Unghie rosse
Sulla scrivania c’era un quaderno aperto con una matita nel mezzo. Una fresca aria di primavera passeggiava sopra un tappeto di luce. Nel suo allegro incedere animava ogni cosa nella stanza: dalle ombre angolose alle tende ondulate; tutto si animava, dallo smalto delle piastrelle fino ai riflessi sulla carta lucida delle fotografie appese alle pareti. Tutto prendeva nuova vita, tranne Pietro. Esausto da quel vuoto e brulicante lavoro scolastico, appesantito dalle lasagne della nonna e dalle petulanti reprimende del nonno, le palpebre capricciose a tradimento cedevano proprio sul più bello: in quello spicchio di giornata infinitamente prezioso tra il pranzo e l’allenamento di calcio.
Quasi per inerzia aveva recuperato un compito di Storia appallottolato nello zaino. Aveva della frenesia in corpo, non riusciva a stare fermo. Doveva finire quel compito, ma non voleva. L’unica certezza che aveva era quella di non avere alcuna voglia di regalare tempo a niente e nessuno. Che pena che avrebbe fatto alla madre vederlo così, buttato sul letto, a tamburellarsi il petto con le dita, con un crescendo di ritmo. «Che c’è cucciolo, cosa ti prende?» ‐ «ma niente Ma’» avrebbe borbottato. Non c’era assolutamente niente da spiegare, anzi avrebbe voluto essere meno visibile ad occhio umano, almeno quanto quei pulviscoli che danzano per la stanza. Stava lì, a contemplare le loro traiettorie.
Una moto spernacchia sul viale che costeggia il suo palazzo. Il fastidioso calabrone meccanico infrange l’attimo infinito della contemplazione di Pietro, ed anche la polvere inizia a saettare ansiosa. Una serie di sensazioni, di echi profondi, riverberano negli abissi dei timpani, e le sue gambe iniziano ad aprirsi e chiudersi. La schiena scatta come una molla, e Pietro inizia a circolare per la camera. Su e giù, destra e sinistra. Mima qualche dribbling, e lancia la palla invisibile contro l’armadio. Sopra la porta della camera i baffi del clown imprigionato nell’orologio segnano le tre e venticinque. “Oddio, mancano cinque minuti!”, pensa Pietro mentre il cuore sussulta come un gong.
Sul quaderno aperto sulla scrivania c’è una riga profonda, segnata a matita; agli estremi e nel mezzo una serie di piccoli tagli indicano: la nascita, la morte di una zia, il primo giorno di scuola, la prima comunione. Ovviamente la vita di Pietro non è tutta qui, e forse è per questo che ripudia tanto quel compito, anche più degli inutili esercizi di matematica: «che cosa potrà mai cambiare se arrotondo una cifra all’eccesso o in difetto?» aveva chiesto alla professoressa quella mattina, e lei, con un sarcasmo da zimbella: «dipendesse dal tuo umore Pietro, il mondo sarebbe puro caos». Ma lui quella risposta non l’aveva neanche sentita, solo perché quella occhialuta dalla faccia acuminata e dalla lingua avvelenata indisponeva quanto l’odore dei broccoli bolliti della nonna. Per lui esisteva Beatrice, la rossa. Andava pazzo per le sue lentiggini, che ogni giorno disegnavano su quel faccino tondo come la luna piena nuove geometrie e indistricabili labirinti.
Erano le tre e mezza, e Pietro sentiva il suo quotidiano bisogno. Era un desiderio inspiegabile solo per la sua puntualità, ma fra i suoi puntuali impegni era l’unico desiderio spiegabile. Dal corridoio spiò i suoi tutori: il nonno aveva smontato una vecchia radio malfunzionante e da settimane, forse mesi, cercava di ricomporla così come era stata un tempo; la nonna, rigida e solenne come un giudice, era stata risucchiata da quei soliti programmi pomeridiani civettuoli e patetici. Tutto era al solito posto. Con un baffo di sorriso stampato in faccia, Pietro chiuse la porta della sua stanza, e si lanciò sul letto. Ascoltando voci lontane di bambini che giocavano nel cortile del condominio, inframmezzate dal frullare delle ali di piccioni, Pietro immaginò il fondo nero del cinema e ci proiettò sopra le mani affusolate di Beatrice. Questa mattina le sue unghie erano dipinte di rosso, e i suoi occhi di blu elettrico: per qualche secondo gli era passato per la testa che Beatrice lo fissasse proprio lì, in mezzo alle gambe.