Vi presento Harvey
Prima di farlo ci ho riflettuto a lungo e con molti ripensamenti. Intendo dire che non è stato facile decidere di rivelare ad altri l’esistenza di Harvey nella mia vita o, più precisamente, nei miei dormiveglia. La prima volta che l’ho visto è stato un mese fa, all’una di notte, improvvisamente, nella mia stanza da letto. Premetto che, per addormentarmi, ci metto sempre un sacco di tempo. Innanzitutto non vado mai a letto prima di mezzanotte poi, spenta la luce, passo una buona mezzora a dimenarmi tra pensamenti vari che vanno dalle sciocchezze più evanescenti ai grandi interrogativi sull’esistenza umana e dintorni. Lentamente, dopo un po’ di questo inutile peregrinare della mente, scivolo sempre in uno stato di rassicurante dormiveglia, finalmente libero da ogni obbligo di razionalità, con il subconscio che comincia a prevalere e a trascinarmi in spazi e dimensioni senza senso ma così piacevoli e strambi da far sembrare la realtà una noiosa incombenza. In compenso, una volta addormentato, dormirei per dodici ore consecutive; ne sa qualcosa la mia sveglia costretta a squillare, ogni mattina, così a lungo, da richiedere un ricambio della batteria almeno una volta al mese.
Dunque, veniamo al fatto. In una notte dello scorso mese (mi pare fosse un giovedì), ero da poco sprofondato nel tepore del mio rituale dormiveglia quando un tossicchiare indiscreto mi richiamò improvvisamente allo stato cosciente e razionale. Aprii gli occhi e intravidi, con l’aiuto delle tenui luci provenienti dalla finestra, la sagoma di qualcuno seduto sulla poltrona posta ai piedi del mio letto.
“Chi è là?” esclamai con voce roca, malamente controllata, sobbalzando dal letto.
“Ssshh… sono un amico.” mi rispose una voce calda e tranquillizzante.
“Un amico? Che amico? Come hai fatto ad entrare?”
“Ehi…ehi, piano con le domande. …Ti ripeto, sono un amico. Se fossi un malintenzionato venuto per farti del male l’avrei già fatto, no?”
La conclusione non faceva una grinza ma non spiegava affatto come il titolare della voce avesse potuto entrare in casa mia superando allarme e chiavistelli. Mi girai quindi di scatto, accesi la lampada sul tavolino e lo vidi. Seduto sulla sedia, vestito con una lunga tunica grigia chiusa fino al collo, capelli folti e bianchi come la neve, un uomo di settanta, forse ottant’anni, mi guardava con aria sorniona e un sorriso incredibilmente fanciullesco che illuminava un viso pieno di rughe profonde ed espressive.
“ Insomma, chi sei ‐ riuscii a chiedere ricambiando istintivamente il suo confidenziale “tu” – e come sei riuscito a entrare a casa mia?”
“Precisiamo: in non sono ‘entrato’. Semplicemente sono apparso. Ecco tutto.”
“Sei un fantasma?” chiesi con tono turbato.
“Ma come ti permetti? I fantasmi sono anime in pena. E io ti sembro in pena?”
“No, no… tutt’altro. Sei, per caso, un Angelo?... Un Angelo custode?” chiesi speranzoso.
“Per carità. Un lavoro che non farei mai.”
“Un lavoro?… Che lavoro?” chiesi perplesso.
“Quello del custode. Ma ti rendi conto? 24 ore su 24 appiccicato a un tizio qualunque cercando di proteggerlo senza che lui possa vederti e sentirti! Per carità, roba da sfinimento! Passi se ti capitassero tipi divertenti e brillanti come Groucho Marx o Bernard Show. Magari libertini e sporcaccioni come Casanova e Henry Miller, ma se ti capita uno pedante, noioso e magari pure …longevo! No, non è roba per me!”
“Ma scusa, allora chi diavolo sei? Che ci fai qui da me?”
“Non l’hai ancora capito? Sono un tutor di formazione. Per la precisione, un tutor di seconda classe.”
“Un tut…? Ma che cavolo significa?”
“Significa che il tuo Angelo custode – quello vero ‐ ha segnalato a chi di dovere, lassù, che sei un tipo che ha alcune qualità degne di nota ma allo stesso tempo assolutamente incapace di svilupparle …di esprimerle…”
“E se sono così incapace perché mandarmi un tutor di seconda classe? Non era meglio uno di prima?” obiettai di getto, pentendomi subito dopo per paura di averlo indispettito.
