Trilogia di un sogno di mare

E farò un sogno di mare (uno)

Cosa scrivere, cosa raccontare? Da diversi giorni andava ripetendosi le stesse domande, ma niente, nemmeno uno cencio di idea da cui partire.
Si perché il problema, per lui, era solo quello di trovare l’incipit giusto, non aveva bisogno di altro perché subito dopo, come d’incanto, le parole giuste per proseguire sarebbero arrivate.
Che poi, a dirla tutta, nemmeno sapeva spiegarsi quella delirante ostinazione a voler scrivere l’ennesimo racconto per quel concorso letterario in cui, nel corso degli anni, mai era riuscito a classificarsi quantomeno tra i cinque finalisti.
Ci aveva provato in tutti i modi, con racconti di ogni tipo: emozionanti, tristi, allegri, ironici; ma niente da fare.
Tutti gli anni ripeteva la stessa frase: “Se non vinco questa volta, stop!” E invece…
Lo spunto per un nuovo racconto però alla fine arrivò
Accadde un giorno mentre ascoltava una canzone di Van De Sfroos dal titolo “Il camionista ghost rider”; strofe che parlavano di un camionista che, come in un sogno, durante il viaggio raccoglieva per strada diversi cantanti famosi: Jonny cash, Woody Guthrie, Robert Johnson e altri ancora.
Ecco l’idea: seguire il percorso narrativo della canzone di Davide Bernasconi, in arte Van de Sfroos, sostituendo i cantanti con alcuni scrittori e poeti a lui cari, e cambiando i luoghi del viaggio: anziché dal Gottardo al casello di Cesena nord, da Marsiglia a Genova.
Il primo scrittore a cui aveva pensato fu Francesco Biamonti, persona solitaria e schiva e coltivatore di mimose.
Lo aveva scoperto quasi per caso attraverso una sua intervista a un quotidiano.
In quel periodo un tumore ai polmoni lo stava finendo, lui raccontava che non riusciva più a scrivere perché gli avevano proibito di fumare.
Nel suo racconto, nel suo sogno di mare, avrebbe fatto riferimento a due romanzi di Biamonti: “Attesa sul mare” e “Vento largo”; quest’ultimo letto almeno una decina di volte.
II libro era rimasto sul suo comodino per mesi; nelle notti insonni lo apriva a una qualsiasi pagina e leggeva, a volte alcune righe altre volte un capitolo e non aveva bisogno di ricominciare dall’inizio e nemmeno di arrivare alla fine.
Il romanzo, collocato a metà del secolo scorso, parlava di Varì che viveva ad Aurno, un borgo sulle alture dell’entroterra ligure, al confine con la Francia.
In quelle terre alte, appese, cera rimasto solo Varì, gli altri, alzato il volto verso il mare, se n’erano andati.
Terra buona su quelle fasce di Aurno, ma il gelo, per l’ennesima volta, aveva bruciato tutto e Varì non voleva ricominciare da capo; per affetto, che forse era speranza d’amore, si era lasciato convincere da Sabel a fare il passeur e a portare oltre confine dei disperati in cerca di poche briciole di fortuna.
Biamonti in un’intervista diceva di aver voluto rappresentare la condizione umana, erratica, provvisoria, incerta, fragile ed esposta al vento largo della vita.
Nico Orengo invece era entrato nella sua libreria con il romanzo “La curva del latte”.
Il libro, ambientato a Latte di Ventimiglia negli anni cinquanta, era un viaggio intenso, ironico e lento, dentro un’Italia che invece stava di corsa cambiando.
Passioni politiche e un partigiano di nome Libero, intrecci amorosi e strani esperimenti scientifici, il cielo attraversato dallo Sputnik e nell’aria le note e le parole di una canzone che parlava di un mare dipinto di blu.
Incredibile c’erano libri che lo emozionavano anche solo a parlarne, come certe storie d’amore, certe passioni che ogni tanto tornano a far vibrare il cuore.
Nel suo sogno di mare avrebbe portato con lui non solo Nico e Francesco, ma anche alcuni personaggi dei loro romanzi e alcune frasi prese dai libri stessi.
Per quanto riguarda i poeti, in un primo momento aveva pensato a Eugenio Montale, ma avrebbe dovuto spingersi fino a Monterosso, nello Spezzino, invece lui voleva terminare il suo viaggio a Genova per incontrare Fabrizio De André.
