Sul traghetto "Hesperis", in viaggio verso la Grecia (1980)

                                                                               Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos'altro ti aspetti?                                                                                       

 Erano le tre del mattino, il viaggio verso terra di Grecia era a metà strada: non riuscivo a prender sonno e così uscii dalla mia cabina, la numero settantotto, e lentamente mi avviai  verso il pontile di prora del traghetto "Hesperis", partito dal porto di Brindisi qualche ora prima. Appena giuntovi mi appoggiai sulla balaustra e cominciai a rimirare la fantastica luna che si stagliava in cielo e che illuminava quasi a giorno quella notte.
Mai, in vita mia, avevo visto una luna così né mi ero sentito così tanto piccolo e inutile nel mentre lo facevo...direi come un pugno di polvere. Forse, chissà, tutto dipendeva dal numero della mia cabina (il settantotto, che era sempre stato un numero magico e tragico allo stesso tempo, croce e delizia nella mia vita: ripensavo a quella magica estate del 1978, due anni prima, quella del fantastico mundial d'Argentina e degli azzurri di Bearzot a farci sognare ed in cui io e mia sorella Anna c'inebriammo di sole, di mare e di arte, o ai settantotto gradini...pardon, baci che diedi alla mia compagna di classe Veronica nel giorno del suo sedicesimo compleanno; ma anche a quando, qualche anno prima, avevo perduto una cifra esorbitante puntando sul settantotto noir alla roulette del casinò di Campione; oppure, che all'età di settantotto anni, ahimé, se n'erano andate da questa vita persone importanti per me: la carissima ed amatissima zia materna Maria, faro della mia esistenza; mio nonno paterno Carlo, ucciso da una malattia incurabile e crudele; e ancora Antonia, cugina buonissima di mio padre), da una qualunque coincidenza astrale o da un qualsivòglia "non so che" che mi balenava dentro. Uno strano stato d'animo, insomma, che ogni tanto prende ad ognuno di noi.
Ad un certo punto mi balenò nella testa un pensiero altrettanto strano, proprio sul viaggio, anzi, sul viaggio (non quello che mi apprestavo a vivere, ma più in generale) ed insieme sul trascorrere del tempo.
‐ Il tempo, ‐ pensai tra me e me ‐ è trascorso veloce in tutti questi anni, e sempre più veloce va, sembra quasi che non si fermi mai.
‐ Il tempo, ‐ pensai ancora, ‐ quello spilorcio e inesorabile masnadiero senza riguardo né rispetto verso niente e nessuno (neanche verso la più bella delle donne a questo mondo, o il più saggio profeta o santone della terra!) è proprio un furbo, abile ed infallibile architetto: infallibile ed assai furbo, spietato e infallibile allo stesso tempo!
‐ Allora, ‐ mi dissi, ‐ non c'é più tanto tempo, per fare cose...per andare dove mi piacerebbe andare né per fare ciocché realmente vorrei fare, o per andare dove mi piacerebbe realmente andare. Dopo di che mi fermai un po' ‐ il mulinare dei pensieri, infatti, insieme alla luna, mi facevano girare la testa...ma poi ripresi a pensare (sono sempre stato un pensatore, un libero pensatore in vita mia!)...‐ non c'é più tanto tempo, ‐ ricominciai a dire fra me e me ‐ ma non riesco a vivere come vorrei, forse, anzi, probabilmente; chissà perché? ‐ mi domandai. ‐ Ma forse questo viaggio in Grecia...
‐ Forse, ‐ pensai, ‐ mi schiarirà le idee oppure me le annebbierà definitivamente!
Ripresi allora a pensare e a ripetermi: ‐ non c'é più tanto tempo, non c'é più tanto tempo, non c'é più...‐ fino a alla nausea, anzi, fino a che d'improvviso udii una voce che mi sussurrò: ‐ Vai ragazzo, vai. Va pure per la tua strada, vai dove ti porta il cuore: va e vivrai!
