Un capodanno di Maria Antonietta
Il ramo materno della famiglia di Luigi XVI aveva un gene che li rendeva enormi: tranne l’avvenente conte d’Artois, sfuggito per caso a questa maledizione, il delfino e l’altro suo fratello, il conte di Provenza, la sorella più piccola Clotilde, erano sproporzionati. Clotilde, poi, che adorava mangiare a quattro palmenti, era soprannominata “Madama grossa”. Malgrado non amasse la propria ciccia, le gote paffute e il doppio mento, era capace di farsi servire montagne di crema chantilly dopo un pasto abbondante. Non erano da meno il Delfino e Provenza che, quando avevano preso lezioni di danza, si erano accasciati col fiatone tenendosi la pancia. Il conte di Provenza, che invidiava Luigi Augusto per il destino da re, gli assomigliava moltissimo in peggio: stessi occhi chiari, stesso viso pieno e largo, stessa figura tarchiata ma quando camminava sembrava proprio un orso e il suo passo, dondolante a causa di una malformazione delle anche, si reggeva su cosce tonde che sfregavano una contro l’altra. Ad aggravare la situazione c’era che, al contrario di Luigi Augusto, non poteva e non voleva andare a cavallo, non era cacciatore e non faceva alcun esercizio fisico.
Comunque il 14 maggio 1771, un anno dopo le nozze del fratello con Maria Antonietta, Luigi Stanislao Saverio conte di Provenza sposò la nipote di Carlo Emanuele III, Giuseppina di Savoia, che aveva diciotto anni, tre più di lui, e in quanto a bruttezza lo eguagliava.
Quando la conobbe Maria Antonietta, sollevata di scoprire come fosse tutt’altro che una temibile rivale, ebbe uno slancio affettuoso:
‐ Cara cognata… vi insegnerò tutto della nostra vita, sarò una sorella…
‐ Grazie… ‐ rispose l’altra timidamente.
‐ Vi divertirete… a Versailles abbiamo un ballo a settimana…
‐ Grazie… qui è tutto diverso…
Scendevano le gradinate antistanti la reggia in direzione del parco in un pomeriggio di sole: accanto a loro le fontane fiorivano in alti zampilli, lontano scintillava il Gran canale.
‐ Dio mio che splendore! Mai vista tanta acqua… – disse estasiata la contessa di Provenza in un piemontese francesizzato che l’altra stentò a decifrare – da noi non è così…
‐ Viviamo nel palazzo più importante al mondo, siamo fortunate! ‐ esclamò pronta Maria Antonietta.
Giuseppina cambiò discorso:
‐ Usate il belletto?
‐ Certamente… voi no? ‐ la Delfina la osservò pensando che per quel viso olivastro e coperto di peli, per quell’ orribile naso, ci voleva ben altro.
‐ Alla corte dei Savoia non si usa… La gran maestra che ho qui voleva spalmarmelo… mi sono tirata indietro… lo trovo ripugnante…
‐ Ma che dite! La moda francese è questa… – poi sottolineò con severità – questa è una cosa che una signora deve fare per piacere al marito.
‐ Ha ragione la gran maestra?
‐ Sicuro.
‐ Allora me ne farò mettere tanto, ne ordinerò oggi stesso molti barattoli – annuì Giuseppina ansiosa di piacere alla cognata.
“Una provinciale insulsa”, pensò Maria Antonietta, “piccola, racchia… chissà se suo marito ce la fa…” aveva infatti molta paura che mettesse al mondo un erede: in quel caso per lei era la fine. “Le apparenze non fanno ben sperare” si rassicurava, sapeva però che delle apparenze non bisognava fidarsi. Provava nei confronti della savoiarda un sentimento misto di pietà e competizione, non riusciva a scindere le due cose perché, per quanto forti le pressioni dell’ ambiente, sentiva che Giuseppina era come lei una ragazza sola in terra straniera. Scoprendo che Luigi Augusto stava bene in compagnia della nuova arrivata non sapeva se rallegrarsene o essere gelosa.
Come sua madre le aveva raccomandato, Maria Antonietta si prese cura della cognata durante il periodo in cui, dopo il matrimonio, la corte si trasferì a Fontainebleau. Quella sera, mentre i loro mariti si facevano servire la cena, le mogli si preparavano al gran ballo in onore degli sposi. In Francia da più di un anno la Delfina si scopriva conoscitrice e padrona, investita di un ruolo e di un potere da esibire all’altra con orgoglio. Entrambi per l’occasione sotto le abili mani delle dame d’onore, la contessa di Noailles e la duchessa di Valentinois, che si odiavano con il sorriso sulle labbra, erano state truccate pesantemente e indossavano abiti dai colori squillanti, scollatissimi e con grandi paniers.