Alla fine scelse Edoardo Firpo, poeta dialettale Genovese; persona semplice che si guadagnava da vivere facendo l’accordatore di pianoforti e che inoltre aveva due grandi passioni: la pittura e la poesia soprattutto.
La poesia di Firpo gli piaceva perché riusciva, con una armoniosa descrizione del paesaggio, ad addolcire l’asprezza del dialetto e nello stesso tempo a togliere un po' di ansia alla vita; e, (usando parole del poeta), se avevi il cuore tra le spine, lei ti aiutava a farlo tornare tra le rose.
Firpo era anche un antifascista e la sua poesia più intensa parlava proprio di alcuni giovani partigiani che son morti co sacrifizio da Zoventù.
A quel punto aveva il necessario per elaborare il racconto, tutti insieme sarebbero andati a salutare il Faber allo Staglieno, per ripartire subito dopo verso casa.
Terminò con soddisfazione il racconto, ma poi decise di farne una seconda versione con un finale diverso, con De André che li portava a mangiare in un posto che lui conosceva bene: nella casa di pietra vicino alla fontana dei colombi.
Alla fine si era ritrovato con due racconti, ma a a guardar bene anche quello che stava scrivendo e che spiegava come erano nati i due componimenti, era a sua volta un racconto e visto che al concorso si potevano inviare tre racconti…

E farò un sogno di mare (due)

Anche se un po’ datato, il pulmino fa il suo lavoro egregiamente; me lo hanno noleggiato per pochi euro perché questo sarà il suo ultimo viaggio, ma probabilmente, aggiungo io, tra i più interessanti della sua meccanica esistenza.
Il vento largo che viene dal mare e che cambia continuamente in una mesticanza di rotte, disorienta e costringe a rallentare.
A parte ciò, oggi è una calda giornata, quasi un acconto dell’estate che tra poche settimane riesploderà; un orgasmo di luce mi avvolge e ci sono colpi di sole sulle terre appese.
Dalla radio la voce inconfondibile di Van De Sfroos che canta: “Il camionista ghost rider”; strofe che parlano di un trasportatore che durante il viaggio raccoglie per strada diversi cantanti famosi: Jonny cash, Woody Guthrie, Robert Johnson e altri ancora.
La decisione di uscire dall’autostrada per procedere sull’Aurelia non è stata un’idea felice e adesso di soprassello sono imbottigliato nel traffico di Ventimiglia.
Meno male che tra un po’ ci sarà la deviazione per San Biagio della Cima.
Arrivato sul posto riconosco Francesco Biamonti, insieme a lui c’è Varì di Aurno.
Aurno è un luogo di poche case e terrazze di terra buona, ma in paese c’è rimasto solo Varì, gli altri, alzato il viso dalla terra sono partiti.
Lui, sulle fasce, ha un po’ di piante di ulivo e qualche mimosa; occasionalmente, è anche un passeur e porta al di là del confine alcuni disperati.
Varì vive portando altrove gente che vuole andarsene e aspettando una donna che non ha la forza di tornare da lui.
Ripartiamo subito per Ventimiglia, direzione Marsiglia; dobbiamo andare a prendere Edoardo che è di ritorno dalla Jugoslavia dove, dopo una lunga attesa sul mare, è riuscito a consegnare un carico di armi.
Durante il viaggio me ne esco con una considerazione critica nei confronti della Francia, ma subito Varì mi riprende: ‐ Mai parlare male della Francia, ha tolto la fame a tanti di noi del confine.
Vero in molti partivano per andare a camallare nel porto di Marsiglia o per imbarcarsi come marinai verso altri mondi. Tante donne invece facevano la stagione a raccogliere la lavanda di montagna, altre allattavano bambini di donne francesi e con quello che ricevevano mantenevano i loro di figli.
Arrivati al porto vediamo che insieme a Edoardo c’è una donna, è fuggita dalla Bosnia imbarcandosi sul cargo di Edoardo.
Quando ripartiamo ci presentiamo, lei si chiama Narenta e viene da Mostar. Parliamo un po’ del conflitto che sta insanguinando quella terra, di persone che fino a poco prima convivevano e ora si uccidono a vicenda.
