Un calcio alla vita...
Mentre scrivo mi accorgo di non possedere alcun paracadute di idee. Non so ancora dove andrò a parare. Planare. A sbattere accidentalmente. Spero solo che le mie ossa siano pronte per una acuta resistenza. Non so ancora se mai pigerò “invio” per lanciare segnali di fumo in questo minuscolo sito web da caffè letterario. Per reclamare la mia esistenza. Per dire che non sono sparito. Che non sono svanito nel nulla. E’ che tutto gira storto. Come sempre. All’incontrario.
Sono qui. Fermo. In trepida attesa. “Aphorism” mi guarda insospettito. E io sono pronto come non mai a macchiare queste pagine colorate di sabbia. Queste pagine lucide e lisce, come dopo un passaggio di cera. Sono pronto come non mai, per una nuova mistura. Carico come un treno merci percorro binari fatiscenti su rotaie rumorose. Sono un convoglio, diretto in un deposito di pensieri e parole. Mescolo le sensazioni nel buio della pancia, in un groviglio di stazioni secondarie. Sperdute. Abbandonate. Dimenticate. E’ da qui che parto per cercare quel fluido d’umor clandestino che mi riempie di brio ed ebbrezza.. Porto con me uno strumento scordato, un fiore e un quadro vuoto quasi a voler prefigurare un dipinto nuovo. Un affresco di vita.
Mi ritrovo seduto per terra. Quasi sdraiato. Tra il ciglio di strada e il buio dell’ombra. Buio su buio. Ombra su ombra. Onda su onda. Piede nudo su petalo di rosa. Seme e parole. E poi suono. Musica. Note ribelli. Melodie provenzali. Gioie d’altri tempi….e segreti da portare come pesi. Come macigni. Che genuflessi corrodono cuore e cervello. Lancio piccoli strali d’autore come lame fendenti, che diventano, a forza di combattere, oggetti contundenti. Spighe. Appuntite e profumate …Ah si!! Le mie parole…le mie note….i miei piccoli sorrisi e canzoni…E poi quella forza d’urto..quel volo senza ali, per mete inesplorate, sconosciute. Lì, nascosti, assiepati e maleodoranti, nei bassifondi consumati di periferia, nei sobborghi più accesi…colorati di underground, dipinti ad olio d’inchiostro sui muri, come schegge d’autore….in quel viaggio bellicoso tra mare e poeta….quel maledetto miele di color rosso vermiglio…liquido e gioioso . Come veleno e rimedio del male.
Mi cibo di sangue e di vino. Di fiori e di rose. Di petali e di spine. A si le spine! Mi piacciono le spine ! Mi piacciono i racconti di vita nella profondità d’essere, e lì che riesco a trovare l’ebbrezza. La forza. Il vigore. Il primo sale creativo.
E per questo che continuo a sciorinare parole, d’amore e di rabbia. E voi direte che conservo nello spirito un pò di sangue apollineo che mi anima il cuore, che mi aiuta a regalare gentilezze d’autore. E lo faccio con severità e con rigorosità. E lo faccio perché questo è il modo migliore per sconfiggere la pesantezza del tempo. Che ti inghiotte, senza masticare acido. E in un sol boccone. Che t’infesta con i suoi orari quotidiani scanditi dall’appuntamento dei passi. Sempre uguali. Rituali. A volte roboanti. Ma sempre ammaestrati e mansueti. Rotanti, come le lancette dell’orologio. Nell’artificio ricorrente di vita. Una splendida routine di plastica che avvolge e segna il volto di rughe. Nessun problema, siamo abituati a sfidare la natura. E allora si corre a comprare un cosmetico nutriente per la pelle. Per il nostro viso. Non ci importa se veniamo segnati dentro. Se a volte ci manca l’aria. Dobbiamo assecondare la vita che ci scorre come una slavina. Tanto siamo sempre pronti a gioire anche di fronte a schermi piatti. E si! D’altronde ci pensa la Tv a cullarci dolcemente. Direi che presa a piccole dosi è proprio un vero tranquillante.
Eppure questa volta sono deciso. Resto immobile, di fronte a questo sfacelo. E mi godo con vomito premeditato i girotondi e i sit‐in nelle piazze. Di gente senza testa e senza stazza. Di movimenti stantii che vanno e vengono. Sempre variopinti. Colorati. A volte di viola, a volte di verde e a volte di arancio. E poi i palcoscenici da regalare alle Tv, con le tute nere e i caschi blu che giocano a farsi la guerra. E poi i burattini, le marionette e gli scambisti di professione. In divisa o in borghese. Nessuna distinzione, tutti simili. Un paese di maiali, non più nostrani ma europei. E mentre un mare forza nove preannuncia tempesta. Guerra. Che poi a ben vedere è il motore delle istituzioni. La guerra è insita nelle leggi, negli ordinamenti, nelle costituzioni degli Stati. Tutto nasce storicamente da un bombardamento, da un saccheggio e da un incendio di città. Patti, accordi, principi che nascondono odio, sangue e vendetta.
