Strade nel buio

Doveva immergere la sua anima nella sporcizia, infangare lo spirito, lasciarsi andare ai suoi più bassi istinti. Non lo faceva per divertimento. La solitudine lo prendeva all'improvviso, come un passeggero nascosto nei sedili posteriori di una macchina, saltava fuori, "Bu!" gli faceva e si sedeva al suo fianco. La pioggia fuori dall'abitacolo, faceva impazzire i tergicristalli nella loro inutile lotta contro quella forza della natura. Forse erano proprio i tergicristalli ad ipnotizzarlo, nel loro costante movimento, destra, sinistra, destra, sinistra, destra... gli speaker alla radio perdevano la forza, le parole diventavano ovattate, discorsi lontani tra persone lontane, per persone lontane. Lui era distante anni luce. Non c'era luce per guidarlo fuori, solo buio. In quel buio, non era solo, non lo era mai. I suoi vizi si erano fatti comodi, i suoi vizi non avevano fretta e sapevano aspettare. Tentavano al mattino di fargli cedere le gambe, costringerlo al letto, volevano fargli saltare il lavoro. Non ci riuscivano per un pelo. Poi al lavoro in fabbrica, lo colpivano alle braccia, rendevano pesanti le operazioni più semplici. Lui arrivava lo stesso a fine turno. Nemmeno lì riuscivano a ghermirlo. Potevano provarci nella pausa pranzo o a cena, lo invitavano a bere, ma lui teneva duro. L'incidente di anni prima gli imponeva divieto assoluto all'alcool. I suoi vizi erano sconfitti anche questa volta. Fumava una sigaretta, quello era un vizio innocente, pubblico, statale. Nessuno obiettava contro il fumo. Gli bastava però fissare il cielo, vuoto, spento e la mente si affacciava al buio, controllava le macerie delle sue guerre precedenti. Si accumulavano nel baratro e riempivano la fossa delle sue paure. Prima o poi avrebbero raggiunto la superfice ed in forza l'avrebbero sconfitto. Era il buco nero che immaginava vicino al cuore quello che spuntava qualche battaglia. Così guidava per le strade della città. Solo, anche se in coda al semaforo, riusciva a trovare la sua pace solo in periferia. Nelle zone delle fabbriche, dei depositi dei container, lì trovava il suo altare sacrificale. Sapeva che doveva sporcarsi nell'anima, per potersi lavare da ogni paura. I lampioni lo illuminavano a intermittenza, e sotto di loro c'erano quelle che lo avrebbero aiutato. Normalmente era una persona perbene, benpensante e osservante della legge. Per quanto potesse comportarsi bene, sospettava che alla fine avrebbe dovuto comportare un'azione contraria, doveva bilanciare il suo cosmo. Non voleva lasciarsi andare, ma il buco nero si allargava, gli costringeva le budella, e l'adrenalina gli infuocava gambe e braccia. Girava e girava per le stesse strade, guardava l'ora, notte fonda e abbassava ed alzava la temperatura. Era in lotta con se stesso, contro la sua volontà. Passava lento vicino ai suoi angeli, che potevano diventare diavolesse, schiacciava l'accelleratore e avanzava. Le osservava da lontano, sera dopo sera, ormai le riconosceva dalla fisionomia. Si diceva convinto "Guardo solo, che male fa?" poi diversi giri dopo, fra sé e sé "Ma si... adesso vado con lei, mi sento ribollire!" Invece un'altro disperato portava via prima di lui il suo angelo, oppure passava una macchina della polizia ad interrogare una diavolessa. In entrambi i casi, girava la macchina e tornava a casa. In quei casi vinceva lui. Quella notte invece pioveva e non aveva trovato nessuno in giro. Poteva sembrare un pareggio, quando all'ultimo lampione, dove non aveva mai visto nessuna di loro, c'era una ragazza protetta da un ombrello. Si avvicinò a lei e non ricordava di averla mai vista. Accosta ed abbassa il finestrino "Cc‐ciao bella! Come mai sola sotto questo diluvio?" lei si avvicina alla macchina. Un angelo, lei era di sicuro un angelo. Sorride "Sono nuova qua... Che vuoi trenta bocca, quaranta scopata con preservativo?" Un angelo che andava dritto al punto. Lui fece cenno di entrare. Non aveva risposto e la ragazza lo guardava con aria interrogativa "Alòra? Trenta o quaranta?" lui non ci pensò nemmeno "Facciamo trenta, okey, okey..." Si sentiva sempre più preso dal buco nero, stava dando il via libera ai suoi vizi. Come una navigatrice la ragazza gli indicava la strada dove appartarsi. Lo guidava, gli sorrideva e gli diceva "Posto lontano, ma tranquillo, non preoccupare". Lui ubbidiva, girava e svoltava quando richiesto. Poi per rompere il ghiaccio cominciò a fare domande "Come ti chiami?" e lei "Chiara. Vai dritto ancòra" "Di dove sei Chiara?" "Ungaria" lui "Un‐ghe‐ria... Sei molto giovane Chiara...quanti anni hai?" "Si, ho venti ànni... quasi arrivati sai?" "Bene, sei proprio giovane, toglimi una curiosità...ma sei obbligata a farlo?" "No, non sono obbligata, ecco ferma qua." Fermò la macchina, il posto è un parcheggio lontano perfino per i suoi normali giri notturni. La conversazione sembrò assolverlo dalle sue colpe, pensava che lei non era obbligata a farlo da qualcuno, lo faceva per conto proprio. Mentre lei trafficava con la borsetta, lui gli consegnò i soldi "Senti io, non sono abituato a questa cosa, anzi non so nemmeno se voglio farlo" e lei "Ma mi hai pagato..." "Lo so. Ma non è necessario. Mi basta il brivido..." lei sembrò fare spallucce "Non capisco, non mi trovi bella?" lui agitò le mani in senso di negazione "No! No! No! Te sei bellissima, solo che non voglio farlo, mi è passata la voglia!" "Te non sei mica normale... Mi paghi e poi non vuoi bocca... non ti tira forse!?". Ecco è da quel momento che non ricorda bene cosa sia successo. Ricorda solo di essersi abbassato i pantaloni e poi di aver preso con forza la testa della ragazza. Lei si era rialzata perchè non aveva messo il preservativo e allora lui la schiaffeggiò forte e prese il collo della ragazza. Poi il buco nero vicino al cuore si mangiò tutto, auto compresa e il buio calò come una tenda di teatro sulla scena. Questa notte aveva infangato la sua anima, sporcato il suo spirito. I vizi avevano vinto.