Ti amo anima mia
La casa è avvolta dal silenzio.
Un insolito, inquietante silenzio.
La Tv è accesa ma è come se fosse priva di suoni e diventa impercettibile.
Solo le lancette dell'orologio di vetro irrompono e scandiscono decise i battiti della mia angoscia.
Mi è mancato questo rifugio, eppure, ora che è di nuovo mio, non riesco a viverlo.
Giro per le stanze con gli occhi sbarrati, continuamente all'erta, tremo e fatico a stare ferma. Me l’avevi garantito che saresti stato la mia ombra per sempre, se ti avessi lasciato e ora la trovo scura e ingiusta incollata sulla mia.
Mi pedina e anche il tuo respiro sul mio collo incombe.
Penetra nelle mura che ingiustamente hai sporcato e le rende vive, una gabbia mobile intorno a me.
La percezione di morire non si dimentica.
Si insidia nelle vene per sempre e ti rende una persona diversa, consapevole che la morte è un rapidissimo secondo e che quello che la precede, se stai che sta per arrivare, è invece qualcosa di interminabile. Una dilaniante tortura.
L'estate è qua fuori. Mi osserva come ad aspettarsi un cenno di gratitudine per essere arrivata.
Ricambio lo sguardo attraverso i vetri, che hanno visto tutto, carichi di dolore, sporchi, e osservo la luce restando inespressiva.
Non riesco a sorridere.
Spargo di sale l'ingresso, poi inizio a bruciare incensi senza aroma.
Voglio che la mia casa mi accolga, che l'aria torni ad essere pura, respirabile, che il tuo ricordo svanisca, ma non funziona.
Tutto sa ancora troppo di te e tutte le mie cose sembrano maledette.
Come hai potuto imbrogliarmi così, straniero?
Sei stato indubbiamente molto bravo e all'improvviso sono diventata vecchia.
Una ragazza passata e con gli occhi spenti.
Tolgo le nostre foto sotto vetro appese al muro e inevitabilmente continuo a vedere noi.
Il mio vestito a fiori, i sorrisi ingenui, il futuro che non esisteva.
L'assuefazione che avevo di te, delle tue parole, delle tue labbra e non me lo perdono, perché ero cieca mentre abile muovevi i fili del mio cuore.
Sei stato un Giuda nella mia vita.
Sei entrato piano poi hai invaso tutto senza rispettare le barriere. Troppo passionale. Lacerante.
Torno a casa oggi, dopo mesi di assenza, ma non sono guarita.
Ho fasce di dolore attorno alle braccia e alle gambe. Schegge di vetro dentro agli occhi.
Mi stendo sul divano, li chiudo e vedo gocce purpuree che dall’alto scendono giù.
Questo accade adesso e si ripete.
Prendo l’aria a piccolissime dosi perché involontariamente il respiro si blocca e ti sento.
Allungo una mano e posso quasi toccarti.
Sei sdraiato anche tu qui ma in maniera scomposta.
Tieni una sigaretta tra l’indice e il medio della mano destra e le finestre chiuse, tanto per farmi un ennesimo dispetto.
La Tv ti cerca ma non la guardi.
La mia coperta blu copre un terzo del tuo corpo. E’ un’abitudine perché in realtà non hai mai freddo.
C’è sporco ovunque: briciole sotto al tappeto, polvere sui mobili e uno sputo di coca ormai appiccicosa vicino al tavolino di vetro.
Un albero di Natale è ancora all’angolo, vestito con tutti i ninnoli che ho scelto con cura per agghindarlo.
E’ elegante e malinconico. Scuro dietro ai colori vivi.
Il rosso sa di sangue ora, non sa di festa.
Accanto ad esso c’è ancora la cornice doppia che ho decorato per il nostro “primo” Natale insieme che ci inquadra abbracciati sereni. Siamo accucciati a terra esattamente accanto a quell’abete di plastica.
Buffo è il destino.
Mi alzo, tengo stretto fra le mani lo spray al peperoncino e mi dirigo verso la camera.
Mi tocco il viso, non fa più male eppure nello specchio le ferite ci sono tutte.
E ci sono anch’io, sul letto enorme, rannicchiata nel terrore sopra ad un cuscino.
Non voglio stare più con te.
Per questo sei alienato.
Vuoi ribadire che il padrone sei tu e che io non posso decidere nulla, tantomeno di andarmene.
Accade tutto in un attimo.
Mi ti butti addosso con una forza inverosimile.
Sento le tua dita dentro i miei occhi che premono forte.
La tua mano aperta riesce a prendermi tutta la faccia e la tua violenza a sollevarmi come fossi di polvere.
Credo di provare un grosso dolore ma subito di non accorgermene.
Il cuore va a tremila.
Ne sento i battiti impazziti e temo possa scoppiare, poi mi scaraventi sul letto e chiudi la porta, allora non lo percepisco più.
Tutto diventa una nuvola di strazio. Qualcosa di veramente impossibile da spiegare.
“Ora tu muori! Hai capito?! Muori!”
Mi dici questo e lo fai fissandomi con una follia incontrollata.
Forse tremo. Divento pallida e di ghiaccio.
Sento davvero che non uscirò viva da questa stanza.
Ho un terrore mai avvertito così potente sotto alla pelle. Non so cosa fare.
Continui a riempirmi di botte.
Mi prendi la testa e me la sbatti in giù più volte. Mi afferri per i capelli per rialzarmela.
Poi ancora e ancora.
Urlo tanto come ho visto fare solo in certi orrendi film ma arrivi a tapparmi la bocca tempestivo e subdolo.
“Non strillare! Zitta! Stai zitta o è peggio per te !!”
