Sport's memories: Robert "Bob" Beamon
Nato a Jamaica, nello stato di New York, il 28 agosto 1946, questo straordinario atleta di colore dal fisico statuario (un metro e novanta per circa ottanta chili di peso) si mise in evidenza durante la stagione indoor del 1967 saltando 8,21 (in quella occasione batté il connazionale Ralph Boston, uno degli interpreti più noti e forti del salto in lungo mondiale all'epoca: già oro a Roma nel 1960, argento a Tokyo nel 1964, sarà bronzo in Messico!). L'anno dopo, sempre nell'attività al coperto, portò il suo personale a 8,30 (a Detroit, il 15 marzo) che fu record mondiale. Quindi, all'aperto saltò 8,33 regolare (a Sacramento, il 20 giugno) e 8,39 ventoso. Beamon, pur avendo vinto ventidue gare su ventitré disputate nel corso della stagione, si presentò alle Olimpiadi messicane non come l'uomo da battere (il ruolo di favorito spettava allo stesso Boston ed al sovietico Ter‐Ovanesjan), tuttavia smentì ampiamente il pronostico e coloro che non credevano in lui: lo fece in un modo talmente eclatante che nessuno avrebbe potuto immaginare mai (neanche lui stesso, ad onor del vero!). Infatti, quel giorno (storico) del 18 ottobre 1968, alle ore quindici e quarantacinque in punto (da molti definito il "giorno dei giorni" nella storia dell'atletica e non solo; secondo la rivista Sports Illustrated ritenuto invece "uno dei cinque momenti sportivi più grandi del secolo"), l'atleta americano sbalordì il mondo col suo "folle" quanto inaspettato volo di 8,90, e veleggiò anni luce nel futuro. Nello stesso tempo, però, egli uccise (e il verbo non è da intendersi in maniera dispregiativa: tutt'altro!) per oltre due decenni a venire (il suo record verrà battuto soltanto nel 1991, ai Mondiali di Tokyo, dal connazionale Mike Powell, con un salto altrettanto memorabile di 8,95) la specialità del salto in lungo, senza ombra di dubbio fra le più semplici (il gesto del salto, insieme a quello della corsa, è tra i più ancestrali, naturali ed antichi della storia dell'uomo) e spettacolari della regina dello sport: l'atletica. Subito dopo quel salto (immortalato da un anonimo contabile inglese, Tony Duffy, il quale in seguito lascerà bilanci e scartoffie per dedicarsi anima e corpo alla fotografia: fonderà la più grande agenzia fotografica del mondo, la Allsport, che nel 1998 verrà acquistata dalla Getty Images per la modica ‐ sic! ‐ cifra di ventinove punto quattro milioni di dollari) il sovietico Igor Ter‐Ovanesjan, che era stato nel 1962 il primo atleta europeo a varcare la soglia degli otto metri, dichiarò: ‐ A paragone di questo salto, siamo tutti dei bambini! Il britannico Lynn Davies, invece, che era stato campione a Tokyo, quattro anni prima, disse rivolgendosi all'avversario: ‐ Tu hai distrutto questa specialità! Ma Beamon non era solo un grande ed eccellente "uomo cavalletta", aveva doti innate di scattista (capace di correre le cento iarde all'aperto in 9'5, nel 1966) ed era anche eclettico saltatore (capace di saltare in alto due metri o di battere il record nazionale ‐ avvenne nel 1965 ‐ delle high school e saltare 16,02 al coperto ‐ avvenne nel 1968 ‐ nel triplo). Possedeva anche un naturale talento verso il basket: sport che amava tantissimo e che tornò a praticare all'università, dopo l'impresa messicana. Nel suo palmarès di lunghista figurano anche due titoli nazionali all'aperto (nel 1968 a Sacramento e l'anno dopo a Miami) e due indoor (1967, 1968), oltre a una medaglia d'argento ai giochi Panamericani del 1967 di Winnipeg (provincia canadese di Manitoba): quella volta fu battuto dall'acerrimo rivale Boston. Nel 1972, appena ventiseienne, attirato dal profumo dei dollari, passò al professionismo nel clan dell' I. T. A., insieme ad altri campioni del passato, vestendo la maglia degli Houston Striders. Tuttavia, fu personaggio dotato di grande umanità: lui, che era social worker (assistente sociale) si occupò, per anni, di ragazzi disadattati a New York (egli stesso proveniva dal ghetto e da ragazzo, più volte, era stato coinvolto in risse al limite dell'omicidio). Dal 1977 è membro della National Track&Field Hall of Fame (la quale dapprima risiedette a Charleston, West Virginia, poi a Indianapolis; ora è a New York) ed anche della U. S.Olympic Hall of Fame: è stato il primo membro in assoluto ad esservi ammesso nel 1983. Attualmente è un tranquillo pensionato settantatreenne.
"Il giorno dei giorni" ‐ A proposito di quel giorno ‐ il famosissimo diciotto ottobre del 1968 ‐ così scrive Edmondo Dietrich nel libro "I grandi campioni dell'atletica leggera", edito in Italia da Arnoldo Mondadori: "I nervi sono a fior di pelle, il cielo promette tempesta: nuvole nere si addensano sul cielo di Città del Messico. Il massacro della piazza delle Tre Culture nella notte del 2‐3 ottobre ha sconvolto tutti, poi ci sono state le proteste dei vincitori negri, quelli del Black Power. Alla pedana del salto in lungo per la finale va Bob Beamon, un negro di ventidue anni, alto e magro, lunghi muscoli secchi da gran levriere. Il record mondiale è quello vecchio di 8,35 metri che hanno in comproprietà l'americano Boston e il sovietico Ter‐Ovanesjan. In trentatré anni, cioé da quando Owens saltò 8,13, non ha progredito che di soli trentatré centimetri. Il salto in lungo è specialità semplice dove i miglioramenti materiali e tecnici giocano solo un piccolo ruolo nel progresso numerico. Per battere Owens ci sono voluti venticinque anni. Beamon è il primo a saltare. Tira un forte vento, le nuvole sono sempre più nere tanto che vengono accese le luci artificiali. Lui parte: ginocchia alte per una corsa elastica, battuta violentissima e Beamon si proietta molto in alto, tanto in alto che al segno degli otto metri è ancora in aria! Un salto prodigioso e omologabile. Lui, saltella sul prato in attesa del responso, poi il tabellone si accende e appaiono le cifre di metri 8,90: favoloso! Nello spazio di un secondo il record mondiale ha progredito di cinquantacinque centimetri. Lui, Beamon, si guarda intorno, sente il rumore della folla ma non capisce. Bob ha sempre saltato in stadi dove le misure vengono espresse in piedi, così quell'8,90 metri non gli dice niente. Poi il connazionale Boston gli si avvicina e traduce in piedi. Beamon lo guarda stupito, poi si prende la testa fra le mani appoggiando la fronte al suolo. ‐ Ho voglia di vomitare. Ditemi che non è un sogno...Credo che non posso più saltare, né oggi, né mai...Sto male...‐ Sono le prime frasi che dice mentre trema d'emozione e di freddo perché in quel momento viene giù dal cielo un temporale di quelli che spazzano tutto".