Un paese e una famiglia borghesi

Quando ero una ragazzina, la presidente dell’Azione Cattolica della parrocchia S. Maria della Speranza di Battipaglia era solita osservare: “A Battipaglia, ci sono famiglie che tengono i miliardi, ma non hanno pensato a farsi una cappelletta al cimitero per quando dovranno farsi seppellire”.
Non avevo mai replicato. Avevo sempre considerato quel pensiero poco caritatevole.

Circa cinque anni dopo, quella frase mi torna in mente.

Vedo le spoglie della madre della mia madrina di battesimo tumulata nella cappella fatta erigere da mio padre e dal suo secondo fratello.

Vedo che nella cappella è già tumulata la salma del padre della mia madrina.

La mia madrina è la moglie del quarto fratello di mio padre che non ha partecipato all’acquisto del terreno e alla costruzione della cappella. Per la precisione è germano di mio padre, come precisa mio padre quando è veramente arrabbiato con lui, in quanto figlio di seconde nozze.

Il fratello della mia madrina ha un caseificio. Da qualche anno ha vinto l’appalto per la fornitura alla mensa dell’università del capoluogo.

La sorella della mia madrina di battesimo ha sposato il titolare di una delle prime rivendite di elettrodomestici in Battipaglia. Dagli anni ’60 agli anni ’80, i battipagliesi compravano gli elettrodomestici solamente lì.

Anche a me viene in mente un pensiero poco caritatevole: “E certo: non hanno problemi. Quando è il momento, si fanno seppellire nelle cappelle di chi i miliardi non li ha, eppure ha pensato a farsi una cappelletta, sebbene non siano nemmeno parenti!"

Nel caso specifico, come precisato, parenti acquisiti di un germano dei titolari della cappelletta. Un germano che pretende di essere il titolare di tutto ciò che appartiene ai germani e ai fratelli. Non solo loculi nelle cappelle. Anche appartamenti, ripostigli nel seminterrato e quant’altro. E glielo hanno permesso. Invece di prenderlo a scapaccioni quando era il momento giusto.

Per inciso, come noi abbiamo permesso e stiamo permettendo all'élite globalista di derubarci di tutto, anche della salute e della vita. Benvenuti nel club.

Sì, ci sono parenti miliardari (e non, anche semplici benestanti) che devono impossessarsi di tutto.
È una usuale abitudine borghese.

Conoscevo questa mentalità e società borghese. Evidentemente non fino in fondo.

"Non si aspettava che fossero capaci di arrivare fino a tanto", mi spiegò, a febbraio 2018, il netturbino che spazzava la strada davanti al garage nel paese dove mio marito mi aveva portato per allontanarmi da parenti e vicini deleteri. Mi ero doluta con lui: “Eppure sapevo che razza di gente fossero, come ho fatto a essere così stupida da andarci a vivere vicino!?”
Ma, soprattutto, non sapevo quanto fosse deleterio che anch'io mi fossi fatta permeare da questa mentalità borghese.

Vogliono tutto ciò che possiedi.

Per prima cosa, volevano l'appartamento di famiglia di mio padre.
E no, eh! Ci vado a vivere io, così se lo levano dalla testa!

Come no. Ti odiano ancora di più, perché ti sei presa ciò che è legittimamente tuo, ma lo volevano loro. Lo vogliono loro. Vogliono tutto per loro.
E lo vogliono ancora di più dopo che lo hai ristrutturato e reso di nuovo abitabile. E ti odiano per le belle mattonelle, i bei mobili, i bei ninnoli. E ti odiano perché ti serve il tuo posto auto e ti odiano per l'automobile nuova. E continuano a gonfiare conti e inventare lavori inesistenti in modo da far pagare a te la loro quota parte di spese condominiali. Dei miliardari pezzenti – mentecatti, dice una mia amica avvocato – ne parla anche Diego Da Silva in “Non avevo capito niente”, il primo romanzo con il personaggio dell’avvocato Malinconico.

Ti odiano pure perché hai un buon lavoro. Sai, se tu stai bene, non possono sparlare di te, sminuirti e vantarsi di quanto sono bravi loro.

Ti odiano pure perché semplicemente vivi e togli risorse che potrebbero invece prendersi loro, anche l'aria che respiri.

E non sapevi che accanto a te c'era un borghese equivalente a loro.

