Un angelo chiamato Rashida
Il suo sorriso sembrava quello di una bimba felice, ma dentro di sé aveva la tristezza di chi ha perso tutto. I suoi occhi verdi rapivano chiunque li guardasse, ma il suo sguardo triste non smetteva mai di chiedere affetto.
Si chiamava Rashida, una dolce creatura di appena otto anni che viveva in un modesto villaggio situato nella periferia di Nairobi. Dei suoi genitori naturali non conservava altro che qualche sbiadito ricordo; essi, infatti, avevano perso la vita durante una guerriglia fra tribù quando lei era poco più che una neonata. Benché trascorresse le sue giornate in compagnia degli altri bambini del villaggio, sul suo volto si leggeva l’insoddisfazione di chi doveva lottare contro il mondo per avere scampoli di felicità
Viveva con l’anziano nonno in una modesta abitazione dove le moderne comodità rappresentavano un sogno irrealizzabile. Il nonno, un uomo dal carattere burbero, l’aveva presa con sé dopo la morte dei genitori, ma la vita di Rashida con lui non era per nulla tranquilla. Ogni giorno infatti, la piccola era costretta a subire le sue cotinue vessazioni e le sue continue percosse che lasciavano segni indelebili nel suo cuore oltre che sul suo corpo. I suoi pianti facevano ormai parte della normalità prevalendo sui sorrisi: sempre più sporadici. “Ti prego nonnino non picchiarmi di nuovo” era la frase che la piccola Rashida urlava al nonno quando questi era in procinto di mettere le mani sul suo giovane corpicino.
In quel piccolo villaggio del Kenya, almeno una volta l’anno era solito arrivare un gruppo di giovani volontari italiani tra cui spiccava Carla: una donna dolcissima di Napoli che conservava dentro di sé una gran voglia di aiutare il prossimo. Anche lei come Rashida aveva avuto un’infanzia travagliata ma col tempo era riuscita ad ottenere tutto ciò che voleva: un lavoro redditizio, un compagno di vita meraviglioso e dei figli stupendi che l’adoravano. Carla e la piccola Rashida iniziarono a conoscersi e ben presto tra loro nacque un rapporto di tenera amicizia; trascorrevano molto tempo insieme e la bambina sembrava rinascere. Grazie a Carla, Rashida aveva imparato le prime parole in lingua italiana e a contare fino a dieci. La piccola sembrava divertirsi molto dimenticando le angherie quotidiane di suo nonno. Ogni giorno era pieno di sorprese, ogni volta un nuovo gioco e per Rashida, le giornate in compagnia di Carla sembravano davvero interminabili.
I mesi trascorrevano e il rapporto tra la piccola Rashida e la volontaria italiana Carla si rafforzavano sempre di più. Dormivano in camere separate ma Carla non disdegnava di mettere personalmente a letto Rashida e di rimboccarle le coperte. Il tempo le rese sempre più come una vera madre e una vera figlia. Molto spesso Carla raccontava alla piccola storie di maghi e supereroi che Rashida ascoltava con molta attenzione. Ogni giorno inventavano sempre nuovo giochi e per Rashida sembrava tutto un sogno; le vessazioni e le percosse subite dall’anziano nonno le sembravano lontane anni luce.
Arrivò però un triste giorno per entrambe. La permanenza di Carla in Kenya non poteva durare per sempre e giunse così per Carla e la piccola Rashida, il momento della separazione. Quella mattina Carla si era alzata molto presto per sistemare le ultime cose in valigia, aprì piano la porta della camera di Rashida e la vide che dormiva raggomitolata nel suo lettino. Voleva avvicinarla per darle un bacio sulla guancia ma aveva paura di svegliarla quindi uscì, con gli occhi gonfi di lacrime, richiudendo piano la porta. Carla non aveva ancora trovato il modo per dare alla piccola la notizia della sua imminente partenza e solo il pensiero la faceva star male.
Poco dopo Rashida si svegliò, andò da Carla e come ogni mattina le tese le braccia al collo ma quell’abbraccio aveva un sapore diverso: quello dell’addio.
“Ascolta piccolina” disse Carla con voce rotta dal pianto “io oggi putroppo devo partire, devo ritornare in italia. Ho i mei due bimbi che mi aspettano e non posso far mancare loro il mio affetto per troppo tempo. Rashida non capiva ancora benissimo l’Italiano ma comprese che doveva allontanarsi da colei che per mesi era stata come una vera mamma; scoppiò quindi in un pianto dirotto.
“Perché te ne vai, non voglio che mi lasci” singhiozzava la piccola in un italiano ancora stentanto “ ti voglio troppo bene per lasciarti andare via”.
Carla era spiazzata dalle parole della piccola, aveva il desiderio di portarla con sé in Italia ma le autorità Keniote glielo impedivano.
Dicevano che la bambina doveva restare in Kenya con suo nonno, era quella la sua famiglia.
Carla era disperata, voleva a tutti i costi Rashida con sé e il pensiero di non rivederla le provocava un’enorme stretta al cuore. Carla rientrò in Italia e l’abbraccio dei suoi due bambini le fecero dimenticare, almeno per un po’, il dolce volto bisognoso d’affetto di Rashida ma il suo pensiero volava costantemente in Kenya. La piccola Rashida scriveva a Carla tutti i giorni che tra le lacrime leggeva le sue lettere; dentro di sé sperava sempre di portare in Italia Rashida e di adottarla legalmente. La felicità per Carla non tardò ad arrivare; un giorno infatti ricevette una lunga lettera dall’ambasciata italiana in Kenya in cui si diceva che il nonno di Rashida era venuto a mancare e la bimba aveva bisogno di una vera famiglia. Queste parole provocarono un sussulto di gioia nel cuore di Carla che diede subito la bella notizia ai suoi due figlioletti. I piccoli erano felicissimi della nuova sorellina africana e dopo qualche giorno, Carla, con famiglia a seguito partì di nuovo per il Kenya. All’arrivo in aeroporto trovò l’ambasciatore italiano con la piccola che non esitò ad abbracciare forte Carla non appena la vide. “Piccola” le disse Carla, “domani ripartiremo per l’Italia e resterai con noi per sempre. Sono io la tua mamma. Ecco, questi sono i tuoi due fratellini”. L’indomani ripartirono tutti per l’Italia insieme a quell’angelo chiamato Rashida che con il suo sorriso, aveva dato a quella famiglia, una nuova ventata di felicità.