‐ Non stiamo esagerando? – chiese a Maria Antonietta la schiva Giuseppina quando si trovarono da sole, guardandosi allo specchio il magro decolté – Non siamo a carnevale…
‐ Carnevale? Non avete idea di come si presenterà stasera madame du Barry…
‐ Be', ma che c’entra…
‐ C’entra…
‐ Quella signora è una favorita – spiegò Giuseppina ‐ non può fare sfigurare il re!
‐ Anche voi la difendete? Devo già sorbirmi Mercy‐Argenteau e mia madre che vogliono che la saluti…
‐ Non la salutate?
‐ Mai.
‐ Mio Dio! E il nonno che dice?
‐ Non so…
‐ Strani i francesi, questo è uno strano paese…
‐ Avete ragione – Maria Antonietta annuì improvvisamente solidarizzando con la cognata nel sentimento di “figlia acquisita” per ragioni politiche ‐ questi scandali a Torino non ci sono vero?
‐ Per carità… mai!
‐ Appunto… i francesi invece con tutta la loro grandeur… la grandeur del Re sole… poi si perdono dietro una gonnella… ‐ dimenticando le amanti dell’imperatore suo padre, per le quali la madre aveva sofferto, sentenziò: ‐ anche gli austriaci sono assolutamente morigerati!
‐ Già… i francesi sono molto libertini…
‐ Anche vostro marito? – chiese interessata la Delfina.
‐ In che senso?
‐ Nel senso che… ci riesce?
Giuseppina arrossì fino alla radice dei capelli.
‐ Be’…
‐ Be’… cosa?
‐ Be’…
Quella sera stessa, serviti da molti “ufficiali della bocca” Luigi Augusto e suo fratello, il conte di Provenza, stavano dando sfogo nei piccoli appartamenti al loro insaziabile appetito con molte portate di cacciagione innaffiate da un Borgogna di ottima annata fatto a corte. Il Delfino che non amava a Versailles l’esibizione dei grands couverts, era lieto quando poteva mangiare in pace a Fontainebleau, a Marly e ancora di più a Compiegne, dove i balli venivano dati ancor meno. Fu dunque infastidito quanto sentì in cortile uno scalpiccio di zoccoli, un cigolare di ruote e di carrozze sempre più numerose.
‐ Gli ospiti sono già qui? – chiese a Provenza
‐ Così pare…
‐ Maledizione, non ne ho nessuna voglia stasera…
‐ Non preoccupatevi, non è per voi che vengono…
Il Delfino lo guardò distaccato.
‐ Stasera vengono per me e per la mia consorte – continuò sussiegoso Provenza ‐ voi avete già dato…
‐ Già…
‐ Anch’io comunque non mi lamento, sto dando e dando molto… ‐ disse allusivo Provenza.
‐ Che date?
‐ Ci do sotto… tre o quattro volte per notte…
“Figuriamoci, con quella bruttona…” pensò Luigi Augusto e non fece commenti.
‐ A proposito come la trovate la mia signora? – chiese ansiosamente Provenza che soffriva di non essere nato primo e padrone, di non essere stato destinato a mesdames importanti ma di secondo ordine quale sua moglie era.
Luigi Augusto lo guardò dritto e senza tradire emozioni.
‐ Volete che sia franco?
‐ Certo.
‐ Ebbene non mi pare un granché… se l’avessi avuta per moglie non mi sarei fatto dei problemi…
‐ Ah sì? – rispose piccato il conte di Provenza – mi fa piacere che siate caduto su una di vostro gusto. Così siamo contenti tutti e due perché la mia mi piace enormemente! Presto avremo un figlio!
Il Delfino ammutolì fissandolo a bocca aperta.
Da quel momento la notizia che la contessa di Provenza fosse incinta corse e non molto tempo dopo colpì al cuore come una freccia avvelenata Maria Antonietta, scavando nel suo animo una tristezza e un’apprensione non fugata dall’idea che, come sostenevano i cortigiani più fidati, fosse pura vanteria. Incontrando casualmente al tavolo da gioco Luigi Stanislao Saverio, fingendo grande superiorità, osò chiedergli:
‐ C’è qualche fondamento nel fatto che vostra moglie aspetta un bambino?
‐ Molto Madame, non passa giorno che non possa dimostrarlo.
