Un sogno di Montale
‐ Ho letto che ha sognato di una Maratona.
‐ L'ho scritto, è vero. E' stato un sogno sublime.
‐ Ha sognato di vincerla o di prenderne parte?
‐ Ho sognato di vincerla. Di vivere quarantadue chilometri in testa al gruppo.
‐ Qual è stata la sensazione più bella della gara?
‐ Staccare a due‐trecento metri dal traguardo.
‐ Non ha avuto cedimenti, dico, nel sogno?
‐ Mai, dall'inizio alla fine. Sembrava che questo corpo avesse le ali. Si librava da terra in uno sforzo che sentivo sostenibile, passo dopo passo. Il vento nei capelli. Il mondo che mi correva accanto sfuocato, in una fusione intensa di colori. Sentivo poi che gli altri mi trattavano con la deferenza che si accorda a un premio Nobel, ma senza alcuna meraviglia. Era come se riconoscessero il mio supremo valore atletico. Alcuni volevano farmi da lepri, e intorno mi si aprivano varchi.
‐ E lei?
‐ Io avrei potuto troneggiare, ma li guardavo stupito.
‐ Cosa pensava in quei momenti?
‐ Dicevo a me stesso: Eugenio, non stai buttando giù un bel verso! Stai precedendo tutti con un passo da 3 minuti al chilometro, a 20 Km/h. Ti rendi conto? Con i tuoi novanta chili? Ma lo stupore non aguzzava il mio consueto buon senso. Ero completamente intorpidito. Sotto effetto endorfinico.
‐ Rifarebbe tutto?
‐ Sì, per altre mille vite.