Uomo (?) bastardo
Aveva un gran caldo il bosco quando si svegliò una mattina solleticato dalle zampette degli scoiattoli e dallo stiracchiarsi del buongiorno di chiunque vi abitava. La perfetta armonia emanata dal ballo delle foglie verdi venne disincantata dagli scarponi pesanti di un uomo: aveva uno strano oggetto tra le dita, una specie di rametto da cui ogni tanto aspirava, emetteva del fumo, e mentre lo tirava con la bocca la bronza all'estremità si faceva sempre più corta. Il fiore, l'erba,il frutto di bosco lo paragonarono ad una piccola stella, e si chiedevano il perché ne splendeva ancora soltanto una sola, piccola, minuscola, oltretutto solitaria ad una distanza così ravvicinata. L'alba è arrivata, si dissero tutti, ed il sole aveva tappezzato perfino le nuvole...
I passi pesanti degli scarponi dell'uomo giocavano a nascondino con le piccole creature del bosco e solo un elfo, qua e là, con semplici scherzetti si divertiva a schiaffeggiare il suo volto invisibilmente con i rami, senza fargli male. Ma gli occhi dell'uomo s'incurvavano a poco a poco in un disprezzo per il fastidio benevolmente provocato dalla magia delle ondulate foglie, addirittura disprezzava il profumo dell'aria che si creava con il suo profumo di limpidezza. Così spezzava le braccia più lunghe di alcuni rametti finché non si fermò e si accovacciò guardandosi intorno. Nel mentre fece cadere l'arnese fumante che durante il suo cammino gli si consumò tra le dita e la bocca.
Le zolle di terra iniziarono a fumare. Il sorriso di onnipotente disprezzo si accigliò tra le labbra dell'uomo coperte dalla barba; si alzò di scatto e con la corsa di chi vuol vincere una gara s'inabissò nella fuga fino a quando il fiato non lo sostenne più.
Intanto il fumo si alzò come una nebulosa tra le stelle, aumentava considerevolmente tra gli spazi ovunque liberi, annegandone l'aria e le cortecce degli alberi si denudavano anneriti della loro anima, le siepi si carbonizzavano tra gli sguardi attoniti degli animali che istintivamente si lanciarono al di fuori di quell'inferno asfissiante.
Nel giro di pochi minuti l'atmosfera del bosco si trovò in un vorticoso schioppettìo tra l'odore di bruciato sfatato. Da lontano il bastardo barbuto evaporò il suo eco d'orgoglio diavolesco nei primi telegiornali: un sogno di suo nascosto protagonismo. Prese il telefonino. A lui il merito dell'allarme. Chiamò il 115.
L'elfo si ritrovò di fronte ad uno scenario devastante e senza dimora; tuttavia guidava i suoi protettori al di fuori dell'ambiente cosparsa ormai di nebbia avvelenata.
All'improvviso vide il bastardo senza volto, barbuto; gli si avvicinò tra le ombre della sua corposità. L'elfo prese la sua lama di luce e gli perforò il cuore, poi lo fece soffocare stringendogli le braccia al collo come in un asfissiante abbraccio... e poi arrivarono, volando gli occhi del gufo disgustosamente disprezzanti ed accecarono l'ultima immagine del bastardo come se un fulmine gli lacerasse la cornea e gli occhi di lui scoppiarono materia d'esplosione nel cervello. L'uomo odiò se stesso nel rendersi conto che nella sua vita solitaria non riuscì nemmeno a fuggire dal rogo che lui stesso aveva creato. Tanto... oramai... solo prima, solo adesso, solo sempre..., forse non adesso; c'era un fantasma nel bosco: l'amore dell'elfo lo ha salvato dalla sua stessa ed odiosa inutilità.