Verrà l’alba di un giorno probabile
Una pioggia all’improvviso mi sorprende. Non ho nemmeno il tempo di cercare riparo nel primo portone aperto o sotto la tettoia d’un negozio che già è finita. L’unica cosa che rimane nell’aria è l’odore di asfalto bagnato, oltre a pungere le narici, anticipa la fine dell’estate.
Mezzogiorno è appena scoccato. Supero il primo ingresso vetrato dell’albergo e spingo con forza la porta: intervista “bucata”.
“Ha già lasciato l’albergo da più d’un ora” dice, da dietro il banco, l’omino ingabbiato in una giacca scura. Qualcuno è arrivato prima di me e l’ha portato via.
Un imprevisto? C’è sempre qualcuno che arriva sempre a scombinare i programmi degli altri… Pazienza! Ritorno indietro.
Un flash‐back, così si chiama quel fenomeno in cui nella millesima frazione di secondo tornano, scavalcando i pensieri ricorrenti, le immagini o le sensazioni che credi aver già dimenticato. Oppure ricordi di emozioni già provate. Infatti il “già provato” è la percezione che spurga e purifica la mia emozione e la veste d’un solo colore. Ed è in questo frangente che non tornano davanti agli occhi quella fila di denti bianchissimi che sporgevano dal suo sorriso smagliante, né quell’innocenza che tentava, ai bordi degli zigomi alti, di navigare tra le ingenue pupille, altere sul naso dritto come una statua greca.
Non ricordo niente di quel suo viso luminoso, cordialmente simpatico e accogliente. Nulla della magica atmosfera che s’era creata all’interno dell’anfiteatro catanese e nemmeno una sola delle note che tra le corde della sua chitarra aveva catturato, oltre me, anche tutto il pubblico presente. Neppure le note magiche e illudenti che per tutto il tempo avevano danzato col mio cuore in quel tempio allestito per il Dio della musica. Né i brani pieni di serenità che si aprivano tra morbidi temi e le ricche tessiture melodiche che davanti agli occhi erano diventate deliziosi e riposanti episodi.
S’era quietato persino il cielo che ascoltava anch’esso quei suoni che introducevano motivi gioiosi e nobili. Tra le sue dita, in un’altalena di giochi, ora più vivi, ora più teneri, ora più solenni, s’inorgogliva quel Dio che conosce i reconditi pensieri dei musicisti. E in quel tempio eretto, tra i ruderi della vecchia fabbrica di zolfo ricuperata che si specchiavano alte nel cielo le vecchie ciminiere. L’oscurità le rendeva dolci e velate.
Ecco cosa tornò alla mente: il cielo! In quel magico scenario, Sirio splendeva sempre più bella, assieme ai riflettori puntati su Giulio che in quel punto fermo, stava lì a raccontarmi di quell’impudica luna che serpeggiava nell’equivalenza d’un punto fermo nell’universo.
Ora Giulio. Ora la luna. Scomparivano e riapparivano. Tanto insignificante sembrò il chiarore delle stelle riflesso sui rossi mattoni delle ciminiere. Pensavo che una chitarra avesse un’anima ma non credevo che possedesse due occhi per piangere e disperarsi per i mali del mondo.
Di fronte a lui mi ero sforzata di mettere a tacere quel tumulto che, nello scatenarsi con l’impara forza d’un leone, costringeva i miei occhi da fissarsi le sue dita. Le sue mani, piccole e fragili ballerine, si muovevano leggermente inquietanti, quasi fossero api su un cesto di fiori. Giulio stringeva con una forte dolcezza al petto la sua chitarra e con audacia, si confondeva all’ombra d’una musica che diceva a tutti di non pensare che il resto del mondo esiste, lasciando che le sue corde chiacchierassero tranquille.
Qual era il tuo sogno da bambino, Giulio?
Quello che, diventato realtà, si prende gioco di noi?
Ti piace giocare, Giulio?
Giulio, anche se per poco, portaci lontano da questa realtà che fa di noi semplici contenitori per l’esistenza.
Noi siamo semplici umani che scorrono attorno a noi stessi veloci come l’acqua di un fiume: a volte tranquillo, altre no. Noi siamo lontani da coloro che forse vivono. Forse non sappiamo più che siamo diventati macchine vive e pensanti e, spesso incapaci di pensare. Ma tu per un attimo mi hai fatto credere che non apparteniamo più a coloro che camminano dentro i propri pensieri acidi e le paure che marchiano le emozioni.
Quale sarà il tuo prossimo sogno, Giulio?
Se provo ad immaginare come le corde della tua chitarra, con un ghigno sarcastico, si sono appellati ai rumori della vita prima di scivolare sulle vene scariche di sangue.
Quale sarà il nostro sogno Giulio, se le corde della tua chitarra potranno commuoverci e renderci malinconici quasi come l’aria fredda della sera.
È qui che l’aria fredda della sera aspetta d’ascoltare ancora i tuoi suoni: gli stessi che non riesco ad immaginare senza percepire quella leggera tristezza che per tutto il tempo mi ha martellato il cuore.
Giulio, qual è il sogno d’un sogno?
Fai sempre che un sogno diventi uccello per guardare, senza paura, il profilo delle proprie ali.
C’è un sogno sempre pronto a volare anche se è un cieco che cammina in un mondo che trema?
Giulio, anch’io aspetto che “un giorno giungerà l’alba di un mondo improbabile allora noi tutti saremmo in grado di camminare sotto il cielo e il cielo non sarà più un fantasma vestito di cobalto, perfettamente pennellato e, goccia nelle goccia, noi tutti assorbiremo la forza dalla musica come un tuono il temporale. E, all’alba di un mondo probabile, ogni corda sarà capace di rapire con la propria forza ed ogni forza diventerà chiarezza di suoni insaziabili. La musica sarà un’onda corrosa e quasi si divertirà coi suoi suoni sibillini ed i musicisti avranno una sola faccia. Una faccia colorata d’azzurro e vicino a loro spirerà quel vento di tramontana per portare il gusto delle terre, dei raccolti dei campi, del mare azzurro e pescoso. E giungerà alba per gli uomini che in fondo hanno tutti lo stesso desiderio, imitare il silenzio in quei tardi pomeriggi oziosi passati in silenzio prima d’armarsi di santa pazienza.
In fondo tutti gli uomini sono dei mulini a vento, incasinati nella loro vita e che hanno quanto mai l’intenzione di tirare il mattino tra un bar e una discoteca del resto non tutti scelgono gli spartiti per soffrire senza freni inibitori. Il nostro mondo, mio caro amico, è fatto d’immaginazione, di pensieri e noi, disadattati e sfortunati cosa cerchiamo?
L’amore demoniaco che ci dia le sue false illusioni.
L’ignoranza della fauna umana saprà sbriciolare lo strato protettivo della vita e mascherare bene la sua indifferenza?