La Delfina annichilì, prese le carte, non le valutò, sbagliò mossa, perse. Si alzò, uscì dal salone, imboccò il corridoio: quando raggiunse una saletta deserta si chiuse dentro e pianse.
Non fu facile l’ estate al castello di Fontainebleau, anche se Maria Antonietta ricevette da Luigi XV molte carezze per la premura con la quale aveva accolto la cognata, le restava un vago timore per il futuro che al momento opportuno poteva esplodere. Quel lunedì mattina il Delfino e la Delfina si trovavano nelle stanze del conte e della contessa di Provenza con i quali Luigi Augusto si vantava delle proprie qualità di cacciatore.
‐ Saranno un centinaio i cinghiali che ho fatto fuori negli ultimi tempi – diceva con solennità ‐ nemmeno riesco più a contarli…
‐ Non esagerate… – ribatté Stanislao Saverio ‐ più esagerate e meno sembra vero…
‐ Volete dire che amo gonfiare le cose come fate voi? Mica vado a caccia da solo… chiedete, chiedete a chi viene con me…
‐ Già chiedete! – si intromise Maria Antonietta alzando la voce e fissando adirata il consorte negli occhi – Come fosse argomento del quale vale la pena parlare! Ma non capite che questa passione smodata vi distrugge la salute? Credete che la caccia faccia bene?!
Luigi assunse un’aria mortificata e si bloccò.
‐ Non solo fa male – continuò la Delfina ‐ vi trasforma il corpo in peggio… non vedete come siete ridotto? – gli diede uno sguardo da capo a piedi ‐ Siete rude, trasandato!
Questo era davvero troppo! Il Delfino si sentì umiliato ma, come dettava il suo temperamento, non fece valere le proprie ragioni, se la diede a gambe: chiudendosi la porta alle spalle fuggì verso i suoi appartamenti privati. Maria Antonietta lo inseguì per i corridoi finché non piombò nella sua camera da letto.
‐ Dove credete di scappare? Dovete darmi ascolto! – gridò ‐ Non sono forse vostra moglie? Oppure alla vostra salute, a quella dei vostri discendenti, non ci tenete proprio?!
Luigi comprese che dietro quelle frasi dure si celava molto più che un semplice alterco, c’era la tensione delle ultime settimane, lei lo stava processando perché era un fallito. Non riuscì a trattenere l’emozione, scoppiò in singhiozzi.
‐ Basta Monsignore… ‐ disse la giovinetta venendogli più vicino.
E d’improvviso lo abbracciò mischiando le sue lacrime a quelle di lui.
Per il suo sedicesimo compleanno Maria Antonietta ricevette dalla madre una missiva che la scosse e la indusse a modificare, come spesso succedeva, una sua ferrea presa di posizione. La lettera veniva da Vienna e datava 31 ottobre 1771.
“Le belle notizie di vostra sorella regina di Napoli mi riempiono di gioia, come pure quelle di Ferdinando, che è incantato dalla moglie; vi accludo qui la lettera che mi ha scritto sul loro primo incontro, e vi confido in segreto che la prima notte è stata quella in cui lei è diventata sua, tutti e due sono visibilmente innamorati, anche se la visita delle generalessa, arrivata a sproposito il 17, ha provocato molta impazienza”.
Maria Antonietta pensò che “la generalessa”, come sua madre chiamava le mestruazioni, con lei era un cronometro mentre sua sorella Maria Carolina aspettava un figlio e suo fratello, l’ arciduca Ferdinando, presto lo avrebbe fatto. Sospirò.
“Ma queste buone notizie, che dovrebbero colmarmi di contentezza, sono avvelenate dalle preoccupazioni per la tua pericolosa situazione, resa ancor peggiore per il fatto che non comprendi, o non vuoi comprendere, il pericolo. Ti rifiuti semplicemente di usare i mezzi necessari per uscirne”. Maria Antonietta respirò prima di continuare. “Mi dite che avete parlato al re. Questa deve essere la vostra occupazione di tutti i giorni, non solo quando avete domande da fare. Un padre così buono, un principe così buono…”
Già, si disse la Delfina, soprattutto nella sua condizione di sposa illibata era necessario essere conciliante con il sovrano, guadagnarsi la sua benevolenza, se voleva vivere a Versailles: e lei lo voleva. Per entrare nelle grazie di Luigi XV bisognava accettare la sua vita privata… Questo desiderava sua madre, anche per il proprio tornaconto. Capiva che le chiedeva di rinsaldare l’alleanza franco‐asburgica messa in pericolo dai recenti fatti di Polonia: tale era il potere della du Barry! Maledizione, pensò, ma sentiva il peso della responsabilità.
