Un giorno migliore

“Ho fatto un brutto sogno”
“Cosa?”
“Ho sognato che mio fratello era morto”
“Non era un sogno.”
“Ma che dici?!"
"Non è un sogno."

Primo tempo

Mi sveglio fradicia di sudore. Respiro affannosamente, il battito del cuore accelerato rimbomba nei timpani, i miei occhi spalancati fissano il buio. So già che, se chiudo gli occhi, il sogno riprenderà esattamente da lì dove l’ho lasciato, come una realtà parallela che devo attraversare fino ad uscirne all’altro capo della storia.
Mi alzo ed esco a guardare il cielo pieno di stelle. Il buio non mi ha mai fatto paura, certi sogni invece hanno il potere di inquietarmi, e questo è uno di quelli.
L’alba è ancora lontana, ho un sonno che gli occhi si chiudono anche in piedi. Il cuore si è calmato. Rientro nella capanna e mi distendo accanto al mio bambino di tre mesi che dorme tranquillo. Sento il rassicurante profumo della sua pelle, lo avvolgo nel mio abbraccio e chiudo gli occhi.
Un attimo prima di addormentarmi arriva un pensiero, veloce come un lampo: mio fratello è morto da tre anni, sono rimasta sola con il mio piccolo figlio, in questo villaggio dove non c’è nemmeno acqua da bere. Forse il sogno è questo e la vita reale è che mio fratello è in viaggio, lontano, verso altri paesi.
La foresta di notte è inquietante. Un brivido mi percorre, sento che sto per svenire.
Faccio un respiro profondo, un altro e ancora un altro. Il panico svanisce. Continuo a camminare, in questo buio che si può toccare. Sento i rumori della notte, gli animali notturni mi tengono sotto controllo, anche se io non riesco a vederli loro vedono me.
Per farmi coraggio dico a voce bassa “state tranquilli animali della notte, non ho armi, sono pacifica, sto cercando mio fratello, potreste aiutarmi a trovarlo?”
Cammino lentamente, cercando di intuire dove mettere il piede ad ogni passo, sperando che mio fratello sia vivo e che stia bene, “dove sei Ruben? ti prego non lasciarmi sola”. Forse anche lui sta dormendo, sfinito dalla paura e della fatica. Fuggire non è mai bello.
“Fuggire da cosa?” Due grandi occhi gialli felini mi fissano nel buio. Mi congelo e rimango immobile, se questo felino ha fame per me è la fine. Trattengo il respiro e fisso quegli occhi gialli e impassibili.
Mia nonna diceva che i felini parlano nella mente, ma io non ci avevo mai creduto. Ora so che è vero. Gli rispondo senza parlare: “non da cosa, ma da chi.”
Si, da chi? Da persone dal cuore duro, che vivono di inganni e violenza. Il nostro villaggio, come tutti quelli della regione, viene visitato regolarmente da gruppi di prepotenti in divisa, che più di ogni altra cosa sembrano impegnati a rubarci la dignità.
Mio fratello è un uomo mite, cerca di aiutare tutti in piccole cose, come può, senza fare discorsi. Non ha mai detto una parola di critica verso nessuno, si ostina a fare del bene, in silenzio, ed è per questo che lo stanno cercando. Hanno inventato una falsa accusa contro di lui e vogliono interrogarlo. Nessuno è mai tornato a casa da quegli interrogatori.
Molte volte gli ho detto che stava rischiando la vita, ma lui è fatto così: non gira gli occhi dall’altra parte quando vede qualcuno che ha bisogno di aiuto.
Al contrario di me, io davanti alla cattiveria mi rimpicciolisco, fino a cercare di scomparire e, di nascosto, piango.
“Le tue lacrime salvano il mondo, lavano la cattiveria e curano le ferite dell’anima.”
Sono gli occhi gialli del felino a parlare. Forse quello che dice è vero. Forse anche piangere ha un effetto, anche se a me pare che non si veda.
“Non esiste la vita senza sfide”, il felino insiste sfiorando l’insolenza.
Forse è come dice lui, la mia vita però ha sfide molto dure. Ogni giorno è fatto di ansia e inizia con l’incertezza. Non so se mangerò, se riuscirò ad avere acqua pulita da bere e spero che non arrivino i prepotenti al villaggio.
“Anche io ogni giorno posso vivere o morire, non so se riuscirò a cacciare e sfamarmi o se sarò ucciso da un animale più forte e affamato di me, però non conosco l’ansia.”
“Forse perché tu non pensi al futuro. Io invece ci penso.”
“Spiegati meglio”
“Ho un figlio nato tre lune fa e non ho latte per nutrirlo. Suo padre è uno dei prepotenti che vengono spesso al villaggio. Mio figlio non è frutto di un gesto d’amore. Tuttavia il mio bambino è puro, come tutti i bambini. Ho colmato il suo cuore con il mio amore dal primo giorno, mentre lo portavo ancora nel grembo. Questo solo conta.
Non so se avrò la fortuna di vederlo crescere, io sono magra e denutrita, a mio figlio posso offrire il calore del mio corpo, i canti di ninna nanna, ma lui ha bisogno di latte e io di cibo e di acqua pulita da bere e per lavarci. Lo guardo e spero che riesca a sopravvivere, spero che succeda qualcosa che ci aiuti, non so nemmeno io cosa.
Voglio un futuro migliore per lui e per me.
Mio fratello dice che ci sono paesi dove si può vivere in pace, lavorare, crescere i propri figli serenamente, avere cibo e acqua pulita ogni giorno.
A me sembra un’illusione, se esistesse anche solo la metà di quel che dice lui, sarebbe già molto meglio che qui. Il viaggio è molto pericoloso e molto costoso ma rimenere qui significa aspettare la morte quotidiana.”

