Via della Brenda 32 - Capitolo 1
Bowie fa rimbalzare “sound and vision” sulle vecchie croste incorniciate che riempiono le pareti del salotto.
Lunedì, ore 9.04, ho appena iniziato a lavorare. Preparo gli stracci e i prodotti che mi serviranno in questa lunga mattinata di pulizie.
Nuova casa, nuova famiglia da soddisfare, nuova mogliettina da accontentare in fissazioni e pretese. Donna delle pulizie, collaboratrice domestica, mi chiamano in tanti modi, ma la sostanza sono queste tre ore da riempire, sbattendomi fra polvere e bucato sporco.
Bowie continua in sottofondo mentre riempio il secchio.
Ho una storia tragica alle spalle, come tutti in questo mondo. Non vi annoierò raccontandovi del mio amore culminato in un divorzio, di una figlia che sento ogni tre mesi o della bettola in cui sono costretta a vivere. Ovvietà superflue.
Oggi lavoro in questa casa per tre ore al giorno e, grazie ad un altro paio di lavori mal pagati, come questo, riesco a sopravvivere quel tanto da illudermi ancora ogni mattina.
52 anni di illusioni e speranze. La musica e qualche vizio colorano questo grigiore, che per fortuna non ha ancora inglobato il mio corpo ed il mio viso. Povera, disperata, ma gnocca come poche. E soprattutto gnocca a gratis. Tanto lavoro di gomito, scale a ripetizione e digiuno forzato valgono bene palestra, massaggi e centri estetici.
Qualche occhiata per strada la attiro ancora, insomma.
Ci penso mentre inizio a spolverare in questo stramaledetto salotto. Non ricordo nemmeno come hanno avuto il mio contatto. Non hanno fatto storie sul compenso e lavoro da sola in casa, tanto mi basta. Ci hanno tenuto molto a sottolineare il fatto che lavorino fino a tardi, come se dovessero giustificarsi. Ma davvero pensano che me ne possa….
Una chiave si muove nella serratura.
Chiudo lo stereo e mi avvicino all’entrata.
È il figlio maggiore. Camicia sgualcita, puzza di sudore e alcool.
Buongiorno, si, sono la nuova domestica. Ci mancherebbe, è casa sua.
Alto il giusto, fisico da figlio di papà che passa i pomeriggi in palestra per compensare una atavica mancanza di interessi, faccino rasato di chi non ha bisogno di controllare orario, né portafogli. Dice che ha bisogno di una doccia. Pensavo di rimanere da sola, invece c’è un cagacazzi in più. Favoloso.
Ritorno in salotto. Meglio non accendere lo stereo. Immergo lo straccio in acqua per ricominciare, ma sento un botto scoordinato provenire dal bagno. Attraverso preoccupata il corridoio, ancora con le mani bagnate. Tutto bene? Ci sono problemi? Ho sentito un forte rumore… nessuna risposta.
Busso. Busso più forte. Inizio a preoccuparmi seriamente.
Tutto bene lì dentro? Ancora nessuna risposta. Devo entrare, cazzo. Apro la porta che per fortuna non è chiusa a chiave. Il ragazzone è steso a terra di schiena, nudo come un verme. Non è riuscito nemmeno ad aprire la doccia. Collassato fra bidè e cesso. Che grandissima testa di cazzo. Urlo, più per svegliarlo che per paura. Niente, buio totale. Non posso lasciarlo così.
Lo afferro dalle ascelle, umide e puzzolenti. Lo maledico mentre lo trascino verso il corridoio. Non c’è sangue per fortuna. Devo girarlo, schiaffeggiarlo, bagnargli il volto. Dovrò pur svegliarlo in qualche modo. L’operazione è più complessa del previsto. È alto e muscoloso e questo lo fa pesare. Concentro le forze su di una spalla e tiro. Si! Ce l’ho fatta! Sento il suo alito impestato d’alcool, vedo il torace peloso. Ha un cazzo enorme.