Narenta mi dice che prima della guerra, nella città dove ha studiato suonavano tutte le ore: l’ora cattolica, l’ora slava, l’ora turca, l’ora di Gerusalemme. E adesso…
Poi si ferma e io non faccio più domande, sarebbero di troppo.
Passato il confine ci fermiamo sulla curva di Latte dove ci aspettano Nico Orengo e Libero.
Libero è nato e cresciuto in queste terre blu che, per un ventennio, hanno segnato il confine tra una dittatura fascista e la democrazia francese, e quando dopo l’otto settembre del 43 si è trattato di scegliere, lui ha scelto la parte giusta.
Libero è stato un grande Partigiano e ora un sincero comunista, o forse solo un anarchico o un generoso e aiuta chi chiede.
Libero ci porta nel vallone di Latte, dove nel marzo del 45 vennero fucilati 14 ostaggi colpevoli di aver dato dei viveri ai partigiani. Fucilati e sotterrati con una indegna e offensiva sepoltura fatta di poche zolle di terra.
Biamonti e Orengo sono i cantori lenti di queste Terre appese, di confine.
Ci narrano di paesi di arenaria che muore, di abbandoni e solitudini di rocce; altre volte di terre blu, di paesi che hanno la testa nel cielo e i piedi nel mare.
Ci parlano di passeur, clandestini, irregolari in terra e in mare, di amori che vengono e amori che se ne vanno, ma sempre senza giudicare, con parole leggere; e ancora di una natura libertaria, fatta di fiori, giardini incantati e orti, ulivi argentati e mimose dorate, di lentischi e rosmarini che crescono in un divenire anarchico.
Ripartiamo direzione Genova, ma prima facciamo tappa a Ventimiglia per un Pastis con delle olive taggiasche e della pissalandrea: una focaccia condita con pomodori e acciughe.
Arrivati a Genova proseguiamo per Boccadasse, lì ci aspetta Edoardo Firpo, con lui poi saliremo alla chiesa di Sant’Antonino nel quartiere Staglieno, dove ci mostrerà l’ultimo suo lavoro.
Se mi chiedessero di lui, direi che Firpo è un accordatore.
Accorda i pianoforti in forma di musica, accorda i colori in forma di pittura e soprattutto accorda le parole in forma di poesie, in dialetto genovese.
Lui è amico di altri grandi poeti: Camillo Sbarbaro, Eugenio Montale, Giorgio Caproni, che purtroppo oggi non potremo incontrare e portare con noi perché il pulmino ha solo otto posti
Saliti a Sant’Antonino, Firpo ci va vedere una pietra su cui è scolpita la sua poesia più bella, per me naturalmente, ma forse anche per lui che è stato antifascista e ha passato le sue durante il regime.
Sant’Antonin …seunna cianin/ cianin…cianin/ che non s’addescian i Partigen/ Lascia che dorman comme son morti/ co sacrifizio da zoventù…
E quanto tenteranno di offenderne la memoria, tu Sant’Antonino cantagli l’Inno dei Partigiani.
Parole che sparano al cuore ma con bossoli carichi di tenerezza.
Decidiamo di andare allo Staglieno per trovare Fabrizio De Andre che purtroppo, recentemente ci ha lasciato.
Restiamo muti davanti all’edicola funeraria della sua famiglia; ma i silenziosi pensieri di ognuno di noi comunque corrono verso di lui.
Troppo in fretta te ne sei andato Fabrizio! E’ proprio vero, come dicevi tu, che la vita è tutto un masticare e sputare, oppure come sosteneva Montale: una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
Narenta invece si avvicina e inizia a recitare alcune strofe di una poesia scritta da Bezzecchi, un deportato Rom sopravvissuto allo sterminio.
Poserò la testa sulla tua spalla/ e farò un sogno di mare/ e domani un fuoco di legna/Perché l’aria azzurra diventi casa.
Si è proprio un sogno di mare la giornata di oggi, con tutti questi incontri magici.
Quando ripartiamo la radio parla della Polizia che a Pisa ha manganellato dei ragazzi e delle ragazze; e noi che odiamo gli indifferenti, ci ritroviamo, tutti insieme, a cantare una canzone di Fabrizio.
…Anche se vi credete assolti, siete per sempre coinvolti...
All’ingresso dell’autostrada la polizia stradale ci ferma.
