sua porta e  a volte sfioravo il batacchio in ferro battuto con un leggero sorriso di compiacenza ma in quei momenti preferivo  muovervi con passo rapido come quello di un gatto randagio. Ma quella sera facemmo il giro. Era proprio cosi. Avevamo una vecchia stufa a legna. Ma la legna costa e si compra. Molte sere aggiravamo l’ostacolo andando a prendere le cassette della frutta, quelle di cui si disfano i fruttivendoli, con quelle strisce  che  con un colpo di mano sulla gamba  si posso rompere  in tanti pezzi, che sembrano sottili rami e si buttano nel fuoco o sopra la cenere ancora piena di tizzoni e riscaldano e illuminano dalle feritoie dei cerchi la stanza e  avvolgono anche per brevi attimi  le nostre membra. Un affare che facevamo spesso.  Quella notte di Natale  gli spazzini non erano passati e molte erano le cassette  della frutta accatastate vicino ai cassonetti.  Facemmo incetta di cassette, ci spostammo in tre piazze riuscendo infine a  spingere  nella “boschiera” trenta cassette. Fu una vera fortuna , un regalo di Natale , uno di quelli veri, credetemi.