Titolo: La Battaglia Interiore

Quella che sto per raccontarvi non è una storia inventata, né un racconto di fantasia. È il frutto di un sogno vivido, che ha attraversato la mia mente una notte, un sogno che ha messo a nudo paure, speranze e ferite nascoste. Un sogno che mi ha riportato indietro nel tempo, a un momento della mia vita che pensavo di aver sepolto, ma che è riaffiorato con una forza che non avrei mai immaginato. Questa è la mia storia, o meglio, quella che il mio subconscio ha deciso di raccontarmi, immergendomi in un campo di battaglia che non conoscevo, ma che, in fondo, mi apparteneva da sempre. E come ogni sogno che si rispetti, non è solo un gioco della mente, ma una riflessione profonda su ciò che siamo, su ciò che abbiamo vissuto, e su ciò che ancora ci trattiene prigionieri.

Un sogno che intreccia le paure più profonde di un uomo con il suo passato. Il comandante di una guerra simbolica che, catturato e umiliato, cerca la via della liberazione, mentre il suo subconscio rivela le cicatrici più nascoste, e il futuro si mescola con le ombre del passato.

Quella notte, il mio sonno mi ha portato in un luogo che non avevo mai visto, ma che mi era incredibilmente familiare. Ero nel corridoio di casa di mia madre, ma in quel momento non era il semplice antrone dove avevo passato parte della mia infanzia. No, quella stanza si trasformava in un campo di battaglia. Le pareti, le porte, la luce che filtrava dalla finestra, tutto si mescolava con l’odore di polvere da sparo e la sensazione di una guerra imminente. Io non ero più un semplice figlio, ero il comandante, il colonnello di un esercito che non esisteva. La battaglia non era solo contro il nemico fisico, ma contro un nemico ben più grande: il mio stesso passato.

Mentre mi preparavo a lanciare un attacco, qualcosa cambiò, e subito fui catturato. Gli inglesi, nemici che non riconoscevo, mi avevano preso. Un’umiliazione profonda si impadronì di me. Mi schernivano, mi deridevano, mi trattavano come se non fossi altro che un semplice prigioniero, incapace di reagire. Più mi sforzavo di reagire, più mi rendevo conto che non avevo alcun potere. Poi, all’improvviso, una figura che non avrei mai immaginato fece la sua comparsa. Era il re in persona. Con un sorriso ironico, mi sbeffeggiava, ridendo della mia impotenza. A quel punto, il peso della situazione mi colpì come un pugno: non ero solo un prigioniero, ero stato ridotto a una semplice pedina nelle mani di un destino che non riuscivo a controllare.

Il sogno non finiva qui, però. In quel momento di pura sconfitta, mi venne in mente una cosa: dovevo fare una telefonata. Presi il mio cellulare e lo portai alla bocca come se fosse un filo di speranza. La chiamata era diretta alla mia ex fidanzatina, quella che avevo avuto all’età di tredici anni. La ragazza della mia adolescenza, un amore che ormai sembrava sbiadito, ma che in quel momento sembrava l’unico legame possibile con il mondo esterno. Quella chiamata, però, non andò come speravo. Quando cercai di spiegarle che non avevo avuto alcuna possibilità di contattarla, lei non mi credette. Mi sbatté il telefono in faccia. Il suono di quel gesto mi trapassò come un colpo al cuore. Mi sentii abbandonato, tradito, più solo che mai. Eppure, ero ancora prigioniero, come se il mio passato, le mie scelte, e i ricordi di una vita che sembrava lontana mi stessero trattenendo in quel luogo che non riuscivo a lasciare.

Quando ormai avevo perso ogni speranza, una nuova possibilità si presentò. Il mio rilascio, dopo un lungo negoziato, venne concordato con gli inglesi. Il mio riscatto sarebbe avvenuto in cambio della libertà di uno dei loro prigionieri. Una situazione quasi paradossale, dove il mio destino dipendeva dalla libertà di un altro. Accettai la proposta, sebbene non riuscissi a immaginare quale sarebbe stato il mio futuro dopo. Mi liberavano, ma sapevo che non avrei mai più potuto tornare a casa. La mia esistenza sarebbe stata segnata per sempre da quella scelta. Ma c'era qualcosa di peggio che mi attendeva: una paura che si insidiò nel mio cuore. Se avessi lasciato quella base, gli inglesi mi avrebbero ucciso. Non c'era via di fuga. Il sogno si fece più oscuro, e l'idea che non avrei mai potuto sfuggire a quella prigionia interiore mi paralizzò. Ero destinato a essere inghiottito da un destino che non potevo controllare.

Improvvisamente, mi svegliai. Il cuore batteva forte, la mente ancora immersa nelle ombre di quella guerra che non era mai esistita. Mi guardai intorno, cercando di capire se fosse stato solo un sogno o se avessi vissuto una realtà più profonda, quella di una battaglia che si consumava nel mio subconscio. Il sollievo di svegliarmi, però, non cancellò la sensazione di aver attraversato una prova che mi aveva rivelato qualcosa di doloroso e importante: a volte, siamo prigionieri di noi stessi, del nostro passato e delle nostre paure più profonde. E non importa quanto cerchiamo di fuggire, alla fine dobbiamo fare i conti con ciò che ci tiene prigionieri.

