Un padre single
Tengo sotto controllo Gioia e Emma da uno scoglio molto vicino alla riva dove felici saltellano nell'acqua e si insabbiano, tirando su tutto ciò che trovano dal mare, con un secchiello di plastica colorato. Due anni la prima e tre la seconda. Capelli ricciolini e biondi entrambe. Occhi grandi di un azzurro che intriga e ciglia lunghe. Pelle leggermente arrossata dal primo sole. Crema protettiva a schermo totale spalmata accuratamente sulle spalle.
Sembrano due gemelle per quanto si assomigliano. Alte uguali, minute e piene di vita. Sempre allegre e complici tanto da non litigare mai, o quasi. Preferiscono scambiarsi i giochi invece di contenderseli. Abbracciarsi e darsi i baci sulle guance invece che intestardirsi con il tipico fare dei bambini gelosi che dicono “È mio! È mio!” per ogni cosa, in senso di possesso. Inevitabilmente le adoro.
Le guardo vigile, lievemente a distanza, nei loro micro costumi fucsia a pois, poi mi guardo anche un po' intorno, così, per ingannare il tempo.
Ci sono diverse famiglie, due anziani che battibeccano per cose futili ma che probabilmente si amano come i primi tempi da non poter fare a meno l'uno dell'altra. Ci sono altri bambini che schiamazzano e giocano. C'è una ragazza solitaria che dà la schiena nuda al mare mentre legge un libro sul suo e‐reader, con enormi occhiali da sole sul naso e un cappello da cow‐girl sopra ai capelli corvini leggermente mossi dal vento.
Nessuno si accorge di me, tranne lei. Probabilmente attratta da quello che sono: un padre single con due creature da proteggere.
Mi osserva curiosa, forse intenerita. Probabilmente vorrebbe sapere di più sulla mia vita, sicuramente su quella che era la mia compagna: Giulia.
Una donna allegra, risoluta, amante di me e della vita.
Una donna che dopo il primo parto ha iniziato a dare segni di instabilità e che dopo il secondo ha deciso di abbandonare tutto e andarsene.
Si, abbandonare. Questo è quello che ha fatto, quando la follia ha preso il sopravvento nella sua testa.
Ha detto che non ce la faceva, che quella non era la vita per lei e che prima non poteva saperlo ma dopo si, ne era certa e come se questo bastasse per abbandonare una famiglia, un giorno ha preso e se ne andata via, al Nord, dove pensa di avere più fortuna e di affermarsi.
I padri single esistono, come esistono le donne che prendono e se ne vanno invece di restare.
L'amavo Giulia anche se non ci siamo mai sposati e forse l'amo ancora ma non posso accettare quello che ha fatto. Ha spezzato tre cuori in un colpo solo, per colmare il vuoto che sentiva nel suo. È stata totalmente egoista, come non avrei mai immaginato potesse essere.
Non tutte le donne sono nate per diventare madri e non si può far loro una colpa ma i figli quando ci sono vanno seguiti, perché non hanno chiesto di certo loro di venire al mondo.
Crescere due corpi ancora così minuti e fragili non è semplice per me come non lo è raccontare loro di lei, mamma Giulia, la mamma più bella del mondo, dai capelli biondi che odorano di shampoo alla camomilla, dicevano in coro le piccole donne.
Dalle mani belle da pittrice quale è e quale vuole essere, dico io.
L'avevamo deciso insieme di avere dei figli. Volevamo completarci. Ne sentivamo il bisogno entrambi e lei era entusiasta quando aveva scoperto di essere incinta. La prima volta sicuramente. Era euforica, bella, solare.
Passava le serate a cercare online i nomi più adatti, che poi invece sono arrivati per caso, a poche ore dal parto.
La sua felicità comunque era contagiosa e non lasciava intendere nulla di ciò che sarebbe poi accaduto, altrimenti sarei stato il primo a sollevarla da quello che le sarebbe diventato un enorme, insormontabile peso.
Nove mesi a coccolarla e viziarla. A portarle i cibi più insoliti, rigorosamente speziati alla cannella. Adorava la cannella. La voleva ovunque, anche nel gelato e pensare che non l'aveva mai sopportata prima!
Le sono stato accanto il più possibile, per cercare di placare le sue insicurezze, le fragilità che probabilmente ogni donna arriva ad avere in quel momento, quando il corpo si trasforma e gli ormoni vanno in subbuglio.
Per me era sensuale e bellissima, ancora più di sempre e non le trovavo addosso nessuno di tutti quei difetti che invece lei rimarcava nello specchio. “Sono grassa, goffa, inadatta!” diceva mentre l' aiutavo a mettere la crema su tutto il pancione e sul seno, ogni sera, per addolcirla, così preoccupata com'era per le smagliature, che a me invece non importavano affatto. Mi piaceva seguirla nel nostro percorso di amore e ci tenevo ad essere presente e attento anche nelle cose più piccole, nel curare meticolosamente i dettagli.
Ci tenevo a vivere un po' della maternità, attraverso di lei, anche se sapevo che da uomo, ovviamente, non avrei mai potuto comprenderla in pieno. Come non ero riuscito a comprendere i suoi sbalzi d'umore, i pianti improvvisi, la tristezza ingiustificata che arrivarono in seguito. Come ugualmente non avevo potuto sentire il dolore enorme che aveva provato in ospedale quando erano cominciate le doglie e poi tutto il resto. Anche lì, avevo deciso di assistere, nonostante la consapevolezza di quello che sarebbe stato: un'esperienza forte, una di quelle che indubbiamente rimane impressa nella memoria di un uomo.