I vicini sentono, lo so, ma il silenzio aumenta e diventa asfissiante.
Sono impotente e sola con la mia magrezza e il mio spavento.
Stavolta non ti fermerai.
Hai già commesso una cosa grave picchiandomi e per questo, arriverai fino in fondo e mi sgozzerai!
Penso questo, non ho speranze e sono terrificata, ma smetto di gridare, tanto nessuno arriverà a salvarmi.
Sto ferma e sono lucida.
Scorrono deboli i minuti e realizzo che tutto sta accadendo realmente.
Poi ti allontani poco da me ed inizi a camminare avanti e indietro per la stanza, ai piedi del letto.
Ti tieni la testa fra le mani e farnetichi:
“Perché mi hai fatto fare questo?! Perché?!!”
Sono io la colpevole. Come sempre, anche ora che siamo giunti alla fine.
Sei irriconoscibile. Hai lo sguardo di un folle e l’agitazione pure.
“Calmati! Ti prego calmati!”
Cerco di farti ragionare ma tu insisti nel dirmi di non fiatare e di non toccarti.
Sei in preda allo squilibrio. Non ti ho mai visto così.
Continuo a stare immobile.
Cerco una via d'uscita e non la trovo.
Cerco un pensiero che possa deviare il tuo delirio ma la mente è vuota e il sapore del sangue arriva a riempirmi la bocca.
Chiedo di poter andare in bagno a sciacquarmi il viso.
Ti metti davanti alla porta. Pensi che voglia scappare.
Con la mano mi tocco le ferite e ti mostro il sangue, come se non lo vedessi già, così ti decidi a farmi prendere un po' d'acqua ma mi stai addosso e mi controlli.
Vuoi che mi sbrighi e che torni in camera.
Ho il viso tumefatto, i denti rossi, le gengive e il labbro spaccati, i capillari degli occhi lacerati ma tu non vedi niente e fulmineo mi riporti sul letto stavolta senza chiudere la porta.
Dici frasi impastate tra i denti, poi inizi a piangere.
Hai una crisi di nervi.
“Io non ti ho mai detto bugie! Devi credermi! Io voglio una “famillia” con te, un figlio con te!”
“Ti credo ma ora calmati. Ti credo!”
Dici che le mie sono solo parole di paura.
Hai ragione.
Ho paura, una fottuta, disperata paura!
Ti guardo e non ti riconosco.
Non so più chi ho amato in tutti questi anni.
Sei un mostro pieno di rabbia e di tristezza, trepidamente schizofrenico ed io non posso guarirti.
Come esco da qui non lo so.
So che ti prendo le mani e ti dico di guardarmi.
Voglio che mi riconosci, che ti ricordi di noi come nelle foto più dolci.
Ti dico di calmarti, mille volte.
Voglio che fermi la testa e torni in te.
Poi mi alzo e vado verso la mia borsa in salotto e non mi blocchi ma ti insospettisci.
Me la togli di mano e cerchi dentro.
“Voglio solo il telefono, chiamo a lavoro per dire che faccio ritardo.” Mi trema la voce.
Temo di nuovo il peggio ma non trovi nulla di equivoco.
Se l'avessi trovato, probabilmente, non sarei riuscita a scappare e mi avresti massacrata ancora.
Ti chiedo di accompagnarmi fuori.
Non so perché ti convinco ma so che mentre scendo le scale mi sembra un miracolo.
Sei dietro di me e mi segui fino all’automobile poi entri dentro.
Il tempo sembra infinito.
Mi implori di perdonarti per quello schiaffo.
Così lo chiami, uno schiaffo.
Tanta brutalità ridotta ad un misero ceffone.
Fai anche lo sguardo mite, non ti arrendi.
Credi di potermi ancora raggirare ma non è così.
Stavolta mi hai terrorizzata e se sono apparentemente calma, è solo per liberarmi di te.
“Devo andare..”
Scendi dalla vettura e mi lasci andare.
Non so perché lo fai.
Forse sei sicuro che tornerò, che ti perdonerò ancora e non andrò alla polizia.
Sei in piedi e continui a guardarmi con gli occhi pieni di disperazione a nascondere l'ennesima bugia.
Farfugli le ultime frasi del copione, abusando della mia fragilità.
Dici che ti ucciderai.
Vuoi essere certo che tornerò.
Non c'è nessuno.
Improvvisamente le case intorno sono vuote. Le finestre chiuse.
Siamo solo io e te, nonostante sia pieno giorno.
Metto in moto e senza guardarti più, me ne vado, non so nemmeno dove.
Poi inizio a piangere.
Un pianto irruento, impaurito, estremo.
Gli occhi venati di rosso, la faccia gonfia e un senso totale di abbandono!
Non mi capacito di come riesco a guidare in quello stato, con la nebbia che dalle pupille si spande ovunque a confondermi la strada.
Singhiozzo e parlo da sola, senza sapere che fare, poi chiamo mia madre, poi la polizia.
Devo dire che sono stata aggredita, che sono scappata da casa mia, che sono in pericolo, che un uomo mi voleva tagliare la testa.
Chiamo e dico che un uomo si vuole togliere la vita.
Di fare presto. Di andare a controllare.
Non mi credono.
Insisto.
“Andate a vedere, per favore!”
Anche loro sanno delle tue falsità e sono convinti che non lo farai.
Sono una maledetta stupida, fino all'ultima lacrima, a preoccuparmi per te invece di proteggere me stessa.
Non avresti mai sacrificato la tua vita per nessuno.
Unicamente la mia ed ora, in questa casa piena di tenebre, su questo divano disinfettato e sotto a questa coperta blu che mi avvolge, ne ho l'assoluta certezza.