Voynich. Mistero senza tempo. 1

Il manoscritto Voynich È un codice illustrato risalente al XV secolo (la datazione al radiocarbonio ha stabilito con quasi totale certezza che il manoscritto sia stato redatto tra il 1404 e 1438), scritto con un sistema di scrittura che a tutt'oggi non è stato ancora decifrato. Il manoscritto contiene anche immagini di piante che non sono identificabili con nessun vegetale attualmente noto e l'idioma usato nel testo non appartiene ad alcun sistema alfabetico/linguistico conosciuto. È stato definito da Robert Brumbaugh come "il libro più misterioso del mondo".
Il manoscritto, del quale non esistono copie, è attualmente conservato presso la Beinecke Rare Book and Manuscript Library dell'Università di Yale, negli Stati Uniti, dove reca il numero di catalogo «Ms 408».


Yale University, un giorno qualunque

‐ È quello?
‐ Sì, dottore. – disse lesta la guardia, per fingersi zelante; non capitava spesso di parlare col professor Corbett, uno dei cervelloni della Yale. Non che avesse la puzza al naso, anzi. A vederlo traversare i larghi corridoi, con gli immancabili libri tra le mani e la testa tra le nuvole, sembrava più un mentecatto che uno scienziato. Certamente non era uno che avesse qualcosa da spartire con una guardia giurata, di conseguenza: meglio approfittare di quel contatto per sembrare scrupoloso. Non si sa mai.
‐ Che cosa ha detto di preciso? – chiese il tipo “stralunato”, ma stavolta fissò il guardiano con occhi freddi, acuti e assai attenti.
‐ Beh… ha insistito parecchio; ha detto che deve tornare in Italia e che quello che ha notato è molto importante. – La guardia deglutì, sperando di non aver sbagliato a importunare Corbett – Ecco, signore, è stato molto caparbio; è qui dalle nove. Alla fine insisteva di riferirle quelle testuali parole: “E’ un film! Si legge come un film…”, ecco! Ha detto proprio così!
Corbett non ascoltava più l’altro, era concentrato sull’immagine nel piccolo monitor dell’interfono. La telecamera all’ingresso mostrava quel ragazzone, che si diceva italiano nonostante vestisse da perfetto, giovane, “yankee”. Probabilmente aveva fatto acquisti a New York.
Lo scienziato si decise; diede ordine di lasciarlo passare. Non era curioso, era certo che il giovane non avesse niente di importante da dire sul manoscritto. Però, nascosto sotto le lenti e i capelli arruffati, sepolto sotto i milioni di dati assorbiti negli ultimi trent’anni, c’era un “vecchio‐giovane” romantico che serbava in cuore un’indimenticabile vacanza italiana.
‐ Posso chiederle perché si è scaricato una copia del Voynich, giovanotto? – il professore fu diretto.
‐ Perché amo i misteri, signore. Tutto ciò che non si conosce o è segreto, mi affascina.
‐ E cosa intende quando definisce “il manoscritto”, un film?