Ricordo la sofferenza, le urla, le perle di sudore sulla fronte e sul collo, che le venivano asciugate di continuo. La presa forte della mano destra che mi trasmetteva il suo sforzo ma anche l'innato coraggio femminile.
Ricordo il pianto della piccola quando era venuta alla luce e subito il suo sorriso, come se all'improvviso non avesse fatto nulla di così estenuante. Come se il dolore fosse svanito nell'attimo stesso in cui la pelle delicata di Gioia era arrivata a contatto con la sua, un istante prima di addormentarsi tra le braccia prima di esser portata via.
Era stato tutto bellissimo, intenso e vivo entrambe le volte, anche se la prima era stata sicuramente la più significativa per me che non avevo mai assistito in precedenza ad una cosa del genere: al miracolo della vita.
Purtroppo il bagliore non era durato.
Subito dopo la nascita di Gioia, forse già dopo il primo mese, Giulia si era incupita. Non le vedevo addosso l'affetto materno che pensavo fosse invece una cosa della natura. Non le vedevo più la felicità dentro agli occhi, quella che aveva impresso nel nome di quella creatura. Si stava spegnendo, giorno dopo giorno. Una volta mi aveva detto, “io non so se ce la faccio” e poi era scoppiata in lacrime.
Non sapevo cosa risponderle ma ero certo che ben presto le sarebbe passata e le sarebbe tornato il sorriso. Invece un anno dopo era arrivata anche Emma e le cose erano peggiorate. Non ce la faceva davvero. Ogni vagito era una pugnalata dentro al suo petto. Ogni notte passata in bianco diventava un buco nero dentro alla sua vita.
Ero preoccupato e impotente e ad un certo punto decisi di rivolgermi, senza dirle niente per non allarmarla oltremodo, a degli specialisti per capire se si potesse trattare di 'depressione post‐partum' o qualcosa di simile. Ne avevo sentito parlare ma in realtà non ne sapevo nulla e non immaginavo nemmeno che un giorno avrebbe potuto riguardare noi, lei.
Mi spiegarono che a volte può succedere e in varie forme, più o meno gravi, ma di solito i sintomi se ne vanno dopo pochi giorni o al massimo alcune settimane e che il mio caso, il caso di Giulia, sembrava diverso.
Infatti lo era, era diverso e ben presto fui costretto a dover abbandonare completamente il mio ottimismo a suo riguardo. L'insofferenza, stando con noi, non le sarebbe passata.
Quando fece le valigie non riuscivo a crederci.
Provai a farla ragionare. “Le bambine hanno bisogno di te, Giulia e anche io! Se non mi ami più possiamo separarci, trovare una soluzione, ma da loro non puoi. Ne soffrirebbero troppo, lo capisci?”.
Aveva di nuovo pianto ma una spiegazione non era riuscita a darmela e solo dopo la capii.
Tutt'ora non so se al Nord ha un altro uomo ma di sicuro so che ha una nuova vita, fatta principalmente di lei. Di lavoro, ambizione, sogni e senza una vera famiglia. So che quello che vuole è questo: essere libera di scegliere ogni giorno dove essere e cosa fare. Libera di svegliarsi di notte per guardare fuori, prendere una tela qualsiasi immacolata e poi dipingere anziché accudire le bambine.
Se penso a quanto invece a me piaccia farlo e al regalo che mi donano inconsapevolmente quelle due creature, ogni giorno e ogni notte, mi destabilizzo e allora non la comprendo e mi sale la rabbia.
Non so se un giorno guardandosi indietro, si renderà conto di quello che ha fatto. Se le mancheremo, io, noi o solo le sue figlie e se vorrà tornare. Non so, se a quel punto, riuscirei ad accettarla ancora nella mia vita. Ma so che non lascerò mai Emma e Giulia e che potranno sempre fidarsi di me, a qualsiasi costo. Perché i padri buoni e responsabili non sono così rari come sembrano. Perché in ogni loro gesto c'è anche un po' del mio amore e questo per me racchiude in pieno la felicità.
Torno ad avvicinarmi a loro, completamente zuppe di mare.
Prendo ad ognuna il proprio poncho rosa di spugna con stampate sopra le immagini delle principesse e le avvolgo, poi le abbraccio entrambe sollevandole da terra, e mi arrampico sullo scoglio, per risalire, in perfetto equilibrio. I miei piedi sono radicati alla roccia per non farle cadere. Proteggerle sarà sempre il mio primo scopo nella vita.
Mi volto un attimo e la ragazza solitaria ha di nuovo gli occhi su di me. Li noto da dietro le lenti ambrate che ora ha leggermente abbassato e le scorgo un lieve sorriso tra le labbra lucide di burro di cacao. Ha un fisico asciutto, giovane e un costume color oro che sembra fondersi con la sua pelle già abbronzata e credo perfetta.
Non so se riuscirò ancora a fidarmi di una donna bella come lei, come Giulia, ma di una cosa sono sicuro, se quel giorno arriverà, andrò prima dalle mie muse e chiederò loro se sentiranno l'odore della maternità. Poi le bacerò, credo tutte e tre e forse mi sentirò di nuovo a casa.