Un misterioso vicino di casa
Mi affacciavo al balcone verso la piazza e mi godevo il panorama urbano della mia Rimini, irto di campanili sullo sfondo delle colline, movimentato dai diversi volumi dei palazzi cittadini e aperto dallo spazio verde dei Giardini Ferrari. Laggiù in fondo, oltre la ferrovia, strisce di azzurro più chiaro o più cupo a seconda delle stagioni: il mare.
Sotto di me, grandi alberi (alcuni centenari), cespugli, vialetti asfaltati e più tardi pavimentati, chiome di varie densità e sfumature di colore, che in primavera e in autunno riservavano sorprese gioiose per chi abita nel centro storico con le improvvise fioriture della bella stagione e il dolce accendersi dei toni dorati al declinare dell’anno. Per anni mi sono affacciata a guardare il giardino.
Quanti tramonti ho contemplato dal mio balcone, abbassando poi lo sguardo sulle chiome, percorse dai brividi delle brezze primaverili e autunnali, tormentate dal vento o lucide di pioggia nei giorni invernali, svettanti sulle ombre che proiettavano sul terreno nelle calde giornate estive, accompagnate dal canto delle cicale.
Ma c’era un angolo della piazza che nascondeva un segreto. Pochi lo sapevano e quasi nessuno era disposto a concentrare la sua attenzione su quel problema. Per molti anni il segreto è stato custodito gelosamente. Qualche accenno, qualche breve riferimento di sfuggita, fatto malvolentieri. Nient’altro.
Sapevo di cosa, anzi di chi, si trattava, ma non riuscivo mai a vederlo e non afferravo che poche notizie sporadiche su di lui. Sapevo che c’era l’abitazione di un medico dal nome strano, forse di origine straniera. Su di lui si dicevano tante cose. Doveva essere una persona singolare, con un temperamento fuori dal comune, dotato di capacità eccezionali. Eppure non si faceva mai conoscere apertamente. Sapevo anche che aveva una grande cultura, che svolgeva un’intensa attività professionale e che era molto amato da chi era ricorso alle sue cure. Eppure nessuno ne parlava mai in modo chiaro o forniva notizie sicure. Chi affermava di essersi avventurato nella sua casa o nel suo ambulatorio (ma erano discorsi credibili?) aveva riferito di ambienti eleganti con pavimenti stupendi, di oggetti preziosi, di attrezzature mediche importanti, di enormi quantità di libri e di medicamenti efficaci, a volte insoliti e provenienti da altre culture. Io ho sempre subito il fascino della medicina e della professione medica, così il mio interesse era nettamente superiore a quello di molti altri concittadini che,al contrario, sembravano abbastanza indifferenti a questo personaggio. Non che mancassero i curiosi o le persone sinceramente desiderose di conoscerlo, c’era anzi una ristretta élite di frequentatori che avevano il privilegio di avvicinarlo, però io gli vivevo accanto, era un mio vicino di casa e mi sembrava impossibile non riuscire mai a penetrare il segreto della sua esistenza.
C’era chi diceva che il segreto della sua abitazione andasse molto al di là di quello che i suoi pazienti conoscevano. Si sussurrava che a livello del piano terreno nascondesse collegamenti sotterranei così vasti che forse si estendevano per tutta la città, sotto di noi, sotto le nostre case. Una volta entrati nella sua casa, si poteva intuire che esistevano altri misteri da esplorare, adiacenti alla sua abitazione. Come per Alice nel paese delle meraviglie, una volta varcata la soglia, si sarebbe aperto un mondo tutto da scoprire, tutto da conoscere. E poi chi erano questi pazienti abituali? Gente di mare, mercanti di passaggio, stranieri…
Di sera, ad ora tarda, non riuscivo a staccarmi dalla finestra per spiare quella zona oscura della piazza. Di giorno, ero fuori con ogni temperatura, con ogni tempo, sporgendomi tra i gerani in estate e allungandomi sulla balaustra fredda o bagnata in inverno, per sforzarmi di vedere meglio e di capire. A volte provavo ad avvicinarmi, a girare intorno al recinto che chiudeva quello strano luogo rendendolo inaccessibile. Niente. Non riuscivo a vedere niente.
Poi, un bel giorno, la scoperta.
In una fatidica mattina ho sentito, con una fitta al cuore, il rumore delle seghe elettriche che tagliavano i tronchi delle piante vive che allargavano le loro chiome poco lontano dal mio balcone. Io ero ancora a letto (era appena l’alba) e ho avuto l’impressione che mi amputassero una parte del corpo. Una parte del giardino se ne andava.
Ma certe scelte sono inevitabili ‐ mi sono detta quel giorno ‐Adesso saprò.
E adesso,dopo il tempo necessario per rendere visibile e accessibile l’ambiente misterioso, finalmente l’ho visto. Ho visto la “Domus”.
La casa di un chirurgo del III secolo, i mosaici dei suoi pavimenti, il suo “ambulatorio” (i cento strumenti chirurgici ritrovati sono nell’attiguo Museo archeologico), i segni dell’incendio provocati da un’incursione barbarica …Nella mia mente sono comparse immagini dei grandi siti archeologici di Piazza Armerina, di Efeso, di Leptis Magna…
Adesso c’è un piccolo, parziale esempio anche qui: ma non in un sito abbandonato e deserto, non ruderi morti di città che non esistono più, e che proprio per questo possono mostrarsi ai visitatori in tutta la loro completa estensione. No. Qui siamo nel cuore di una città viva, una città che mostra le sue origini ma che non può rivelare tutta la sua grandezza, proprio perché su di lei è continuata la storia, perché sopra si allarga l’abitato moderno e sotto, lo si intravede guardando lo spazio oscuro che continua inesplorato sotto il terreno, custodisce gelosamente i suoi magnifici segreti.
Adesso so, e non posso nascondere l’emozione, che davanti al mio balcone c’è la casa di un medico del III secolo che viveva in questo luogo, qui lavorava, qui accoglieva e operava i suoi pazienti. La casa era addossata alle mura della città: al di là c’era il mare, che allora non era distante com’è ora ma arrivava fino a qui, a ridosso dell’attuale centro storico, e dal mare gli giungeva la cultura ellenistica del tempo. Posso immaginare il movimento di marinai, commercianti, armatori, in questa zona in prossimità dell’antico porto. Posso immaginare la frequentazione della sua casa e della sua “clinica”, l’arrivo dalla Grecia di strumenti e medicamenti, di suppellettili per la sua abitazione e per lo studio medico (sono tutti al Museo).
Così questa piazza non è più una semplice, anonima piazza moderna: è un luogo antico, il cuore di una città romana evoluta e vivace, ricca di attività commerciali ma anche di cultura. Un luogo in cui si dispiega nel tempo l’arco della storia. Di sera guardo dalla finestra e vedo le tenui luci dei sistemi di sicurezza che vegliano in silenzio sui mosaici, sui resti del grande incendio, sulle tracce successive di decadenza e poi di rinascita. E’ il silenzio della storia che scorre inarrestabile, un vento che scivola sulle orme di ciò che è stato. E io lo ascolto, perché il silenzio è più espressivo del rumore, più eloquente di qualsiasi voce, e arriva al cuore rendendo tangibile l’eco del tempo.