Questo sogno, così vivido e simbolico, mi ha riportato alla mente le parole del mio libro "Lasciato Indietro", in cui il protagonista affronta la solitudine, il senso di abbandono e la difficile ricerca di una nuova identità dopo una separazione. Nel sogno, il campo di battaglia e la cattura da parte degli inglesi non sono altro che il riflesso di una lotta interiore che mi accompagna da sempre. La prigionia non è solo fisica, ma psicologica. Il comandante, come il protagonista del mio libro, è intrappolato nel proprio passato, in una guerra che non può vincere senza prima fare i conti con se stesso.

L’aspetto più significativo di questo sogno è il tema della liberazione. Il negoziato per il rilascio, che avviene in cambio della libertà di un altro, riflette quella continua lotta che affrontiamo nella vita. Siamo costantemente in cerca di riscatto, di una via d’uscita, ma spesso non possiamo ottenere la libertà senza fare delle scelte difficili, senza sacrificare qualcosa di noi stessi. È come se, nel corso della vita, ci trovassimo a dover negoziare la nostra felicità, la nostra identità, in un continuo gioco di scambi e sacrifici.

La figura della mia ex fidanzatina, che mi sbatte il telefono in faccia, rappresenta l’abbandono e la delusione, quelle ferite che portiamo con noi per tutta la vita, e che, spesso, non siamo mai riusciti a guarire. Il fatto che lei non mi creda, che non mi dia la possibilità di spiegarmi, simbolizza una realtà che molte persone vivono: quella di non essere mai veramente ascoltate o comprese, non solo dagli altri, ma anche da noi stessi. La comunicazione, in questo sogno, diventa il filo sottile che ci lega agli altri, ma anche l’elemento che, quando viene spezzato, ci lascia ancora più soli.

Dal punto di vista psicologico, il sogno sembra essere una manifestazione di una guerra interiore tra il passato e il presente, tra le aspettative e la realtà, tra ciò che vorremmo essere e ciò che siamo diventati. La paura che mi assale alla fine, quella di essere ucciso non appena lasciato il campo di battaglia, è il riflesso di una paura più profonda: quella del cambiamento. La paura di affrontare il futuro, di fare scelte che potrebbero distruggere ciò che conosciamo, di essere vittime di un destino che non possiamo più controllare.

Dal punto di vista sociologico, il sogno rivela un conflitto più ampio: quello tra l’individuo e la società. Gli inglesi, che nel sogno sono i nemici, possono rappresentare le forze esterne che ci impongono regole e limiti, ma anche le nostre paure di essere giudicati o respinti dalla società. La prigionia, quindi, diventa una metafora della condizione umana, quella di essere intrappolati in un sistema che non sempre comprende o accetta la nostra individualità.

Filosoficamente, il sogno ci invita a riflettere sulla natura della libertà. Se è vero che la libertà è un diritto fondamentale, è anche vero che spesso non siamo veramente liberi, perché la nostra mente è ancora prigioniera del passato, dei nostri errori e delle nostre paure. Forse la vera liberazione non è tanto una conquista esterna, quanto una riconciliazione con se stessi. La libertà, dunque, potrebbe non trovarsi nel fuggire da ciò che ci opprime, ma nel trovare il coraggio di affrontarlo e di cambiare ciò che possiamo cambiare in noi stessi.

Questo sogno, come il viaggio del protagonista nel mio libro, diventa una metafora della vita stessa, un percorso di lotta, di perdita e di ricerca di libertà. La guerra che combatto non è mai contro un nemico esterno, ma contro le parti di me che ancora non accetto. Il riscatto non arriva mai senza sacrifici, ma la vera liberazione è quella che avviene dentro di noi.
In conclusione, Ho iniziato a scrivere "Lasciato Indietro2 nel 2022, un atto di liberazione e di riflessione sulla mia vita, sul mio passato, sui legami che mi hanno segnato, sulle separazioni e le ferite mai completamente rimarginate. Ogni parola scritta, ogni capitolo che ha preso forma, mi ha aiutato a rielaborare il dolore, ma anche a riscoprire la forza che si nasconde nelle cicatrici. Quando mi sento nuovamente forte, quando la fragilità che mi ha accompagnato per tanto tempo sembra allontanarsi, sono ancora soggetto ai sogni come quello che ho appena raccontato. Cosa significa tutto ciò? Forse è il segno che, pur avendo attraversato la tempesta, ci sono ancora battaglie da affrontare, ancora paure da sconfiggere. È come se il mio subconscio, pur nella forza che oggi mi contraddistingue, cercasse di ricongiungersi con le parti più vulnerabili di me stesso, quelle che non sono mai state davvero lasciate indietro. I sogni, come questo, non sono mai solo ricordi o visioni: sono segnali che ci parlano, rivelandoci la parte di noi che ancora necessita di guarire, anche quando sembra che tutto sia finalmente al suo posto.