Una pagina di romanzo
Alba di luglio: passeggiava sulla spiaggia, tenendo gli occhi sulla battigia, e le pietre si offrivano silenziose al suo sguardo, richiamandone l’attenzione, perché si chinasse a raccoglierle, senza tuttavia interrompere il flusso dei suoi pensieri.
La mente e il corpo procedevano come su due binari paralleli, in perfetta sintonia eppure conservando ciascuno la propria autonomia, senza interferenze o sovrapposizioni.
Le pietre più belle ‐ pensò ‐ rimanevano tuttavia quelle raccolte sullo Ionio, per la loro trasparenza quasi artificiale. Azzurrine o madreperlacee, rosate o di un lieve ocra alcune, altre di un rosso acceso o nerissime e opalescenti, come coralli e onici.
Ci sono stati d’animo che non si possono spiegare, fratture insanabili, incrinature paragonabili a crepacci rovesciati: la voragine in basso, larga, incolmabile, in superficie una sottile spaccatura, che non lascia indovinare il fondo e fa sperare che i bordi possano pian piano tornare a combaciare. Quei tempi non sarebbero tornati più, così sereni, così colmi di gioie, così…
Una vocina fastidiosa, quella della ragione, interruppe le sue romanticherie: “Il presente, ogni presente, è irrilevante e vuoto, e tale fu il passato, quand’era presente”.
Forse non era tutto così perfetto – pensò tra sé – Forse è solo il fascino dell’indefinito e del vago.
Sapeva bene, infatti, per averlo sperimentato di persona, che solo per effetto dell’immaginazione ciò che fa parte di un passato relativamente remoto e che pertanto ha perso i suoi contorni precisi, per quanto sia stato doloroso, può produrre nel tempo un’indicibile pienezza dell’anima, una sorta di inspiegabile felicità. Ma aveva imparato anche che non basta la consapevolezza dell’ illusorietà di certe sensazioni ad impedirci di ricercarle e di goderne, in una sorta di cupio dissolvi.
E in effetti provava un piacere sottile nel ricordare il proprio passato, le pareva, anzi, che per tutta la vita non avesse fatto altro che nutrirsi di ricordi e forse per questo aveva avuto sempre la mania di conservare oggetti, di scrivere diari, di prendere appunti durante i lunghi viaggi che ogni estate suo padre organizzava per la famiglia. Come se si portasse dentro un presentimento, che tuttavia non aveva mai voluto chiarire a se stessa.
Adesso, nella pienezza dei suoi anni, era perfettamente nella norma guardarsi indietro. Ma a ben pensarci aveva vissuto sempre nel passato e nel presente, limitando a brevissimi spazi di giorni o tutt’al più di mesi, i suoi progetti riguardanti il futuro. In fondo era saggia. Qualcuno aveva detto che l’unica cosa di cui l’uomo è realmente in possesso è il proprio passato, ma fino a che punto?
Ci appartiene solo ciò che riusciamo a ricordare; il resto è paragonabile al nulla dello stadio prenatale e, per quanto bello e gratificante esso sia stato, per noi che l’abbiamo dimenticato è solo nulla.
Eppure quelli dell’infanzia erano stati anni veramente felici. Ne era certa, al di là degli effetti benefici che il passare del tempo può produrre sulle cose .
Con un minimo sforzo di concentrazione, isolando il proprio animo da tutto ciò che di presente lo circonda, abbandonandosi al flusso lento delle immagini e delle sensazioni che da lontano vengono a toccare la riva della coscienza momentaneamente liberata dalle distrazioni del contingente, è possibile ricordare molto più di quanto si possa immaginare .
Quanti particolari custodisce la memoria a nostra insaputa! Solo gli occhi del ricordo possono essere acuti come quelli dello sparviero, pensò, e quel pensiero le parve particolarmente congruente con il suo sentire, a prescindere da chiunque l’avesse formulato.
Se solo qualche giorno prima le avessero chiesto di raccontare la storia della sua vita, avrebbe risposto che ne aveva cancellato gran parte il tempo e ormai non era più leggibile, come avviene in certi libri logorati dagli anni e dall’incuria, in cui sono andate perdute le pagine contenenti gli snodi del racconto, le sequenze indispensabili per ricostruirne la trama complessiva. E invece si accorgeva, adesso, che molto di quanto ci pare di non poter ricordare è in realtà volutamente dimenticato, volutamente e solo momentaneamente dimenticato. La memoria involontaria, poi, ci tradisce quando meno ce l’aspettiamo e ci riporta indietro, senza che la nostra coscienza ne abbia chiara consapevolezza e sia pronta ad impedire questo precipitare dell’animo in fondo al passato.
Ci sono momenti nella vita, tanto più numerosi quanto più numerosi sono gli anni che ci è dato vivere, in cui la strada che stiamo percorrendo si trasforma in un bivio e una scelta è d’obbligo, prima o poi, se vogliamo proseguire. Imboccare un ramo di quella immaginaria ipsilon, che simboleggia il biforcarsi continuo della nostra esistenza umana, comporta di conseguenza la rinuncia a percorrere l’altro, con la consapevolezza che mai più si potrà tornare indietro per vedere dove ci avrebbe portato. Il prezzo da pagare per una scelta che dovesse rivelarsi sbagliata è il rimpianto.
Un’onda più fragorosa delle altre le percosse le braccia, mentre si chinava a raccogliere una piccola pietra rossastra, e l’acqua schiumosa schizzò in una miriade di gocce salate sul suo viso accaldato.
Il brusco ritorno al presente non fu che un trampolino di lancio verso un’altra dimensione temporale, un tuffo inaspettato nel passato più recente, sei anni, due prima di quel mattino, e in quel passato ancora la ricerca disperata della pienezza interiore e lo sconsolato disinganno.
Altri volti, altri nomi, e dietro fisionomie diverse sempre la stessa inappagata aspirazione a quell’intima armonia che la sua mente concepiva come meta ultima del vivere e che il quotidiano, minimo e meschino, tradiva e schiacciava miseramente.
Aveva sperimentato la finitezza di ogni cosa, anche dei sentimenti che lei stessa avrebbe giurato eterni e irripetibili, ma che alla prova del reale si erano rivelati molto meno nobili e alti del previsto. Persino il tradimento può vestirsi dei paramenti sacri della ineluttabilità.
Guardò il mare appena increspato e le piccole onde che si rincorrevano, bianche di schiuma, fino ad accavallarsi l’una sull’altra alla riva e le parvero labbra distese in un ampio sorriso
Il vecchio gigante ride di me e dei miei sogni ‐ pensò – ed ha ben ragione di farlo. Da quante estati mi vede camminare sulla spiaggia, da quante mi sente ripetere i medesimi discorsi? Da quanti millenni li ascolta e non può far altro che sorridere degli uomini e delle loro illusioni?
Allora rise anche lei, di sé stessa e di tutti e di tutto; poi decise di tornare bambina per qualche minuto, il tempo di fare un gioco antico quanto il mondo: diede un nome alla sua insoddisfazione e con una pietra affilata lo scrisse in fretta sulla sabbia, prima che un’onda più lunga delle altre lo coprisse e lo cancellasse, rifluendogli intorno in una sorta di circumambulazione apotropaica.