Con sollievo lo vidi sorridere: “Guarda che la seconda classe non è un titolo di demerito. È solo una questione di anzianità.”
“Di anzianità? Avete pure un sindacato?”
“No, ma un regolamento sì. Noi tutori siamo esseri umani passati a miglior vita che, per capacità, esperienza e saggezza dimostrata durante la vita terrena siamo stati chiamati ad aiutare gli angeli in particolari casi come il tuo.”
“Dunque tu sei alle prime armi?”
“Ma nemmeno per sogno. Devi sapere che quando si viene chiamati a questo compito si comincia in terza classe. Dopo venticinque anni e cinquantamila ore di tutoraggio si passa in seconda e dopo cinquant’anni e centomila ore, in prima. Se tutto va bene con te, sarò elevato a tutor di prima classe proprio alla fine di quest’anno.”
“Caspita, mi sento onorato. Ma a me, tutto questo sembra solo un sogno bislacco!” esclamai scuotendo il capo e dandomi un pizzicotto sulle guance.
“Guarda che non stai affatto dormendo. Ti assicuro che è tutto vero e devo anche dirti che se continui nel tuo scetticismo renderai il mio compito molto più difficile.”
“No… no, aspetta…fammi capire meglio” dissi trafelato per paura che sparisse.
“Va bene, cos’è che vuoi sapere?”
“Beh, intanto, il tuo nome visto che il mio lo conosci di certo.”
“Mi chiamo Harvey.”
“Harvey? Che buffo nome! Era il tuo da vivo?”
“No, è il nome di un coniglio.”
“Di un coniglio? Te l’hanno imposto …. Lassù?”
“No, l’ho scelto io.”
“E perché dici che è il nome di un coniglio?”
Lo sentii sbuffare prima di rispondermi.
“Perché era il nome del grosso coniglio che appariva a James Stewart in un film che si intitolava appunto Harvey. Era il 1951 ed è stato l’ultimo film che ho visto poco prima di morire.”
“Dunque, lassù ognuno può scegliersi il nome che vuole?”
“Sì, purché non sia contrario alle tre Regole Divine.”
“E quali sono?”
Harvey assunse un’espressione niente affatto benevola.
“Insomma, adesso basta con le domande. Se lo meriterai, te le svelerò un giorno.”
“Un giorno? Significa che d’ora in poi starai sempre con me?”
“Scherzi? Non ci penso neppure. Questo è il compito del tuo Angelo custode. No, io verrò a trovarti di tanto in tanto, diciamo una… due volte al mese. Sai, un tutor deve occuparsi contemporaneamente di un numero considerevole di allievi. Ora, ad esempio, ne ho sedici te compreso.”
“Tutti con gli stessi problemi?”
“Oh no, tutti diversi l’uno dall’altro.”
“Per esempio?”
“Mi spiace ma non posso parlare degli altri. Posso però dirti di te e dei motivi che hanno portato il tuo Angelo custode a richiedere l’intervento di un tutor.”
“Ecco, appunto, il mio Angelo! L’hai incontrato?”
“Certo che l’ho incontrato. Si fa sempre in questi casi.”
“Ah, sì? Allora dimmi: secondo lui… o lei… a proposito, di che sesso sono gli angeli custodi?” mi scappò di chiedergli all’improvviso.
Harvey mi guardò con aria di rimprovero:
“Ecco, basterebbe questa domanda per spiegare il perché Andry ha richiesto che intervenissi.”
“Andry? E chi è Andry?”
“Il tuo Angelo custode.”
‘Mi ha fregato’, pensai, rinunciando a chiedere se, in questo caso, Andry fosse un nome maschile o femminile.
“Okay, ho capito, ma qual è stato il vero motivo che ha portato il mio Angelo a chiedere per me un intervento tutoriale.”
“La tua indolenza.”
“Indolente io? Ma se di giorno lavoro, e di notte sono una fucina di riflessioni e fantasie.”
“Ecco, appunto! È proprio delle tue riflessioni e fantasie che dobbiamo parlare. Andry dice che esse partono sempre con buoni propositi ma poi ineluttabilmente si disperdono e diventano evanescenti. Insomma, che mancano di spessore e finalità e siano un inutile divagare della mente privo di ogni valore…”
“Valore? Che genere di valore o finalità possono avere le mie fantasie?”
