Un cardellino... in pensione
UN CARDELLINO… IN PENSIONE
Avevo un cardellino splendido, un maschio dai colori brillantissimi. Rosso, nero, bianco, grigio, giallo, bruno‐nocciola. Pensandoci bene, il cardellino è davvero il più bell’uccellino che la nostra penisola ospita!
Era un soggetto nato in cattività, perfettamente domestico, dal canto vivace e armonioso, dai gorgheggi vari e gradevoli, accompagnati da vezzosi movimenti del corpo. Viveva in una spaziosa voliera insieme ad altri uccelli tutti di piccola taglia.
Ogni sera, prima che sparisse la luce, volava sul posatoio più alto e di lì dominava la situazione. Si assicurava che ciascuno dei compagni prendesse il solito posto e se qualcuno sbagliava e cercava di andare a dormire altrove, il cardellino allungava il collo, apriva ripetutamente le ali e spalancava minaccioso il becco contro di lui. I più distratti erano un lucherino e una femmina di verzellino. Tutte le sere, quindi, si ripeteva nei loro confronti, la stessa scena.
Era delizioso, con quella mascherina rosso intenso, gli occhietti vispi, e quel comportamento da… Sì, l’avevamo chiamato proprio così, scherzosamente. “Il carabiniere”.
Un brutto giorno la porticina della voliera restò aperta e lui prese il volo. Non seppe tornare indietro e s’avventurò, attraverso i rami del giardino, verso il mondo. Fu un dispiacere per tutti e ci augurammo che almeno… non diventasse preda di qualche gatto.
Qualche notte dopo però il “carabiniere” mi apparve in questo strano sogno.
"Dopo avere aspettato che tutti i miei familiari si fossero allontanati, il cardellino mi chiamò sottovoce “Ida!” con una vocina perfettamente proporzionata alle sue minuscole dimensioni. E’ naturale che rimanessi sbalordita! Mi domandai se, oltre che parlare, il mio uccellino capisse. Perciò provai a dirgli: ‐ Tu sei quello che ho portato a Milano da Napoli, o quello che è arrivato dalla strada ed è entrato spontaneamente nella gabbia?
Lui, con un sorrisino, (solo nei sogni gli uccelli sorridono!) mi rispose: ‐ Che pazzia! Un uccello che viene a mettersi da solo in gabbia!…
‐ Ah, dunque sei quello venuto da Napoli. Allora… conoscerai la bella canzone antica che si chiama “Lu cardillo”, proprio come te.
L’uccellino mi guardò per un po’ dicendo: ‐ No, no, io non la conosco.
‐ Te la faccio sentire, allora. E’ molto bella. ‐ gli risposi.
Si avvicinarono, in quel momento, mia madre e i miei fratelli. Il cardellino chiese che gli si preparasse una tendina per quando ci sarebbe stato troppo sole. Perciò, tutti noi a tagliare e a cucire stoffa per accontentarlo.
Presto però mi allontanai dal gruppo e cominciai a cantargli col cuore pieno di nostalgia per la mia città:
Sto crescenno nu bello cardillo
quanta cose che l’aggio ‘mparà!…*
Che razza di sogno! La mattina uscii presto come al solito e, camminando a piedi, mi trovai accanto ad un uomo anziano che, guarda caso, stava fischiettando proprio lo stesso motivetto. Andava a passo lento poggiandosi un po’ sì, un po’ no sul bastone. Fu come in una fiaba: mi misi a seguirlo senza sapere perché.
Attraversò una cancellata e salì alcuni gradini. Solo allora riconobbi l’edificio. Si trattava di una Casa di Riposo non distante dalla mia abitazione.
Aiutai l’uomo a spingere la porta a vetri e mi trovai con lui nel grande atrio.
C’erano vecchietti e vecchiette seduti lungo le pareti, i volti annoiati e sofferenti, le mani rugose, le braccia abbandonate in grembo.
Soltanto qualcuno era in piedi, anzi c’era un piccolo gruppo in un angolino. Si scambiavano qualche parola e ogni tanto si lasciavano sfuggire un’esclamazione.
Ad un tratto, fra le loro voci flebili e tremanti, ne riconobbi una completamente diversa e a me ben nota. Una vocetta sonora, allegra, argentina. Rimasi di stucco. Era quella del mio cardellino! Lo riconobbi. Si trovava in una gabbia piuttosto piccola, ma sembrava contento lo stesso.
Mi spiegarono che era capitato in giardino due giorni prima. Lo aveva trovato un’assistente e lo aveva “acchiappato” a fatica, ma in tempo utile, prima cioè che qualcuno dei micioni sempre presenti nel viale gli facesse fare una brutta fine.
‐ Lo abbiamo adottato! ‐ disse ridendo l’uomo che aveva fischiettato per strada il motivo.
‐ E’ un cardellino. ‐ mi spiegò una bella signora dalla capigliatura argentea.
Un vecchino dagli occhi azzurri quasi trasparenti aggiunse sorridendo: ‐ Per lui siamo tante mamme e papà. Non abbiamo altro da fare. Almeno… ci rallegra un po’. ‐ e alzò le spalle.
‐ …Si chiama Pachito. ‐ terminò un’anziana signora alta e raffinata avvicinandosi lentamente e indicandomi, sotto la gabbietta, una scritta che recava quel nome.
Anch’io mi ero avvicinata di più e fissavo l’uccellino, ancora sbalordita.
‐ Sapete, io ci parlo assieme… lui mi dice delle parole… ‐ mi spiegò una signora dal viso affabile che mi ricordava quello di una vecchia fata.
‐ Cipì, cipì… ‐ lo vezzeggiava un’altra. Le domandai: ‐ Ha una bella voce quest'uccellino, vero?
‐ Come la tua. ‐ mi rispose.
Mi sembrava tutta una magia e naturalmente non ebbi il coraggio di svelare la verità.
Ora il mio cardellino non deve tenere più a bada i colleghi della voliera. Non gli serve più fare il “carabiniere”.
Ormai è in pensione, ha cambiato casa e ha cambiato nome ma, grazie a lui, quei vecchietti si sentono un po’ meno soli.
- Sto allevando un bel cardellino, quante cose gli devo insegnare…(Canzone d’amore napoletana del 1849, versi attribuiti ad Ernesto Del Prete, musica a Pietro Labriola)