Un borghese fatti miei che ti dice che è stupido pagare un mutuo per un appartamento che vuoi prendere per tuo fratello e che lui non ti avrebbe aiutato.
Non volevo certo aiuto economico, da un insegnante precario che solo da pochi mesi ha un incarico annuale, dopo che, due anni prima, si è licenziato dall’azienda dove lavorava. Figuriamoci! Ma nel trovare l’appartamento e controllare che tutto fosse a posto, anche dal notaio, questo sì.
Ti ostacola nell'aiutare il fratello più giovane che ha appena cominciato a lavorare. E del quale non conoscevi ancora la gravità del suo disagio. E non capisci che ti fa diventare una borghese egoista come loro.

E dopo che hai già conosciuto l'egoismo, la tirchieria, l'avidità dei parenti e dei vicini, conosci anche la follia e la violenza del fratello quasi gemello. Anche lo zio direttore di banca – il secondo fratello di mio padre ‐ lo rimproverò: “Tu sei il maggiore: dovresti dare l’esempio.”

Follia e violenza che ti spiazzano e, non lo sai ancora, ti fanno conoscere un assaggio di quella depressione reattiva che avresti conosciuto sei anni più tardi.
Per quell'estate, in ufficio lascerai la tua scrivania solo per le esigenze fisiologiche. E non darai più nessun altro esame del corso di specializzazione che stai seguendo all'università. Se ne riparlerà a settembre, dopo la ripresa dei corsi.

E l'anno dopo, il borghese egoista che hai accanto, ma non lo sai ancora che è un borghese egoista, aiutato dalla follia e dalla vanagloria borghese del fratello quasi gemello, ti fa diventare una criminale borghese egoista come loro. Non lo picchi. Non gli impedisci con la violenza di andare a riferire al fratello quasi gemello che per il fratello giovane è stata imboccata finalmente la strada giusta: il giusto percorso terapeutico e di sostegno. E il fratello quasi gemello, come previsto, mette i massi sulla strada giusta e fa continuare sul precedente percorso fallimentare. Psicofarmaci. Esistono farmaci per guarire i mali dell’anima?

E il parente miliardario e i suoi seguaci continuano a scatenarsi, incuranti della salute del loro stesso fratello e del loro nipote.

Il parente miliardario ci prova ad ostacolare i lavori che lui stesso dice da anni bisogna fare. E, oggettivamente, sono vent'anni che bisogna farli. Prova a ostacolarli perché non li ha in mano lui e quindi non può ricavarci cinque volte tanto.
Comunque, prova a ricavarci qualcosina. Sulla pitturazione delle scale, sul ripristino del portone, ... Invita continuamente il titolare della ditta a prendere il caffè da lui. Ottiene che gli rifà tutto l'intonaco intorno al suo appartamento e chi sa quant'altro. E conclusi i lavori, come aveva già fatto durante, scatena e sguinzaglia i suoi seguaci contro colui che ha reso l'esterno e l'interno di quella palazzina di nuovo sicuro e decente (a parte il colore cacchetta voluto dall'architetto che abita lì), perché colpevole di averli fatti spendere. Colpevole, secondo la mentalità bacata di chi è abituato a fare così, di essersi messo dei soldi in tasca. Come se non sapessero chi avesse l'abitudine di mettersi i soldi in tasca e non avessero capito chi avesse fatto gonfiare le spese con lavori privati e facendo stare le impalcature più tempo del necessario.
A proposito, tutti loro fecero lo stesso con me con la ditta che mi ristrutturava casa: se li chiamavano a casa loro per lavori privati mentre pagavo io. Miliardari pezzenti. Mentecatti. Un paese di mentecatti.

Mi hanno distratto dal lavoro; mi hanno sottratto testa e risorse che, forse, avrei potuto ancora utilizzare per mio fratello, se avessi capito chi avevo accanto, invece di sentirmi mortificata per gli attacchi che doveva subire dai miei parenti; ero confusa, distratta da loro e non ho fatto le azioni necessarie per non perdere i miei bambini; sono andata in depressione reattiva per otto anni; sono dovuta andare via di casa mia per guarire, il che è quello che volevano ‐ è quello che hanno fatto anche a mia zia, la loro sorellina, che si è ammalata e morta a 65 anni ‐ così considerano casa mia di nuovo disponibile per loro. E mio fratello è morto.

Tutto per la mentalità borghese dell’arraffare, del vantarsi e dello sparlare degli altri.

Però ho capito chi fosse quello che avevo accanto ‐ lo aveva fatto apposta ad andare a riferire al fratello maggiore ‐ e sono guarita.

E, distaccandomi finalmente da quelle che erano le aspettative familiari (e sociali) su di me, come dice Bert Hellinger, ho finalmente realizzato me stessa, come avevo realizzato me stessa, almeno in parte, nel periodo della scuola e in azienda.