Un giovane impacciato

L’ambiente era piccolo e spoglio, tanto da creare in Davide una leggera apprensione; aggiungeva disagio al timore di aver scomodato il luminare per una fesseria.
‐ Gradisce del caffè? – disse Corbett in italiano fluente – il “nostro”, naturalmente… – aggiunse con tono deluso.
‐ Grazie, sto bene – rispose il ragazzo.
– Mi dica, allora, che cosa l’ha spinta a cercarmi?
‐ Parliamo in italiano? – chiese Davide ingenuamente, l’altro non rispose, con la mano lo invitò a proseguire.
‐ Le dico sinceramente che adesso mi sento uno sciocco… veda, professore, sono uno studente di Architettura, in Italia. Un colpo di fortuna mi ha permesso di passare due mesi in America, ma non so niente di libri antichi… né di codici segreti. – l’altro non parlava, continuava a osservarlo, in attesa. Si sentiva, nella stanza, tutto il carisma del “personaggio” che lo studente aveva di fronte. Si era imbattuto nel famoso Manoscritto solo tre giorni prima, su internet, mentre cercava notizie di Corbett. Lui era l’autore del suo testo preferito, un saggio fondamentale sul simbolismo Gotico e Rinascimentale nell’Architettura Sacra europea. Davide cercò di spiegare tutto il preambolo a Corbett, che, invece, dava chiari segni di impazienza: voleva dei “fatti”! Quei fatti che, al povero giovane, sembravano sempre più inconsistenti…
‐ Lei, prima ha parlato di un Film… che cosa intende? E questo che voglio sapere… mi spieghi solo da dove le viene quest’idea, ok?
Stupidaggini o no, era il momento di spifferare la sua intuizione; l’italiano doveva procedere.
‐ Le dico cosa è capitato e cosa credo, d’accordo? Poi tolgo il disturbo, subito. – era fatta; stava per iniziare, quando un telefono interno iniziò a ronzare. Corbett ignorò la chiamata e fece di nuovo segno di procedere nel racconto.
‐ Ho trovato il suo Blog, cercavo proprio notizie su di lei, sapevo che insegnava a Yale… poi mi sono imbattuto nel Voynich, che non conoscevo affatto. – ora Davide desiderava un po’ d’acqua, aveva la gola secca, ma non osò cambiare argomento. – Ho letto l’articolo; mi è sembrato strano che si potesse scaricare l’opera intera con tanta facilità…
Corbett sorrise: – Seicento anni di ricerche non hanno portato da nessuna parte, o quasi… deve capire: siamo disperati. Oggi, l’ipotesi che più piace a noi scienziati è che sia solo un gioco, l’opera di uno spiritoso, magari uno studente, come lei. L’uomo della strada non ama sentirsi sciocco, meglio credere in uno scherzo da prete… Si sentì bussare discretamente alla porta, il professore ne fu seccato ma si alzò e andò ad aprire. Era un giovane, gli riferì qualcosa a bassa voce e Corbett, per un attimo perplesso, rispose in inglese.
‐ Ma perché? E’ da matti. Comunque, adesso sta bene? – l’altro dovette rispondere di sì. – Ok… richiamala, dille che se non se la sente di venire in Taxi la vai a prendere… non posso muovermi, adesso! ‐ Il giovane non fece una piega, assentì e scomparve nel corridoio. Lo scienziato sembrava contrariato e rimase in piedi; un momento dopo si rivolse a Davide in maniera spiccia e diretta, invitandolo a venire al sodo.
‐ Ecco… ho scaricato il PDF: è abbastanza pesante, ci è voluto un po’. Sono un tipo impaziente, premevo senza pensarci i tasti “up and down”. Andavo su e giù, meccanicamente, senza nemmeno farci caso… professor Corbett, io, il manoscritto in sé non l’ho quasi guardato! Quello che mi ha colpito, sono le pagine. – più parlava, più si rendeva conto di non avere quasi nulla da dire. Il suo interlocutore era sempre più seccato.
‐ Facendo scorrere le pagine dall’alto verso il basso, ho avuto la netta sensazione di vedere qualcosa… una specie di segni, come una sequenza, sa, tipo cartone animato. – Davide cercava di essere il più chiaro possibile; appena terminato si sarebbe scusato, per poi “fuggire” in Italia, sperando che si fossero presto scordati di lui.
‐ Pur non credendo ai mie occhi, ho cercato di fare maggiore attenzione… ma non si vedeva bene. Ho girato il PC, ribaltandolo su un lato, per vedere scorrere le pagine in orizzontale. Come sa, non è possibile intervenire sulla velocità dello scroll… quindi non so bene cosa ho visto… cioè, cosa ho creduto di vedere. Insomma, la mia netta sensazione e che, facendo passare le pagine una dopo l’altra, guardando da una certa distanza, si legge qualcosa… dei segni o delle lettere… un po’ come quegli scherzi ottici che si fanno con i foglietti di carta… Tipo Lanterne Cinesi o roba simile. – Davide concluse così, e non ebbe il coraggio di aggiungere altre idiozie.