La Polonia a quel tempo era travagliata da una guerra civile, cosa che per le grandi potenze quali Russia, Austria, Prussia, rappresentava una ghiotta occasione per arraffarne i territori, a condizione di riuscire a mettersi d’accordo su come spartirsi la torta, senza piombare a loro volta in nuovi conflitti. La Francia, tradizionalmente amica della Polonia, come avrebbe reagito a questo esproprio? Ne avrebbe risentito l’alleanza franco‐asburgica? Preoccupazioni senza risposta per l’avida Maria Teresa d’Austria.
Maria Antonietta volle parlarne con l’ambasciatore Merci‐Argenteau che convocò nel suo gabinetto:
‐ La linea che abbiamo adottato nei confronti della Polonia potrebbe suscitare scalpore in Francia – disse Mercy‐Argenteau guardandola serio – ma l’alleanza con la Francia deve continuare a essere il pilastro della politica austriaca…
‐ E’ come trovarsi di fronte a una crisi familiare… ‐ sussurrò allarmata la Delfina.
‐ Esatto… e chi potrebbe appianarla questa crisi?
Maria Antonietta pendeva dalle sue labbra.
‐ Soltanto voi altezza… con l’aiuto dei miei consigli…
La notte del 31 dicembre 1771 fu memorabile a Versailles. Aveva talmente nevicato che la fontana di Latona era coperta per intero, tuttavia nel piazzale davanti alla reggia le carrozze continuavano ad arrivare incuranti del cattivo tempo. Ne discendevano mesdames e monsieurs che unendosi agli abitanti del palazzo formavano una piccola città: i presenti quella notte furono migliaia. Ci fu chi disse che le portate del sontuoso cenone fossero quarantotto, chi settantasette. Con precisione non lo sappiamo perché i cuochi, sotto il comando del gran cerimoniere, erano decine e non riuscirono a farsi un quadro preciso della situazione. Nel castello, mirabilmente illuminato, lo champagne scorreva a fiumi sin dalle prime ore della sera. La tavola, lunghissima negli enormi saloni, apparecchiata per un grandissimo couvert, aveva una tovaglia di damasco ricamata in oro, ogni posto segnato con precisione per rango. Maria Antonietta, la contessa di Provenza, “Madama grossa”, la principessa di Lamballe, madame du Barry, la stessa madame l’Etiquette si preparavano all’evento: l’entrata in scena tra la noblesse al gran completo, davanti al re. E poi si sarebbe danzato sino a tardi! Per le stanze già echeggiavano le prove dei musicisti e un minuetto alla moda.
‐ Altezza reale – disse l’ambasciatore Mercy‐Argenteau a Maria Antonietta – ho saputo che madame du Barry sta venendo da voi.
Lei lo guardò interrogativa: doveva augurargli buon anno? Cercò con gli occhi la contessa di Noailles, la gran maestra della casa: cosa dettava l’etichetta in quei momenti? All’improvviso Madame du Barry apparve: era insieme al sovrano e a uno stuolo di dignitari, sensuale, come raramente può esserlo una donna, ma casta nel sorriso timido incorniciato dai riccioli chiari. Si inchinò davanti alla Delfina.
‐ C’è molta gente questa sera a Versailles… ‐ disse Maria Antonietta.
‐ C’è molta gente… ‐ fece eco Madame du Barry. Sorrise. Accanto a lei sorrise Luigi XV che, prendendola sotto braccio, si allontanò scortato dai cortigiani.
“Può bastare per salvare l’alleanza?” la piccola austriaca, futura regina di Francia, cominciò l’anno con questo quesito. Poi il 21 gennaio 1772 scrisse a sua madre: Non dubito che Mercy vi abbia riferito della mia condotta a capodanno e spero che ne siate contenta. Credetemi, sacrifico tutti i giorni pregiudizi e ripugnanza, purché non mi si proponga nulla contro la mia dignità. Sarebbe stata la disgrazia della mia intera vita un disaccordo tra le nostre famiglie. Il mio cuore è sempre vicino alla mia…
Si sentiva investita di una missione grande, felice di scoprirsi eroica e messaggera di pace tra i due casati e loro popoli ignari e inferiori.
In realtà, se Luigi XV non dichiarò guerra a nessuno, era perché la Polonia non rappresentava un vero problema, altrimenti nulla avrebbero potuto Maria Antonietta e la du Barry. Ma non si può negare che fatti insignificanti e privati come quello qui raccontato, abbiamo un potere enorme: siano inizio della storia, non solo dell’anno in corso, ma di molti altri a venire.