Volevo scrivere una lettera d'amore
Volevo scrivere una lettera d'amore.
E mentre fissavo il vuoto aspettando che qualcosa singhiozzasse fuori, singhiozzò fuori un imbarazzante silenzio.
L'ultima luce del giorno sta filtrando dorata attraverso la zanzariera, illumina matite, scartoffie, un paio di foto alle pareti e un braccialetto di legno.
Non è che non so cosa scrivere, è che non me lo ricordo più.
La luce si ferma a solo qualche centimetro da me, ma se ne sta andando. É entrata senza bussare, ha toccato qua e la ma non trovando nessuno ora se ne va. Ecco, se n'è andata.
Ora quel che sapevo dell'amore è più simile a un groviglio di capelli, un ingorgo, come quelli che bloccano il rubinetto. Ora blocca me? Ma il tubo dov'è?
Sto aspettando che esca qualcosa. A questo punto non mi interessa più che si tratti di “che cos'è l'amore”, potrebbe benissimo essere “quel che so che non lo è” o “quello che non so che è”, discorsi complicatissimi che a pensarci bene non sono poi così interessanti. Ma non escono.
Potrei scendere e farmi un caffè. Un buon caffè profumato come mi hanno insegnato a farlo; e guardare andarsene anche l'alone rosa sulle montagne inseguito dalla notte. Dolce notte... e sogni d'oro. Me lo scriveva qualcuno, ogni sera. Sul telefono, nel cielo. Me lo scriveva e io sentivo qualcosa che però non mi ricordo. Ricordo che era abbastanza enorme da impietrirmi nel letto e ricordo che sebbene immobile si muoveva tutto e ricordo che ero pesante ma volavo; ma a dirla tutta non me lo ricordo così bene.
Mi gratto la testa e mi chiedo se sia effettivamente razionale scrivere una lettera d'amore a nessuno. Esiste anche senza che vi si ponga un indirizzo?
Mi ricordo quello che si sente, quando due labbra si toccano, ma le labbra non vanno bene tutte, anzi non ne va bene quasi nessuna. Per questo dico che forse nemmeno me lo ricordo. E per questo che non so cosa scrivere.
Ed è per questo che alla fine non ho scritto niente.