‐Strano? – dice l’agente, ‐ Sembravate in otto sul pulmino.
‐No! – rispondo, ‐ Sono solo io… io e i miei libri.

E farò un sogno di mare (tre)

Anche se un po’ datato, il pulmino fa il suo lavoro egregiamente; me lo hanno noleggiato per pochi euro perché questo sarà il suo ultimo viaggio, ma probabilmente, aggiungo io, tra i più interessanti della sua meccanica esistenza.
Il vento largo che viene dal mare e che cambia continuamente in una mesticanza di rotte, disorienta e costringe a rallentare.
A parte ciò, oggi è una calda giornata, quasi un acconto dell’estate che tra poche settimane riesploderà; un orgasmo di luce mi avvolge e ci sono colpi di sole sulle terre appese.
Dalla radio la voce inconfondibile di Van De Sfroos che canta: “Il camionista ghost rider”; strofe che parlano di un trasportatore che durante il viaggio raccoglie per strada diversi cantanti famosi: Jonny cash, Woody Guthrie, Robert Johnson e altri ancora.
La decisione di uscire dall’autostrada per procedere sull’Aurelia non è stata un’idea felice e adesso di soprassello sono imbottigliato nel traffico di Ventimiglia.
Meno male che tra un po’ ci sarà la deviazione per San Biagio della Cima.
Arrivato sul posto riconosco Francesco Biamonti, insieme a lui c’è Varì di Aurno.
Aurno è un luogo di poche case e terrazze di terra buona, ma in paese c’è rimasto solo Varì, gli altri, alzato il viso dalla terra sono partiti.
Lui, sulle fasce, ha un po’ di piante di ulivo e qualche mimosa; occasionalmente, è anche un passeur e porta al di là del confine alcuni disperati.
Varì vive portando altrove gente che vuole andarsene e aspettando una donna che non ha la forza di tornare da lui.
Ripartiamo subito per Ventimiglia, direzione Marsiglia; dobbiamo andare a prendere Edoardo che è di ritorno dalla Jugoslavia dove, dopo una lunga attesa sul mare, è riuscito a consegnare un carico di armi.
Durante il viaggio me ne esco con una considerazione critica nei confronti della Francia, ma subito Varì mi riprende: ‐ Mai parlare male della Francia, ha tolto la fame a tanti di noi del confine.
Vero in molti partivano per andare a camallare nel porto di Marsiglia o per imbarcarsi come marinai verso altri mondi. Tante donne invece facevano la stagione a raccogliere la lavanda di montagna, altre allattavano bambini di donne francesi e con quello che ricevevano mantenevano i loro di figli.
Arrivati al porto vediamo che insieme a Edoardo c’è una donna, è fuggita dalla Bosnia imbarcandosi sul cargo di Edoardo.
Quando ripartiamo ci presentiamo, lei si chiama Narenta e viene da Mostar. Parliamo un po’ del conflitto che sta insanguinando quella terra, di persone che fino a poco prima convivevano e ora si uccidono a vicenda.
Narenta mi dice che prima della guerra, nella città dove ha studiato suonavano tutte le ore: l’ora cattolica, l’ora slava, l’ora turca, l’ora di Gerusalemme. E adesso…
Poi si ferma e io non faccio più domande, sarebbero di troppo.
Passato il confine ci fermiamo sulla curva di Latte dove ci aspettano Nico Orengo e Libero.
Libero è nato e cresciuto in queste terre blu che, per un ventennio, hanno segnato il confine tra una dittatura fascista e la democrazia francese, e quando dopo l’otto settembre del 43 si è trattato di scegliere, lui ha scelto la parte giusta.
Libero è stato un grande Partigiano e ora un sincero comunista, o forse solo un anarchico o un generoso e aiuta chi chiede.
Libero ci porta nel vallone di Latte, dove nel marzo del 45 vennero fucilati 14 ostaggi colpevoli di aver dato dei viveri ai partigiani. Fucilati e sotterrati con una indegna e offensiva sepoltura fatta di poche zolle di terra.
Biamonti e Orengo sono i cantori lenti di queste Terre appese, di confine.
Ci narrano di paesi di arenaria che muore, di abbandoni e solitudini di rocce; altre volte di terre blu, di paesi che hanno la testa nel cielo e i piedi nel mare.