“Devi partire. Con o senza tuo fratello. Devi partire. Devi farlo per te e per tuo figlio. Devi stare sulle tue gambe e correre verso il futuro che vuoi, come io inseguo l’animale che ho bisogno di mangiare. Se stessi seduto ad aspettare morirei di fame in pochi giorni”.
Ha ragione, mi siedo a terra esausta. Il felino si accuccia vicino a me, il calore del suo corpo mi rilassa e mi fa sentire al sicuro. Mi addormento.
Faccio un sogno strano, è il giorno del mio matrimonio, la festa è pronta ma manca lo sposo, al suo posto arriva un uomo che non conosco, cattivo e tutti dicono che il mio sposo è quello.
Arriva mio fratello, mi prende per mano e iniziamo a correre. Corriamo per ore e arriviamo al mare. Il mare non l’ho mai visto ma nel sogno è bellissimo.
Mio fratello mi tiene per mano e mi dice “guarda là in fondo, dove vedi che il mare e il cielo si toccano, là c’è il paese dove si vive in pace. Io vado lì. Parto domani.”
Mi crolla il mondo addosso “fratello mio rimani qui con me, io ho paura di questo mare. E se là in fondo non ci fosse nulla di quello che sogni ma solo altro mare?”
“Lo scoprirò viaggiando, partirò e lo scoprirò. Troverò la vita o la morte, ma del resto anche stando qui ogni giorno è così”.

Secondo tempo

Mi gira tutto, sento una enorme pressione sul lato destro e urla e freddo, tanto freddo nelle ossa. Nel delirio di questo viaggio mi sono addormentata! Non so come sia potuto accadere, né quanto io abbia dormito, ma ora sto affondando in un mare gelido, insieme ad altre cento persone. C’è burrasca, è notte, nessuno di noi sa nuotare ed ho perso mio figlio. Il mio bambino di soli tre mesi, l’ho tenuto stretto al mio petto per tutto il tempo da quando siamo partiti su questo gommone, stipati uno addosso all’altro, senza nemmeno lo spazio per cambiare posizione. Evidentemente quando mi sono addormentata devo avere aperto le braccia e adesso, nell’acqua gelida di questo mare buio e freddo, il mio piccolo dove sarà?
Maledetto il giorno in cui ho creduto in un futuro migliore per mio figlio e per me.
Per un tempo lunghissimo siamo rimasti in mezzo al mare in tempesta, su questo dannato gommone che ora è già in fondo al mare. Sono venute due barche di uomini con delle divise e se ne sono andate senza fare niente. Senza aiutarci. Anche una grande nave è arrivata, loro volevano aiutarci ma una barca più piccola l’ha fatta andare via.
Se ne sono andati tutti senza fare niente e ora stiamo andando anche noi, solo che noi andiamo sotto, sul fondo del mare, con i nostri sogni di vita migliore, le nostre lacrime e i nostri figli.

