Una sfida a muso duro e...varie cose

In molti si chiederanno cosa centri la storia vintage di un trapiantato di cuore francese all'interno del mio diario, di spezzoni viaggianti, impressioni di viaggio, storie di strada e altro ancora?Ebbene mi permetto di replicare scrivendo che essa centri tanto ci azzecchi e pure molto anzichè poco! I CAVOLI A COLAZIONE CENTRANO MENO DEL CAFFE' BEVUTO PRIMA DI ANDARE A DORMIRE? NON SAPREI COSA RISPONDERE: ENTRAMBI PERO' PENSO CONCILIINO POCO IL SONNO...Quella che segue infatti è la storia di una sfida a muso duro che un vecchio tenne con la signora colla falce ‐ la morte altrimenti detta ‐ una sorta di partita a due che esso giocò con l'altra (molti ricorderanno al proposito la scena della partita a scacchi tra il protagonista della vicenda e la morte appunto nella famosa pellicola Settimo sigillo del regista svedese Ingmar Bergman), soccombendo in ultimo come purtroppo va capitando a tutti e capiti per tutti quanti in ogni dove ad ogni angolo del terracqueo universo prima o dopo.

Invano per soddisfare le nostre voglie vili/passiamo accanto ai re la nostra vita intera/a soffrirne il disprezzo, a piegare i ginocchi./Niente vale ciò che possono; sono come noi siamo/veracemente uomini/e muoiono come noi./La si perdono quei nomi di padroni della terra/di arbitri della pace, di fulmini di guerra;/perduto lo scettro non hanno più adulatori/e precipitano con loro nella comune caduta/tutti coloro che la fortuna/aveva fatto loro servitori ‐ Paraphrase du Psaume CXLV/Parafrasi del Salmo 145, Francois de Malherbe (Malherbe)

