Un Amore Fuoco E Fiamme
“Mia cara sono a Cortina, è calata la notte, da dietro i vetri della mia stanza d’albergo vedo il nevischio scendere pian piano, è fuori stagione come il mio amore per te. Alla luce di un lampione vedo la tua immagine materializzarsi come per incanto .Sei sorridente, gioiosa, sensuale, amerei abbracciarti tanto grande è il mio desiderio di te. Ti seguo col pensiero durante tutto l’arco della giornata. Ora stai andando a riposare, resti per un attimo nuda, favolosa, per poi indossare un baby doll. Ti abbracci ad un cuscino, quel cuscino sono io, mi trasmetti il tuo intenso profumo sensuale ed io ne approfitto per inebriarmene. Dormiamo insieme sino al risveglio mattutino, sei in bagno, ti vesti, esci di casa, entri in ufficio, buon lavoro amore mio.” Questa mia mail è un lamento amoroso di un innamorato verso la propria amante, purtroppo maritata con un marito non degno della sua persona come capita a molte signore di classe, è un destino. Quella mail, infatti, se letta da chi non deve visionarla può portare ad ‘infiniti lutti’ come da omerica espressione dato che gli amanti, emuli di Andronico re bizantino, non appendono corna di cervo sul portone dei mariti ‘cocu’ ma sulla loro fronte. Questa la situazione di Joséphine R. signora quarantenne di origine francese che era rimasta in Sicilia, a Messina, per un ‘incidente’ che aveva portato, complice Alfio S.,alla nascita della deliziosa Rose, attualmente ventenne iscritta alla facoltà di medicina. Era stato per tal motivo che la bella Joséphine aveva deciso di rimanere nella Città dello Stretto dove aveva trovato impiego, essendo poliglotta, alla reception di un albergo vicino alla stazione ferroviaria. Rose era consapevole della infelicità materna, ogni giorno vedeva sfiorire la bellezza di sua madre, i suoi bellissimi occhi verde grigio mostravano tutta la sua infinita tristezza interna. Tramite amici universitari residenti in un malfamato rione di Messina, era venuta a conoscenza degli intrallazzi paterni in materia tributaria per regolarizzare la posizione di individui dalla fedina penale non proprio immacolata. Ultimamente Alfio aveva assunto come impiegate, due ventiquattrenni gemelle figlie di un famoso mafioso appartenente al clan Chiofalo (Calogera e Rosalia) che si trovava al 41 bis! L’ufficio di Alfio era al piano terra dell’edificio in cui era pure ubicata, al secondo piano, l’abitazione familiare degli S. Il capo famiglia, forse dietro consiglio di qualche ‘consiliori’, ritenne opportuno far installare una porta blindata all’ingresso del suo ufficio con tanto di serratura e di chiave di difficile apertura fabbricate in un paese dell’Est europeo. Rose, passando una mattina dinanzi all’ufficio paterno incui stava per essere posizionata la suddetta porta blindata, inquadrò la situazione e pensò di volgerla a suo favore ma come? Un giovane operaio, da solo, stava provvedendo ai lavori. La ragazza comprese che era il momento opportuno per tentare di farsi consegnare copia della chiave d’ingresso. Si aprì la camicetta, lasciò fuori un bel po’ di tettine e, rivolgendosi ai giovane gli disse la figlia del titolare dell’ufficio e che avrebbe voluto copia della chiave. Il cotale pensò bene di sfruttare la situazione e fece a Rose segno di seguirlo nel bagno…Rose diventò rossa anche per la rabbia, mise mano alla borsetta e, racimolati quattrocento €., li consegnò, guardandolo negli occhi al giovane il quale, capita l’antifona, si recò presso un vicino negozio di ferramenta comparendo dopo circa un quarto d’ora con una chiave in mano che la ragazza si portò via girandosi di spalle senza nemmeno salutare. Finito di pranzare, Alfio si ritirò nel suo ufficio e Rose spiegò a mammina il suo piano strategico per incastrare quel…di suo padre. Era probabile che le due ragazze, dai soprannomi di Lilla e di Lia, dopo aver desinato, si stessero 'rilassando' col loro capo. Madre e figlia entrarono nell’ufficio costatando che rispondeva al vero quanto intuito. Le gemelline, nude, stavano sollazzando il buon Alfio, poker! Il capo famiglia non fece onore alla cena e si ritirò nell’abitazione verso le ventidue rimanendo basito quando si accorse che tutti i vestiti e la biancheria della consorte erano spariti dagli armadi probabilmente traslocati in quelli della figlia: uno a zero e palla al centro avrebbe detto un commentatore di calcio. Alfio, avendo studiato legge, comprese che dinanzi ad un giudice la consorte avrebbe avuta concessa l’usufrutto della casa coniugale, la separazione per colpa del marito ed un assegno di mantenimento per la figlia studentessa universitaria. Preferì lasciar passare una settimana e poi decise che era giunto il momento di mettere in chiaro la situazione coniugale entrando nel sancta santorum di casa dove alloggiavano le femmine di famiglia. Male gliene incolse, in compagnia delle due dame c’era un giovanottone, un metro e ottantacinque, biondo, spalle quadrate, viso da pugile. Rose non si perse d’animo: “Papà questo è Franz il mio fidanzato, è di Belluno, studia medicina con me e, non appena saremo in grado di lavorare a tempo pieno, ci sposeremo, spero che ci darai il piacere di averti alla cerimonia in Comune, Franz non è religioso. Silenzio di tomba anche perché in un ‘conflitto’ fra un pugile da 1,85 ed un fringuelletto da m.1,65 non c’era lotta. Per cercare di rimediare alla situazione Alfio si esibì in un’altra gaffe: “Joséphine, quando tu vorrai potrai tornare al letto matrimoniale.” Sotterrato dalle risate delle femminucce, Alfio sempre più confuso per la cazzata che aveva detto sparì dalla circolazione. Rose baciò in bocca Franz che rimase perplesso ma poi si riprese: “Che ne direste di un trio mammina, sei d’accordo?” L’alto atesino cominciò a correre intorno al tavolo e poi, travolto dalle due furie si trovò sul divano sommerso da due corpi deliziosamente profumati ma per una (la figlia) off limits!