Un gelato a settembre
Siamo in una gelateria, in un paese di frontiera. All’esterno imprendibili autoveicoli sfrecciano veloci sull’asfalto coperto da una pellicola di acqua piovana. Il cielo è cupo, coerente con la sensazione che lascia sempre settembre, la fine dell’estate, l’autunno che ci sorprende e rannuvola i pensieri.
Lei assaggia il gelato che pare non ne abbia voglia. Rimane assorta e immobile. Tiene per qualche secondo di troppo il cucchiaio in bocca, e poi lo riaffonda nella crema. Al contrario Lui, lo si può sentire tintinnare il suo cucchiaio contro le pareti del bicchiere, è già quasi arrivato al fondo, ed ingobbito sulla coppa mostra il grugno. A lui il gelato è piaciuto, ha fatto la felicità dell’estroverso gelataio, che con le braccia a compasso da dietro il bancone fa cenni di approvazione. Ama i clienti golosi.
Ti fai vedere mangiare così dalla tua fidanzata?
Ghigna da dietro il bancone, e nello stesso istante lei e lui correggono che No, sono solo amici.
Il barista coglie imbarazzo e passa lo straccio sul bancone, e fischietta. E lei più intimidita di lui si dondola nel suo rossore e abbozza una risposta
Siamo colleghi, niente di più...
Anche lui è di certo in imbarazzo, si è accorto del muso di cioccolato, e se lo pulisce svelto altroché, e si ricompone, distendendo la schiena (operazione inutile casomai volesse sciogliere la tensione provocata da quel commento: “niente di più”).
Ecco che lei dalla borsa che tiene in grembo tira fuori degli orecchini, e nel frattempo le guance digeriscono l’imbarazzo di poco prima – ecco che li indossa.
Un signore entra pochi attimi dopo, scuotendo il suo impermeabile grigio, né più né meno del cespuglio scombinato e bagnato dei suoi capelli.
Dottore che le faccio?
Il dottore esamina ogni vaschetta, con le braccia dietro la schiena, si molleggia scimmiescamente.
Pistacchio e stracciatella buon gelataio – urla! ‐ Godiamoci questo momento di malinconia...
… E quanto piace all'omino in camice oltre il bancone scorrazzare da destra a sinistra e affondare la paletta. La voce del dottore scacciò la noia dipinta nei volti dei nostri protagonisti.
… Un momento di malinconia gelataio, il gelato di settembre se lo fa chi rimesta l’estate!
Commentò il dottore. Nel frattempo, in secondo piano, il gelataio tendeva di fronte a sé soddisfatto il cono colmo. Non disse una parola. Mossa savia, perché avrebbe avuto tante cose da raccontare a proposito dei clienti “settembrini”, ma amava osservarli e non intimidirne i soliti (ai suoi occhi) comportamenti; pareva volesse lasciare la scena al dottore, accompagnandolo con il suo sorriso disponibile verso il centro del palcoscenico mentre costui non levava gl'occhi di dosso dal ragazzo, e continuava a guardarlo insistentemente.
Che guardi? Ragazzo non ti riconosci più?
E prese a ridere, agitando pericolosamente il cono.
Il ragazzo non parve stupirsi, si girò verso lei che, risvegliata da un’algida sensazione, mimava curiosità spalancando gli occhi. Lui si piegò sul tavolo in modo da poterle dire sottovoce che quel dottore era una sua vecchia conoscenza.
Il mio vecchio professore di filosofia, è almeno dieci anni che non lo vedo, nutriva una morbosa passione intellettuale per Erich Fromm, lo chiamava Frommè, francesizzava tutti i filosofi.
E il dottore infastidito forse dai commenti che non arrivavano alle sue orecchie, alzò ancor di più la voce.
Teoricamente è facile identificare un limite fra avere ed essere, è come lanciare un dado, ma “nel tempo”, nel qui ed ora, hic et nunc, c’è sempre bisogno di arrivare a trovarlo da sé il limite, perciò la teoria è inutile.
Nessuno in quella gelateria avrebbe saputo rispondere, a dir la verità nessuno capì che si trattava di una domanda. Il professore riprese a ridere, e senza salutare uscì. Una volta varcata la porta un passante si spaventò nel vedere cambiare l’espressione del suo viso, ingiallì di paura e cambiò strada.
Il professore si perse nell'orizzonte, fra i palazzi. Quello era il suo habitat. Quei giganti, solidi e perenni. Si sentiva in buona compagnia fra di loro. A lui piaceva passeggiare ai loro piedi, e quando vedeva una crepa su un muro o su una colonna, sorrideva e l'accarezzava.