Quel vecchio tuttavia soccombette e alla fine capitolò pure ma lo fece lottando appunto, strenuamente e ‐ in fondo ‐ alla sua maniera. Quindi perchè mi domando non possa definirsi un vecchio libertario nella accezione generale della parola (del termine) ed un pò sui generis (ed eccentrica) anche lui? Ognuno va seguendo la propria strada ‐ per fortuna ‐ e a suo modo lotta secondo le proprie forze il proprio intelletto le proprie inclinazioni intellettuali di pensiero di fede (eventualmente) di raziocinio e magari anche di "pazzia" ("a su manera" affermano gli umani di madrelingua spagnola), seguendo quello che chiamo senso istintual‐olfattivo. In fondo proprio tutti e chi più chi meno (uomini o donne giovani vecchi e bambini che si possa essere) lottiamo per sopravvivere all'esistenza che scorre velocemente dinanzi a noi come un ciclone un turbine un uragano senza controllo ed altrettanto in fretta trascorre e ci passa davanti senza ‐ a volte ‐ farcene accorgere; ognuno va sostenendo in fondo la sua lotta giornaliera con la morte e con il tempo che passa e travolge tutto in maniera impietosa e desolatamente inesorabile: ogni giorno vissuto in più a prescindere dalla propria credenza religiosa (o filosofica) o dalla fede che possa ‐ o meno ‐ sostenerci durante il cammino e nel corso di tale lotta altri non è se no un temporaneo (e piccolissimo) successo nella sfida con essa [con esso il tempo], un sol attimo in più rubato alle lancette dell'eternità. La storia di quella sfida (intendo quella del vecchio francese) simile è a quella degli altri riguarda (o ci riguarda) proprio tutti, quindi, nessuno escluso: tutti siamo chi più e chi meno ‐ in fondo ‐ dei "sopravvissuti" del giorno precedente rispetto all'onda lunga della morte come riporta l'articolo che citerò di seguito (è in maniera tale che mi sento di definirci di definire gli esseri umani di definirmi ovviamente). Un film americano degli anni ottanta The Day After (Il giorno dopo) parla di un gruppo di persone sopravvissute a un eventuale disastro nucleare pericolo mai assopitosi evidentemente quello paventato nel film e le vicende dello scacchiere mondiale nell'ultimo periodo altro non fanno che confermare ciò (CIRCA UN VENTENNIO PRIMA IN PIENA GUERRA FREDDA NEL 1964 UN GENIALE PAZZOIDE DELLA SETTIMA ARTE STANLEY IN ARTE KUBRICK AVEVA DIRETTO UN FILM DAL TITOLO FIUME UN TITOLO CHE FU TUTTO UN PROGRAMMA IL DOTTOR STRANAMORE OVVERO COME HO IMPARATO A NON PREOCCUPARMI E AD AMARE LA BOMBA D‐DAY DDAY ENOLA GAY HIROSHIMA NAGASAKI DON'T DOCET!). Il 12 maggio del 1987 Adriano Baglivo scrisse un articolo sul quotidiano milanese Corriere della Sera il quale apparve nella rubrica (o pagina) Fatti e commenti, per parlare della morte di Emmanuel Vitria riferirne a tutti ricordandone la sua storia ‐ grandi linee ‐ per certi versi inconsuetamente straordinaria (fuori dal comune), commemorarne la sua lotta appunto portata avanti con determinazione durezza e coraggio estremi sino all'ultimo istante. Nel titolo del pezzo in questione (il quotidiano lo presentò con la dicitura scritta in piccolo prima dello stesso come Nostro Servizio Particolare) è scritto "Si è fermato il più vecchio cuore nuovo", mentre l'occhiello sopra il titolo riporta "E' morto Emmanuel Vitria l'uomo vissuto più a lungo (diciotto anni) con il muscolo cardiaco di un'altro ‐ Marsiglia ‐ Emmanuel Vitria, l'uomo che per diciotto anni è vissuto sul confine della vita con la morte, la notte scorsa si è spento, "dolcemente circondato dai familiari" (come dice un comunicato dell'ospedale Salvator di Marsiglia). Era il decano europeo dei "trapiantati" di cuore, il primatista più amato dalla Francia e più esaminato, studiato dalle équipe mediche di mezzo mondo. Un personaggio incredibile, che ha fuso odio, amore, lucidità di pensiero, asprezza di sentimenti in un crogiuolo di consapevole sacrificio, per strappare con profonda determinazione ogni secondo di vita all'incertezza, ai passi lenti della scienza, come pure all'onda lunga della morte, sempre in agguato, respinta più volte più con la mente che con i farmaci. Aveva 67 anni, una moglie Josette che gli è stata accanto con animo francescano, devoto, tre figli e tanti nipoti. Ma, soprattutto, centinaia di amici, che per anni hanno costituito la linfa del suo rapporto con la società. Dal suo balcone di Chateausec, un moderno quartiere satellite alla periferia di Marsiglia, il suo sguardo spaziava, nelle ore di solitudine, all'alba di notti insonni, sulla "città radiosa" di Le Corbusier, e quell'aggettivo "radiosa" gli sembrava qualcosa di irraggiungibile, di metafisico. Eppure Bicou (così era affettuosamente soprannominato Vitria) ha sempre avuto un unico obiettivo: rendere la sua vita "radiosa". E, tutto sommato, in una sorta di bilancio esistenziale, si può dire che il primatista ha costruito una nuova filosofia, valida probabilmente non solo per i trapiantati: vivere in maniera allegra anche coraggiosa e perchè no qualche volta pure disordinata. La sua biografia, le sue memorie, le sue interviste sono un inno alla vita, sin dal momento in cui un chirurgo, Edmond Henry, ed il suo assistente, Jean Raoul Monties, non gli hanno detto, nel pomeriggio grigio e tedioso del 27 novembre 1968, "monsieur Vitria, c'est pour ce soir". E quella notte, il nono trapianto del cuore, di tutto il mondo, veniva portato a termine. Il donatore era un giovane marinaio, Pierre Ponson, venti anni, morto in un incidente stradale. Per Bicou, commerciante di vini, con la grinta del meridionale marsigliese, uomo duro, tutto d'un pezzo, colpito d'aneurisma, con il cuore a pezzi, quali possibilità di sopravvivenza esistevano se no il ricorso al trapianto? Nessuna. Era dato per finito. Il suo nome non sarebbe comparso sulla lista nera dei deceduti. La scienza era ancora ai primi tentativi, il problema del "rigetto" non era stato risolto, Barnard aveva già fatto l'impossibile. Ma Vitria rispose con determinazione al chirurgo: "Va bene, sono pronto". La sua unica preoccupazione, prima di entrare in sala operatoria, fu rivolta ai "baffi", che lo facevano assomigliare, incorniciando un aperto sorriso, all'attore Douglas Fairbanks. Quando una infermiera, munita di rasoio affilato, tentò di raderli, Bicou le bloccò la mano e disse: "Radetemi dappertutto, ma i baffetti me li tolgo da solo", Una piccola conquista, un'ironia sottile prima di offrire il torace ai cardiochirurghi. E dopo l'intervento, durato cinque ore, un'altra battuta di spirito: "E' stato come fare una frittata. Di regola non si sa come viene. Spero però che sia buona. Importante è rompere le uova ed io l'ho fatto". Comincia il decorso post operatorio, e, soprattutto inizia un nuovo modo di vivere. Vitria ha due problemi da risolvere, uno psicologico, che scaturisce nel rapporto familiare, sociale, ed uno clinico, con la terapia antirigetto, con la prevenzione di possibili crisi. Si sottopone a controlli medici mensili, ingoia ogni giorno dalle cinque alle otto capsule di cortisone, fa passeggiate, aiutato da un bastone, più per ragioni psicologiche che per necessità, per sicurezza del passo. Amava ripetere a chi per strada lo fermava: "E' il mio percorso di combattente". E ad una donna che per giorni lo attese, nel tentativo di capire di più, di farsi raccontare il segreto della sua "lunga" vita, Bicou rispose: "Credo di avere una tale passione per la vita, una passione che mi ha permesso di sbattere la porta in faccia alla morte".