Tacci Tu Sono Tre Fratelli Indú
È arcinoto che i romani, per smitizzare anche le situazioni più scabrose, usino un spirito popolaresco, talvolta anche un po’ greve. Invece di usare la brutta imprecazione ‘Li mortacci tua’ si inventarono una canzonetta: ‘Tacci tu sono tre fratelli Indù’ in cui quella popolazione non centrava un fico secco. Talvolta quello spirito può portare a situazioni spiacevoli come quando Alberto M., studente di ragioneria abitante in via Conegliano, una traversa di via Taranto a Roma, ne combinò una delle sue. Gli piaceva da matti Rosina ragazza dal volto raffaellesco figlia di un giornalaio con edicola vicino casa. La ragazza, educata in un collegio di suore, anche dinanzi ad un semplice complimento diventava rossa in faccia con evidente suo imbarazzo, ormai a diciotto anni poteva e doveva considerarsi donna ma… Alberto, la cui mente era sempre in evoluzione per inventare storielle e canzonette non proprio castigate, una mattina pensò di cercare di smuovere la ragazza dal suo torpore sessuale con questa, come chiamarla, storiella: “Cara hai Tempo?” “Si” della giovane, “Grazia?” “Anche quella” e “Mani di Fata?” “Eccole tutte e tre.” “Che ne dici di farmi una sega?” Stavolta Rosina invece di cambiar colore in viso in rosso diventò pallida come un morto, Alberto capì che aveva esagerato e, per non combinare altre gaffes sparì dalla circolazione. Una mattina vide da lontano il padre della cotale che gli faceva dei gestì, capì che Rosina si era sbottonata col genitore e prese il largo, ogni volta invece di passare dinanzi all’edicola, faceva il giro del palazzo, il cotale era un signore non tanto signore, assomigliava più ad un carro armato…Alberto, diciottenne, trasferito, diciamo d’ufficio, da Jesi in quel di Ancona a Roma presso la zia Armida professoressa di lettere con sede fuori Roma e presso la nonna Maria proprietaria di terreni nell’alto Lazio, frequentava il quarto ragioneria presso l’Istituto Tecnico ‘Leonardo da Vinci’ vicino al Colosseo; sogni tanti, soldi pochini perché la nonna Maria, la paperona della casa, tramite la portiera‐spia aveva saputo che l’amato nipote aveva preso a fumare e quindi: taglio dei ‘viveri’! Alberto per mettere da parte venti lire, allora non c’era ancora l’€uro, si faceva a piedi circa due chilometri per arrivare a scuola passando per ‘lo stradone’, altrettanti soldi per il ritorno. Ovviamente doveva farsi riparare le suole delle scarpe con grandi interrogativi da parte dell’ava Maria. La domenica il guadagno maggiore: duecento lire incassate senza andare al cinema Golden o meglio il film lo vedeva lo stesso ‘aiutato’ da una ‘maschera’ che abitava nella sua scala. Un giorno il nostro prode si domandò se era il caso di far tanti sacrifici per fumare le sigarette ‘Sport’, da ragazzo intelligente si rispose che era una ‘str…ta’ e dopo l’ultima fumata decise di farla finita, almeno gli rimanevano dei quattrini in tasca per altri scopi, primo fra tutti la frequentazione di una ‘casa’ in via Cimara; per i non pratichi di Roma si trattava di una ‘casa chiusa’ ma popolata di ‘signorine’ disponibili, insomma un ‘casino!’ Poteva considerarsi un bel giovane, alto oltre la media, robusto ma non grasso, spesso sorridente, non molto elegante per motivi finanziari si fece apprezzare dalla maÎtresse che non gli faceva pagare l’ingresso e da qualche signorina che, avendo ‘contatti’ con un bel giovane invece di qualche vecchio bavoso e gli faceva pagare solo la ‘marchetta’ semplice, insomma sfruttava in qualche modo il suo fisico. Ma nella mente del giovane c’era sempre Rosina che per una stupida battuta si era inimicata. Alberto era un fantasioso; pensa e ripensa che gli viene in testa? Per ‘recuperare’ e far sorridere la ragazza, ricordando il detto francese: ‘donna che ride è già nel tuo letto’ si inventò di presentarsi alla baby con sul capo un piccolo cestino pieno di cenere. Scrutato dal balcone che la ragazza era sola in edicola, con calma si presentò a lei in lacrime, si mise in ginocchio e, piegando la testa, fece cadere la cenere in terra. “La mia anima è profondamente triste, chiedo perdono oltre che a te anche a Dio (la ragazza era religiosa) sono stato un imbecille con una sciocca battuta, vorrei…” “Vorresti prendere un sacco di botte, da lontano vedo mio padre, ficcati sotto il balcone furbacchione!” “L’omone: “S’è visto quello sciagurato?” “No papà, ti avviserei.” Quella