Cosa ha detto prima d’uscire?
Ha detto che perdi tempo a guardarti alle spalle.
In che senso?
Nel senso che quel pazzo là, spuntato dal nulla, ti voleva dire che ti sei fossilizzato, che senti il tempo scorrere, e ciò ti pietrifica, sennò non ti avrebbe chiesto se hai problemi a riconoscerti, no? la trovi lineare la mia spiegazione?
Una specie di nostalgia? Succede a settembre, no? è sempre la fine dell'estate.
Lei prese un altro cucchiaio di gelato, ormai ammorbidito, contemplando il vuoto, cercandovi le tracce visive di scene quotidiane, susseguirsi di abitudini e gesticolamenti. Scandagliava il suo passato recente, cercava il tempo che passava, eppure niente, non sembrava essere cambiato niente nella sua vita. Sembrava una lunga serie di diapositive proiettate su di un manifesto, una spiaggia caraibica al tramonto, esoticamente e malinconicamente: eterna stagione.
No, non ti capisco proprio.
Anche lui era pensieroso. Ragionava se era il caso di fare un bis di amarena.
Forse ti ha visto confuso, titubante, forse ti ha riconosciuto, gli hai dato l’impressione di essere talmente cambiato da essere irriconoscibile ai suoi occhi. Ha pensato ad una persona che non sa cosa vuole e cosa essere, ecco, io la penso così probabilmente ti ha riconosciuto benissimo, e sei tu a pensare di essere cambiato. è un po’ una tua illusione.
Il professore spuntò fuori di nuovo, proprio attraverso la vetrata di fianco ai due ragazzi, disse qualcosa, ma di non udibile e leggibile; la ripeté un paio di volte e poi scattò di corsa con una mossa da burattino.
Nient'altro che un manifesto esotico di una agenzia di viaggi. Quando gli altri s’accorgono di noi mentre stiamo cambiando ci pervade un desiderio di occultamento, di rifiuto preventivo. L’equivocante realtà di se stessi diventa un libro aperto agli altri, e questa apertura pubblica rattrappisce i movimenti, affila gli sguardi, pietrifica. Ci si guarda male, e ci si chiede sempre il motivo dei nostri comportamenti. Certo un palazzo non corre, non sfreccia veloce come a volte fa il tempo. Forse che i treni cambiano vagoni in corsa? Così paiono gli uomini visti dall’esterno, dei treni; così si vedono gli uomini dall’interno, dei palazzi in perenne ristrutturazione.
Lei è presa da parossismo, perché lo ama, anche se questo sentimento somiglia più al dolore, a un’agonia. È così immobile, così distante, da avere la sensazione che nulla, assolutamente nulla possa toccarla. Le prime parole che le passano per la testa, quando pensa di trovarsi fra le braccia di lui sono: assassinio, schiavitù, lotta, soffocamento, stordimento, veleno, e passione.
Ho già amato, e non si può amare di nuovo, pensa.
Ma quanto sei nervosa!
Dice lui, rompendo quell’attimo di sospensione. Lei spaurita, prende a balbettare con le palpebre.
Io credo sia inutile affogare nei ricordi, perciò – continuò lui ‐ basta con questi vacui momenti, ammorbanti momenti. Ti sfido ad un gioco più appagante, e distensivo: l’attività sessuale. Un cambio di rotta rispetto all’alienante guardarsi indietro e sospirare. Che a quanto pare vale più per te che per me. E poi tranquilla, avremmo anche modo di odiarci, per tutto quello che è capitato, che ne dici?, insomma, smuoviamo questa cappa di noia e fatalismo.
Anche il gelataio era assorto, guardava attraverso i vetri. Si girò guardando la fila di torte fotografate ed appese sulle pareti, gustandole, suggestionato dalla loro perfezione eterna. In quel momento sentì lo schiaffo che proveniva dal tavolino dei suoi due unici clienti.
Lui si massaggiava la mascella, e lei si sfregava le mani mordendosi un labbro, quindi sbuffò, rilasciando la tensione dall’addome, riconciliandosi con la sua dignità.
Sei crudo e spietato, ma so anche che sei dolce e curioso. Mi vedi titubante lo so, forse aspra. Noi ci dobbiamo solo...
Mi sento fuori luogo.
Sei tu che hai avuto l'idea di prenderci un gelato, a settembre, e senza neanche un raggio di sole in cielo.