Siamo in fondo all’oceano, imbarchiamo acqua e un branco di squali tigre ci ruotano attorno. Siamo cibo prelibato, non dimenticatelo. Siamo “polli d’allevamento”, pronti ad essere spennacchiati. Abbiamo un salario? Ancora! Una casa? Forse! E una famiglia. E dei servizi sempre più squallidi e fatiscenti. Da comprare. Con meno soldi. E a peso d’oro.
E niente più libri, inghiottiti dai falò. E niente più farmaci. E strade divelte. E ferrovie ricoperte d’ortica selvatica. E ponti disegnati su formato A3 e A4, per far defluire da sotto fiumi di denaro..
Ripugno e non solo questo ma molto di più! E lo faccio con amore apollineo se questo è quel che volete. E lo faccio ogni qual volta scruto merda che diventa pietra, lanciata alle nostre spalle. Sulla nostra testa.
E allora la mia tenerezza apollinea lascia spazio all’ebbrezza dionisiaca. Se non si è pronti per le piazza allora prendo tempo, agisco da me. Prendo a calci la ragione. Prendo a calci la vita. E lo faccio per smuovere le coscienze ammansite. E lo faccio con rigore. Anzi no! Con sana punizione.
Ed e lì che lo vidi e, nonostante la stanchezza del tempo trascorso, lo puntai. Danzava beatamente tra i fili della sua ragnatela. Era sicuro, sorridente, mi ghignava. Era come quel misero e ignaro industriale, sdraiato, beatamente sul panfilo a mare, mentre la sua azienda crollava, inghiottita da cumuli di carta straccia. Era ben ancorato in quell’incrocio dei pali di una lurida porta di calcio. In un paese dove il tempo s’è perduto, appoggiato su una incontaminata collina calabrese. Quel ragno cominciava a starmi sulle scatole. Quei primi due colpi non l’avevano per niente scalfito. Nel mio vedere nebbioso per l’accumulo fin lì di stanchezza, i miei occhi me lo facevano odiare. Cominciavo a non sopportare più vederlo rilassato su quell’amaca di ragnatela. Sembrava che suonasse un violino. Convinto che mai nessuno lo avrebbe spazzato via. Interrotto. Rotto.
Eppure al 87° di gioco, quando mancavano solo 3 minuti alla fine della partita, ho fatto centro, anzi angolo. Finalmente l’ho centrato in pieno. Spodestato. Stava gioiendo troppo per i miei gusti. E lo faceva con ghigno autoritario, sbeffeggiando quelle 22 misere formiche in campo che fino ad allora gli avevano provocato poco sussulto. Diciamo quasi per niente. E’ così l’ho appiccicato alla rete della porta dopo averlo dolcemente accompagnato col pallone. Questa volta ho disegnato la traiettoria col compasso. E non c’è stato niente da fare per il povero ragno. Adesso mi fa tenerezza vederlo lì in fondo alla rete per perdita di consistenza. Senza casa e fissa dimora. E poco ossigeno per animarlo. Per renderlo di nuovo partecipe alla vita. Spero che si levi in fretta e reagisca al più presto. Al tempo tiranno non piace l’attesa. Non serve spargere lacrime o farsi cullare, o commiserare come un tenero e becero fannullone. C’è rimasta poca gente che può farlo. Ma quella gente è priva di idee. E’ priva di tempo. Ed ora si trova altrove in cerca di un misero lunario.
Ora alzati è combatti il tuo tempo! Ho provato a ferirti e l’ho fatto esultando con i miei compagni di gioco. L’ho fatto solo per smuoverti, per non farti vivere nella calma apparente. Nella tua solitaria piattezza. Lo so che vivevi beatamente e tutto quello che ti succedeva attorno, ti succedeva di sotto, non ti interessava per niente. Però adesso che un istinto di vita si è ribellato a te, non puoi subirlo così: fermo, immobile, fino in fondo. Devi cominciare a costruirti di nuovo. Lo devi alla tua vita. E a quella dei tuoi figli. Nati da questa misera terra. E lo devi fare con lotta e con amore. E lo devi fare con amore e rabbia. Semplicemente svegliando i tuoi sensi. Magari ricominciando a sentire il rumore della piazza . Che è profumo di vita. Il nuovo ordine economico politico e sociale, richiede un prezzo. Da pagare. La nuova dittatura Europea segue di pari passo il tramonto dell’occidente. E non fa altro che governare in modo sconsiderato ciò che ha creato. Solo barbarie.