situazione fu favorevole ad Alberto per due motivi: il primo perché aveva evitato di far visita al vicino Ospedale S.Giovanni e la seconda che Rosina, avendolo coperto, aveva dimostrato che in fondo il giovane non gli dispiaceva. “Non lo fare ancora perché la prossima volta non ti aiuto e vedi come ti finisce!” “Io spero finisca bene, ti aspetto domani pomeriggio, quando di solito c’è tuo padre in edicola, nei giardinetti di via Aosta, ciao.” Alberto sparì in fretta per non dar modo alla ragazza di replicare.” Le quindici, le sedici, le diciassette ormai Alberto comprese che gli era andata buca, stava per ritornare a casa quando spuntò Rosina: “Son qui dalle quindici, volevo constatare quanto ci tenevi a me, non m’è dispiaciuto farti aspettare.” “Io sono contro la violenza ma un paio di sculacciate te le meriteresti.” “Lo faresti per toccarmi il sedere, con me avrai capito niente da fare, tutto dopo il matrimonio!” “Ma io non ti ho chiesto…a me basterebbe passeggiare con te, mi piacerebbe andare a Colle Oppio, sapere qualcosa della tua vita e raccontarti qualcosa della mia.” “Vedrò, dammi il numero di telefono di casa tua.” Passa un giorno passa l’altro il telefono non squilla o meglio le telefonate non erano dirette a lui, stà figlia…L’imprevedibilità era propria di Rosina, Alberto se ne accorse quanto suonò il citofono a casa sua, pensava ad un suo compagno di scuola invece, sorpresa: “Sono Rosina, sbrigati a scendere, ho poco tempo!” Maledetta, l’aveva tenuto sulla corda per una settimana, gliela avrebbe fatta pagare…ma quando mai, ogni giorno la desiderava di più. Sceso in strada, frettolosamente girarono il vicolo per appartarsi in una strada laterale. “Ti diverti non è vero? Adesso basta, ho la testa confusa e non combino quasi nulla a scuola “Io non voglio frequentare un ripetente, ciao.” Alberto la prese per le braccia e gli mollò un bacio, pensò o la va o la…la andò, Rosina partecipò attivamente al bacio che, come conseguenza portò all’aumento del volume dei pantaloni del signorino il quale paventò che la ragazza l’avrebbe presa male. Ma quale male, Rosina si fece una risatona: “Ti vergogni perché ti sei eccitato, io non saprei che farci con una m…ia moscia.” A questo punto Alberto si sbilanciò: Altre che studio presso le monache tu…” preferì fermarsi, voleva dirle che lei aveva appreso i rudimenti del sesso presso una maîtresse! Come prima volta non era andata male, Alberto voleva presentare la ragazza alla nonna Maria vero deus ex machina di quella casa, venne alla conclusione che, siccome la vecchia era una gran lettrice di Liala sin da quando era giovane, si procurò due libri di quella autrice ed alla nonna Maria: “Ho detto all’edicolante qui sotto che sei una lettrice di Liala, ha procurato tre suoi romanzi inediti e vorrebbe portarteli.” Nonna Maria era al settimo cielo: “Falla venire domani pomeriggio, le offriremo the e pasticcini.” Questa volta puntuale alle quindici Rosina si presentò con i libri incartati con carta regalo. “Gentile signora un omaggio per lei.” “Ti ringrazio figliola, non pensavo che questo sciagurato di mio nipote avesse come amica una così deliziosa ragazza, fra l’altro fuma pure!” “No signora ha smesso per amor mio.” La nonna si tolse gli occhiali da vicino per squadrare meglio la giovane, non era una sciocca, capì che fra i due c’era già del tenero. “Mi piacerebbe avere dei nipotini ma pare che stò signore non abbia la testa a posto.” “Ci penserò io a metterlo in riga, intanto è stato promosso con la media del sette agli esami di ragioneria!” “Nonna non ti avevo detto nulla per farti una sorpresa…” “Forse mi sono sbagliata o è questa ragazza che ti ha cambiato, come ti chiami?” ”Rosina come mia nonna.” “Prenoto il nome di Maria se sarà una femminuccia!” Rosina amava le sceneggiate anche se talvolta potevano finir male, si fece trovare dal padre dentro l’edicola in compagnia di Alberto e prima che ‘la montagna’ passasse a vie di fatto: “Papà mi sono fidanzata, questo è tuo genero Alberto.” Stupore è una parola inadeguata al viso del futuro suocero, si guardava intorno frastornato, “Figlia mia, ho una certa età, mi hai scioccato, vuoi diventare orfana?” “No papà io e Alberto faremo felice la nonna di Alberto Maria dandole il suo nome se verrà una femminuccia e te se sarà un maschietto, si chiamerà come te Ferdinando, diminutivo Nando, contento?” “Sono diventato troppo vecchio, io sti giovani…”