Senza tempo

Apro gli occhi, vedo dei muri, un piccolo tavolo in legno con due sedie, un mobile con dentro pochi piatti e sui muri immagini appese di fiori e di alberi.
Sono viva. Sono ancora viva. Ma dove sono? Mi metto a sedere sul giaciglio morbido. Non riesco nemmeno a piangere per mio figlio e per mio fratello. Forse sto sognando.
Un uomo coi capelli grigi arriva e si ferma sulla soglia della stanza. Parla una lingua che non conosco, è tranquillo e ha un sorriso buono. Mi porta una tazza di roba calda da bere e del pane col miele. Finalmente mangio.
Dopo un po’ arriva una ragazza, lei parla la mia lingua e anche quella dell’uomo dai capelli grigi. Mi spiega che l’uomo mi ha salvata, è uscito in barca perché ha visto cosa succedeva. E’ riuscito a sollevare il mio corpo e portarlo in barca, ha cercato di aiutare anche altri ma la barca era molto piccola e il mare molto arrabbiato, ha dovuto tornare a riva. Ha potuto raccogliere dal mare solo me.
La ragazza è molto dolce, torna ogni giorno e mi sta insegnando qualche parola della loro lingua.
La casa dell’uomo che mi ha salvata dal mare è nel punto dove finisce la spiaggia e iniziano gli alberi. Non ci sono altre case vicine. L’uomo va a comperare quello che serve nel villaggio qui vicino che lui chiama “paese”.
Ho molto dolore in me.
Ho capito che anche l’uomo con i capelli grigi ha molto dolore nel suo cuore, lui però è riuscito a trasformarlo in gentilezza e tenerezza. Al posto delle lacrime sul suo volto ora c’è sempre un dolce sorriso. Parla poco e fa il bene che può quando può. Il suo nome è Sergio ma mi ha detto che posso chiamarlo col nome che preferisco, perché ha capito che per me Sergio è difficile da dire.
Con il passare dei giorni, grazie all’aiuto di Miryam, la ragazza che parla le nostre lingue, ho raccontato la mia storia a lei e a Sergio. Lui mi ha chiesto cosa voglio fare adesso, se voglio andare a vivere in paese, avere una casa per me, un lavoro.
Molte delle cose che dice non le capisco, perché non so cosa significano nel concreto. Una cosa però l’ho capita, le persone qui non sono diverse da quelle che stanno nel mio paese di origine. Il cuore nel petto di ognuno può essere buono oppure duro.
Davanti agli occhi ho ancora il ricordo delle barche che ci hanno lasciato in mezzo al mare a morire. Vedo mio figlio di tre mesi in fondo al mare al freddo e mio fratello disperso.
“Sergio, se per te va bene io preferirei stare qui ancora un po’. Posso aiutare, pulire la casa, lavare i panni, cucinare”.
“Puoi restare qui quanto vuoi ‐ disse lui ‐ però non lavorerai, non cucinerai, non pulirai la casa, né laverai i panni. Tu riposerai. Canterai le tue canzoni, tesserai i tuoi disegni, e io ti porterò a camminare sui monti di questa bella terra nei giorni di sole, e in quelli di pioggia mi racconterai una storia, stando seduti sotto la veranda, guardando il mare e bevendo una tazza di thè.”
Rimasi in silenzio, non capivo. Allora Sergio aggiunse “hai già faticato abbastanza, ora devi goderti le cose belle, ci sono, sono piccole e a portata di mano”.
Accettai, anche se non avevo idea della vita così come lui l’aveva descritta.
Ora, in cima a questo monte verde, sono con Sergio, gli porto fiori freschi ogni giorno e sto un po’ con lui.
Dopo un paio di anni andò in Cielo. Non lo sapevo, ma mi aveva regalato la casa. È stato un buon amico. Mi manca molto. Ogni giorno vengo a trovarlo, ascolto con lui i canti del cielo e dei prati, e gli racconto le piccole cose belle che ho a portata di mano. Forse anche io un giorno avrò un sorriso dolce e gentile e potrò regalare la casa a una persona che ha il cuore pieno di lacrime. Forse.