“Ma non capisci? Andry dice che tu hai un certo talento, ma che il modo con cui gestisci le tue fantasie è indegno di te e delle tue potenzialità. In altre parole che devi impegnarti di più per poter finalmente dare il tuo infinitesimale contributo al MUME…”
“Ehi, non cominciamo con le sigle. Cos’è ‘sto MUME?” chiesi incuriosito.
“È il Museo Universale della Memoria Eterna. Lassù si vuole che tutti partecipino per quel che possono alla costruzione di questo Museo. Per un Angelo custode è difficile accettare che un proprio protetto, con grandi potenzialità come te, non riesca ad aggiungere nulla, nemmeno un piccolo codicillo. Capito?”
“No, ma secondo te cosa dovrei fare?”
“Semplice: dovresti dare maggior valore alle tue lepide fantasie, approfondendole e arricchendole al massimo delle tue possibilità…”
“Va bene, ma come?” incalzai nervosamente.
“Mettiamola così: io so che a te piace la leggerezza, l’ironia, il gioco verbale, il paradosso, vero?”
“Sì, giusto, e dunque?” chiesi soddisfatto della descrizione.
“Dunque, togli le tue divertite divagazioni dal materasso della pigrizia e falle fruttare nella banca dell’impegno, cerca di inquadrarle in un minimo di ordine estetico e prova a elaborarle e a scriverle. Scrivi, ad esempio un romanzo, dei racconti, un diario. Aggiungi le tue parole a quelle degli uomini illustri senza timori o riverenza…”
A questo punto Harvey fece una piccola pausa, forse per riprendere fiato, ed io ne approfittai per obiettare: “Sì, io amo mescolare il sacro col profano, il riso e il pianto, lo sberleffo e l’elegia… mi piace l’ossimoro letterario ed emotivo in ogni occasione ma, in questo modo, faccio dei continui guazzabugli di nessun interesse…”
“Al contrario, mescola pure Peter Pan con Julien Sorel, Woody Allen con Dostoevskij, idee personali con le idee di Platone, le tue confessioni con quelle di Sant’Agostino ma, poi, cerca di finalizzare il tutto a qualcosa che abbia un senso anche per gli altri. È l’interesse delle persone migliori che devi sollecitare; è quello il trampolino di lancio che porta i pensieri verso gli scaffali del MUME!”
“Senti Harvey – dissi a quel punto ‐ non so quanto io meriti la vostra attenzione ma ti assicuro che ho molti dubbi sulle mie capacità di aggiungere qualcosa a ciò che voi chiamate MUME. Anzi il mio timore è che se il Museo accettasse un mio pensiero rischierebbe di screditarsi.”
“Lo vedi? – mi replicò il mio tutor sorridendo ‐ lo vedi come ti rifugi subito in angolo? Questo è sbagliato, è da perdenti. Devi sempre ricordarti che ci sono quattro qualità di cui ha bisogno un pensiero per dirsi degno di essere comunicato e conservato nella memoria universale: immaginazione, cultura, significato e sincerità. Di queste tu ne hai solo una: la prima. Se riuscirai a completarla almeno con altre due qualità vedrai che quelli che chiami i tuoi guazzabugli mentali saranno mille volte più ricchi e pieni di significati e cattureranno certamente l’attenzione degli Angeli...”
“Addirittura! Gli Angeli!” esclamai, tanto per scaricare la tensione.
“Certo! – ribatté Harvey – tu che hai fantasia sai bene che gli Angeli credono in noi molto più di quanto noi crediamo in loro!”
Lo guardai perplesso. Non riuscivo ad afferrare il significato profondo di quest’ultima frase. Due erano le cose: o era una verità tanto profonda da essere fuori dalla mia portata o era una cretinata assoluta detta dal mio tutor per mettere alla prova la mia intelligenza. Stavo per chiederglielo, quando Harvey mi anticipò.
“E con questo, caro allievo, ti saluto. Come avrai capito questo era solo un incontro introduttivo. Ci rivedremo presto e la prossima volta cominceremo a lavorare sul serio. Buonanotte!”
“Buonan…” Non riuscii nemmeno a ricambiare il saluto che Harvey era sparito nel nulla, così come forse era arrivato. Ma una cosa è certa: quella notte, ci misi molto più tempo ad addormentarmi.
Ecco, questa è stata la prima volta che ho parlato con Harvey. Ieri notte è stata la seconda. Ma di quello che ci siamo detti in quest’ultima occasione scriverò un’altra volta…