Un tantino
Un grosso uovo d'uomo con la testa aperta da un'accetta
ancora lì piantata e la faccia spaccata in due fino al naso,
improvvisamente corre via verso la palude urlando.
Se non che delle veloci sabbie nobili lo divorano in un attimo,
emettendo suoni visivamente mancini e nel contempo, masticando, riemergono un ramarro lilla che cammina con delle stampelle d'ossa paleolitiche e trascina aggrappati alla coda numerosi e spaventosi, viscidi protei assolutamente riluttanti.
E codesti individui, non appena raggiunta la terra ferma si gettano a capofitto verso di me, allungando impressionanti artigli da tutte le dita che possiedono e cantando una vecchia aria triste e velenosa.
Ovviamente scappo inorridito, ma in preda al panico sbatto addosso a dei rami nodosi muniti d'enormi bocche piene di denti cariati e dunque codesti rami prelevano azzannandomi grandi porzioni delle mie membra e.
Ed i sassi per terra inoltre, al vedermi comparire, mi si lanciano contro contundenti e la rotula sinistra se la sono portata via in un baleno.
Intanto. Intanto cadono anche palle come di granita marrone dal cielo e sono grosse parti di anguria e pure loro dove mi colpiscono fanno schizzare a catinelle il sangue che. Che copiosissimo finisce sotto le scarpe, col risultato di vedermi scivolare in continuazione dentro una sorta di fiume mestruale con tutte quelle sementi, a formare dei grumi, scoppiettanti di sordi gemiti allorché li calpesto.
Uff che situazione.
E manco bastasse ora prendono fuoco pure le correnti d'aria ed incendiano in un attimo i miei capelli e bruciano allegre le mie pelurie, tanto che mi ritrovo immerso in una puzza pazzesca.
E. E non ce la faccio oltre e mi fermo disorientato e sfinito.
Però una radice di pino allora ne approfitta per salire veloce, crescendo incredibilmente da sotto, allo scopo di cavarmi un occhio. Una di quercia per abbracciarmi all'altezza del torace e farmi saltare tutte le costole insieme con una stretta fortissima ed una d'edera per penetrarmi in bocca ed in un attimo occuparmi le interiora, fra dolori lancinanti ed allucinanti.
Ed è finita penso.
E quindi raccolgo le ultime forze ed urlo accorato.
‐Morte.
Morte mia, piuttosto di tutto ciò portami via, te ne supplico‐ al che. Al che appare tra le canne un enorme coniglio bianco simpaticissimo che, da seduto ritto sulle zampe posteriori, mi porge una di quelle a questo punto superiori ed io così mi aggrappo a lei, con quello che resta d'una mano ed in un baleno lui mi conduce via verso nel caso. Nel caso adesso volessi continuare a dormire finalmente un tantino più tranquillo.