Alché cominciai a guardarmi intorno con l'intento di rintracciare colui ‐ o colei ‐ che mi aveva parlato o quanto meno di scoprire il luogo da dove eran partite quelle parole così altisonanti: ma niente, intorno a me niente di niente, neppure l'ombra di un misero fantasma o di un amletico spettro. Mi misi poi a girare in lungo ed in largo per il pontile: ancora niente. Fino a che, oramai stanco, mi sedetti per terra ed alzando casualmente la testa al cielo, quasi per istinto ‐ o per celia, chissà, o forse per scorgervi la stella polare ‐ innanzi a me apparve un volto di donna: dapprima poco nitido ma poi, man mano che lo osservavo, diventava sempre più chiaro fino a quando...alla fine lo focalizzai ben bene, cioé, fino a quando in maniera netta e alquanto precisa riconobbi in quel volto la mia cara nonna materna Eleonora, scomparsa ventinove anni prima, quando avevo appena un anno. E quel volto apparve innanzi a me nuovamente e ancora (come fosse un vero e proprio oracolo che emette la sua sentenza) mi scandì le parole di prima:
‐ Vai ragazzo, vai pure Cianino, ‐ diminutivo con cui spesso mi chiamavano in famiglia, ‐ vai e vivrai, ragazzo mio; va pure dove ti porta il cuore!
E lo fece, quel volto, quella apparizione, quell'oracolo...con precisione quasi chirurgica, ancora altre due volte prima di scomparire nel nulla, all'improvviso: così com'era apparsa. Nel frattempo erano ormai giunte le prime luci del mattino ed io, ancora un po' stordito e quasi traballante per l'accaduto (al limite del paranormale e dell'inspiegabile, oppure dello splendidamente immaginifico, dipende sempre dai punti di vista o dal modo in cui si percepiscono cose che ci circondano e gli eventi che accadono intorno a noi), decisi di rientrare in cabina, dove riuscii miracolosamente a prender sonno e riposare qualche ora. Mi risvegliai intorno alle sette e trenta e svegliai anche il mio amico Antonio, compagno di cabina e di viaggio nonché mio grande amico sin dall'infanzia. Non dissi niente ad Antonio di quanto accadutomi qualche ora prima. Insieme ci vestimmo e salimmo nel salone grande del traghetto, dove facemmo colazione: a base di toast imburrati, marmellata e thé alla menta.
Il traghetto arrivò nel porto di Argostoli, puntualmente sulla tabella di marcia, alle nove e quarantuno e noi, due minuti più tardi eravamo a terra. Quel viaggio in Grecia durò tre settimane e toccò, manco a dirlo, luoghi da favola: le più belle città delle isole Ionie, da Atheras a Petani, da Mourtos ad Antipata, da Sami a Poros, a Vathi e infine nella mitologica Itaca, la splendida isola patria di Ulisse, il personaggio omerico le cui gesta ed avventure sono narrate con sapienza, acume e immortale maestria letteraria nell'Odissea; la splendida isola cantata dal poeta della nostalgia Kostantinos Kafavis; la splendida isola misteriosa e al tempo stesso mitica per i viaggiatori incalliti come me: quelli, cioé, che sono soliti viaggiare col pensiero e con l'immaginazione ancor prima che con le gambe. Ithake, nell'idioma originale, contava all'epoca meno di cinquemila abitanti "fissi", i quali nel pieno della stagione turistica, che da quelle parti dura da marzo ad ottobre inoltrato, come per incanto ‐ o per disgrazia ‐ fluttuano e si moltiplicano a dismisura, diventando oltre un milione: occulto potere, chissà, se del turismo di massa, o di quello usa e getta, o mordi e fuggi?!
Fu quello un viaggio bellissimo, il più bello ed indimenticabile della mia vita, nel corso del quale conobbi una ragazza bruna di nome Sandy, una turista americana di cui mi innamorai perdutamente e con cui feci l'amore, ma che dopo di allora non rividi più. Durante quel viaggio, poi, presi alcune decisioni importanti: ossia, una volta tornato a casa, in Italia, avrei ricominciato a studiare (cosa che avvenne) e dopo gli studi avrei aperto, a Castelfidardo (nelle Marche) un negozio di fisarmoniche, strumento che avevo imparato a suonare sin quasi da bimbo da alcuni zingari gitani della puszta ungherese (cosa che avvenne e che ancor oggi mi tiene occupato e mi da, anzi, di che vivere).  Dopo quel viaggio sono diventato più saggio. Ho vissuto, dopo di allora, e vivo la vita come una avvventura...Voglio io: secondo ciò che sento e no secondo ciò che vedo; e poi ho imparato a camminare, e cammino, cammino...seguendo vo' la via (forse, chissà, quella che mi indicò mia nonna nell'apparizione sul traghetto "Hesperis"). Un giorno, forse, tornerò nella terra dei miei avi, l'Australia, in cerca del talismano, ma no ‐ che dico ‐ dell'anziano della terra del ricordo del sogno; e se...là se lo troverò li tenderò la mano e lo porterò via con me!

Taranto, 25 marzo 2016.