Ci parlano di passeur, clandestini, irregolari in terra e in mare, di amori che vengono e amori che se ne vanno, ma sempre senza giudicare, con parole leggere; e ancora di una natura libertaria, fatta di fiori, giardini incantati e orti, ulivi argentati e mimose dorate, di lentischi e rosmarini che crescono in un divenire anarchico.
Ripartiamo direzione Genova, ma prima facciamo tappa a Ventimiglia per un Pastis con delle olive taggiasche e della pissalandrea: una focaccia condita con pomodori e acciughe.
Arrivati a Genova proseguiamo per Boccadasse, lì ci aspetta Edoardo Firpo, con lui poi saliremo alla chiesa di Sant’Antonino nel quartiere Staglieno, dove ci mostrerà l’ultimo suo lavoro.
Se mi chiedessero di lui, direi che Firpo è un accordatore.
Accorda i pianoforti in forma di musica, accorda i colori in forma di pittura e soprattutto accorda le parole in forma di poesie, in dialetto genovese.
Lui è amico di altri grandi poeti: Camillo Sbarbaro, Eugenio Montale, Giorgio Caproni, che purtroppo oggi non potremo incontrare e portare con noi perché il pulmino ha solo otto posti
Saliti a Sant’Antonino, Firpo ci va vedere una pietra su cui è scolpita la sua poesia più bella, per me naturalmente, ma forse anche per lui che è stato antifascista e ha passato le sue durante il regime.
Sant’Antonin …seunna cianin/ cianin…cianin/ che non s’addescian i Partigen/ Lascia che dorman comme son morti/ co sacrifizio da zoventù…
E quanto tenteranno di offenderne la memoria, tu Sant’Antonino cantagli l’Inno dei Partigiani.
Parole che sparano al cuore ma con bossoli carichi di tenerezza.
Scendiamo allo Staglieno, davanti all’edicola funeraria di famiglia troviamo il Faber, un’aureola di fumo maschera il suo volto e, forse, nasconde qualche lacrima.
‐Usciamo di qui. ‐ dice lui e poi, vista l’ora, ci propone di andare a mangiare.
Passando da una creuza de ma, una mulattiera fatta di scalini in mattoni rossi consumati da infiniti passaggi, raggiungiamo un ristorante che sta in una casa di pietra vicino alla fontana dei colombi.
Mangiamo acciughe marinate e fritu mescciu de pésci e verdue, e da bere del bianco di Portofino.
In una pausa del pranzo racconto a Faber di un attentato avvenuto nel 44 proprio nella sua famosa Via del Campo a Genova, una bomba buttata in un bar uccise alcuni ufficiali nazisti. Per rappresaglia a Fossoli fucilarono più di 60 antifascisti, tra loro anche un ragazzo, un giovane partigiano del mio paese.
In quei giorni infami i nazisti si sentivano ancora invincibili, la razza superiore in grado di illuminare il mondo come dei diamanti; e chi invece contro di loro lottava era considerato un bandito, un criminale: letame della società.
Ma come dice la canzone “Via del Campo”: Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori. Pochi mesi dopo nacque un fiore meraviglioso che chiamarono Libertà.
Faber ascolta interessato e sembra contento che dentro le sue storie, altre storie si riconoscano.
Si è fatto tardi è ora di tornare, per riportare a casa tutti la strada è lunga. Raggiunto il pulmino, sento nella testa l’effetto inebriante del bianco di Portofino; mi rendo conto che non è opportuno mettersi alla guida, almeno per un po’, chiedo quindi ai miei amici di potermi riposare una mezz’ora prima di partire.
Abbasso il sedile e in pochi secondi mi addormento…
…Narenta si affianca a me e recita una poesia: “Chi sarà a raccontare? Chi Sarà? Sarà chi rimane. Io seguirò questo migrare, seguirò questa corrente di ali”.
Poi avvicina le sue labbra alle mie, ma quando si toccano, il suono di una sirena del porto mi butta fuori da questo sogno di mare.
Strofino con le dita gli occhi e poi mi guardo intorno, nel pulmino sono solo; sparsi sui sedili diversi libri di scrittori e poeti liguri e alcuni testi di canzoni.
C’è un biglietto sul cruscotto, dalla grafia intuisco chi può averlo scritto.
Recita così: “E’ stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati”.