Una sera a Chernobyl
E’ un tramonto diverso. L’orizzonte brucia: i colori dello spettro del rosso ci sono tutti, ma sembrano vibrare, sono suoni dipinti. Sullo stradone, in mezzo ai campi, avanza un carro agricolo trainato da un cavallo. Un gruppo di ragazze ucraine siede sui bordi. Sento le loro risate. I biondi capelli sono macchie d’oro nel crepuscolo. Alla guida del carro un ragazzo con un cappello a larghe falde. Sembra distratto dalle ragazze e sento la sua voce sovrastare le risa. Ai confini del tramonto, a meno di quaranta chilometri c’è Chernobyl. Mi indicano la direzione, ma ne avverto ugualmente la presenza. Sotto un pergolato, il pope ortodosso e sua moglie, in abito lungo da sera, hanno imbandito per noi una cena campestre. Contadine, che sembrano uscite dalle pagine di un romanzo russo, con il capo coperto da colorati fazzoletti, portano vivande e timidi sorrisi. Verdure crude, caviale rosso, minestra di rape, il bosch ucraino, pollo alla Kiev, gnocchi, i vareniki, ripieni di mirtilli, cotti al vapore e conditi con panna acida. Non manca la gorilka al pepe, la vodka ucraina. Sulla soglia della chiesa dalle cupole d’oro, alla discesa dal Bus, ci avevano offerto bocconi di una pagnotta scura, intinti in una scodella di sale. Il pope, quasi un fante di cuori, con tiara turchina a coprire lunghi e candidi capelli, cesellati con grazia femminile, ci bacia e ci abbraccia. Volti di contadini, dai ciuffi biondi in disordine, vestiti da clerici, con lunghe sottane rammendate e sfilacciate. Ci osservano muti. Pareti di icone dorate su mura di calce che avevano conosciuto il fuoco dei bolscevichi. Il sapore di quel pane si perde in questa tavola dalla finta abbondanza. Un organetto fa sentire il suo suono nella sera. Una ragazza mi porge un foglio scritto a macchina e mi indica un nome:”Cetara”. ‐“Il figlio è stato vostro ospite in Italia”‐ mi dice, con una punta di orgoglio, la guida locale. Ora le ragazze intrecciano danze e canti popolari davanti alla nostra tavolata. ‐“Una di loro, non le dirò quale, non supererà l’anno a causa delle radiazioni”‐ Cerco di indovinare i segni della malattia in quei volti sorridenti. Ma invano. Penso alla centrale nucleare che nel silenzio della notte continua ad emettere radiazioni. . Forse per innumerevoli anni ancora. Il rimedio non c’è. ‐“ Non perdoniamo al governo il ritardo criminale dell’allarme dato dopo sei giorni.”‐ Mi confessa un’alta e prosperosa traduttrice. Ma tralascio di farle notare che l’ordine di chiudersi in casa e non uscire, arrivato alfine, era ben modesta cosa. Ma l’autorità centrale, in piena crisi, aveva elaborato in seguito, un ordine meno scientifico, ma più produttivo: per tre anni furono vietati in strada gruppi superiori alle tre persone, pena l’arresto. Nessuna osservanza su cibi e bevande. Solo un anello di trenta chilometri di deserto, blando,scientificamente insufficiente, ma utile ad arginare angosce e timori.. Ora la moglie del pope intona un canto ucraino. –“Ha studiato al conservatorio.” Mi dice in un orecchio il marito guardando compiaciuto la propria donna. In seguito strapperà ovazioni ed applausi da tutti noi con “ O sole mio” in perfetto italiano e con una sensualità di toni affatto clericale. ‐“ In cinque anni 1271 bambini operati di cancro alla tiroide. Sei bambini su dieci alla nascita non hanno anticorpi. Settecentomila casi di tubercolosi. Mezzo milione di morti all’anno. Una vita media di 57 anni per l’uomo e di 59 per la donna.‐“ mi confida Maxim Mauritson, un prete svedese della chiesa ortodossa bizantina che da sei anni vive la tragedia di questa gente. La rabbia glia ha disegnato il volto e il tono della voce. –“ Ma è solo apparenza, dentro sono calmo.”‐ Mi vuole rassicurare. “‐Ora la paura è passata, si fa festa e la povertà di questo paese elabora espedienti per sopravvivere: circa quattrocento associazioni cercano di accaparrasi l’affare “Bambini di Chernobyl”,rivendendo vacanze pagate da voi occidentali”…‐ continua ad inseguire con il cucchiaio una goccia di minestra sul fondo del piatto, una fame insaziabile. Più tardi divorerà il dolce con una grossa fetta di pane. Andiamo via nel buio di una notte senza luna. Solo stelle, qualche candela e occhi e sorrisi. La vodka sopisce per ora le nostre angosce.