Passato dimenticato: una pioggia di pietre


Tamhal, il Sacerdote, aveva fallito.
Ogni preghiera, ogni orazione segreta, il sangue di 50 vergini: niente aveva placato la collera del Dio Sole. Il Signore della Luce non si era svegliato per tutto il giorno. Il cielo era nero ma senza una stella.
Tamhal non volle tornare dal Re con la sua vergogna. Si gettò senza un grido nella pira ardente che lui stesso aveva allestito, sull’altopiano di pietra.
Lunghi, tremendi, attimi; impossibile misurarli, nonostante questo, tutta la vita del giovane Sacerdote, gli attraversò la mente… e intanto precipitava, cadeva nel fuoco ardente che coceva il volto dei presenti, anche a oltre cinque metri di distanza. Per l’ultima volta osservò la massa rossa sperando che il Serpente Alato, avesse pietà e gli donasse una fine senza troppe sofferenze.
Qualcosa colpì Tamhal, scaraventandolo lontano, come una biglia; l’uomo rotolò lungo il crinale della costruzione che, verso la base, diveniva sempre più scosceso: la sua caduta non vedeva fine. Le ossa colpivano le pietre aguzze della scalea, incrinandosi e spezzandosi.
Quando raggiunse il fondo della scarpata era poco più di uno “straccio” sanguinolento; il bruciore delle ferite sembrava lo stesso del fuoco dove stava per precipitare.
Intorno a lui, il rumore assordante di cento tuoni! Enormi massi cadevano fischiando sulla piana, facendo strage dei presenti, talmente esterrefatti da non cercare neanche una possibile via di fuga; paura e superstizione tenevano la gente bloccata nella morsa del terrore. Il macigno, che aveva colpito di striscio Tamhal, era poi sprofondato con forza nella grossa pira infuocata. Rami e tizzoni ardenti, erano schizzati lontano, attraversando, in certi casi, il corpo di qualche malcapitato e restando infissi, come frecce di fuoco, condannando la vittima a una sofferenza inaudita. Poi il Sacerdote perse i sensi e non vide più niente dell’ira del Dio.


“E il sole si fermò in mezzo al cielo e non si affrettò a tramontare per quasi un giorno intero, e la luna rimase al suo posto. Mentre fuggivano davanti a Israele ed erano alla discesa di Bet‐Oron, il Signore fece cadere dal cielo su di loro delle grosse pietre fino ad Azeca, ed essi perirono: quelli che morirono per le pietre furono più numerosi di quelli che i figli d’Israele uccisero con la spada.”
Giosué, Terra di Canaan, 1393 B. C. – NdA

Un giovane sudato

Davide sudava per l’emozione; sapeva di essere stato introdotto in un luogo segreto, un santuario della Scienza. Corbett non lo aveva messo alla porta, con “tanti saluti”, trattandolo come era certo di sembrare: il solito ignorante da giornaletto dei Misteri. Al contrario, si era ritrovato con tanto di “pass” Vip, ad attraversare i corridoi semi‐deserti della biblioteca sotterranea, un’ala, già quella, del tutto interdetta alla gente comune.
Entrarono, poi in una piccola sala, senza sedie e abbastanza spoglia. C’era un tavolo alto con due PC da consultare in piedi, e, dentro una specie di frigorifero con la porta di vetro, illuminato da una tenue luce azzurrina, un grosso tomo, senza copertina e senza indicazioni. Molte pagine sporgevano dalla risma, segno che il libro non era stato mai rifilato. Davide si sentì indegno… il solo “incontrare” un libro originale di oltre seicento anni fa, era un’emozione che non avrebbe mai scordato.
Corbett non parlava; mise in moto i computer. Su una parete, del tutto inglobato nell’arredamento, uno schermo gigante si accese. Poco dopo si aprì la classica schermata con infinite cartelle e sottocartelle, accuratamente catalogate. Il professore iniziò una ricerca, stavolta parlava in inglese:
‐ Nel manoscritto originale ci sono delle tavole. Sono redatte su enormi pergamene, intere, una cosa inusuale per l’epoca e, apparentemente, senza spiegazione.
‐ Le ho viste – si permise di intervenire il ragazzo – sono quelle che “stridono” col mio “scrolling”.
‐ Ora stia molto attento – disse Corbett, ignorando le sue parole – Circa quindici anni fa abbiamo girato questo filmato, con l’ausilio di tecnici esperti di “ripresa singola”; la tecnica dei cartoon, per capirci.
Il filmato che comparve sullo schermo mostrava un Corbett assai più giovane che spiegava come si sarebbe svolto l’esperimento, poi la ripresa ritrasse le grandi pergamene con le immagini degli strani rosoni. L’operatore aveva inquadrato al centro dello schermo le singole immagini; all’improvviso la prima iniziò a ruotare. Raggiunta una certa velocità, la ripresa passava in primo piano, selezionando una specie di spicchio visuale.
Davide non credeva ai suoi occhi… le figure, adesso avevano un senso e si muovevano, come in una specie di breve video che si ripeteva all’infinito.
Qualcuno bussò alla porta e, senza indugiare, la spalancò. Davide si convinse ancora di più che quella giornata sarebbe stata memorabile: inquadrata nel rettangolo della porta c’era una stupefacente figura femminile. I lineamenti della ragazza, sicuramente europea, avevano però qualcosa di asiatico, come gli occhi lievemente a mandorla di un notevole verde oliva. Era bellissima.
La donna lo ignorò del tutto, affrettandosi, invece, ad abbracciare Corbett, che accettò la stretta ma con un certo disagio.

Tra le pagine arcane

Gli artistici medaglioni inseriti nel Manoscritto, quindi, se fatti girare in modo da raggiungere 25 fotogrammi per secondo, prendevano vita e rappresentavano dei piccoli brevissimi “video”. E questo, il professore, con un punto d’orgoglio, lo aveva già stabilito, molti anni prima… ma i “filmati”, così come il resto del Manoscritto, ancora una volta, non significavano niente o, meglio, non si capiva assolutamente cosa volessero nascondere.

Fecero una breve pausa per colazione e Davide fu invitato a restare; lui sprizzava felicità da tutti i pori, cercando di non darlo a vedere. Corbett lo presentò alla donna: si chiamava Claire Raven ed era un archeologo. La Raven aveva un contratto come ricercatrice con la Yale ma non aveva una Cattedra fissa, diciamo che era più un ospite ma di grande prestigio. Aveva una storia col professore, e non facevano nulla per nasconderlo, però gli fu presentata come… preziosa collaboratrice. Claire doveva avere trent’anni meno di Corbett e una decina più di Davide ma il giovane se ne invaghì a prima vista, cominciando a trovare il vecchio professore, sempre meno mitico e sempre più antipatico.

Alle 14 si ritirarono tutti nel laboratorio, compreso il giovane e solerte assistente, intravisto al mattino; si chiamava Dan. Toccò a Davide, stavolta con grande precisione, spiegare che cosa avesse notato davvero, scorrendo le pagine del manoscritto. Adesso non aveva più la sensazione di parlare a vanvera, al contrario, si sentì contagiato dall’attenzione e dall’intelligenza fuori del comune dei suoi interlocutori. Mentre parlava, veniva capito immediatamente e spesso anticipato; per il momento era Dan a manovrare i due computer per manipolare il testo digitalizzato, utilizzando programmi del tutto sconosciuti. Dan non ebbe bisogno di spiegazioni ulteriori e, per un attimo Davide, ebbe l’impressione che lui avesse origliato, ma poi attribuì tanta dimestichezza al fatto che, a sua volta, doveva essere uno scienziato, nonostante l’età. Iniziarono gli esperimenti veri e propri: effettivamente, a 25 fotogrammi al secondo, scansionati al quarzo, era molto forte la sensazione di vedere qualcosa. Abbozzi di immagini, tra le ombre formate dalle macchie dei testi e dalle macroscopiche figure. Tentarono varie combinazioni e diversi tipi di sfocatura o viraggio, senza incontrare però nessuna traccia significativa. Erano le 21 quando decisero di lasciar perdere e si accinsero a lasciare la sala, dove ormai l’aria pesante odorava di caffè.

Ora, l’italiano, credeva di comprendere le parole della strana confessione, fatta dal professore poco prima: “Il Manoscritto ci rende disperati…”. Nella pacata luce antibatterica del suo ripostiglio, il libro se ne stava innocuo, innocente. Non era il Graal; non era la pianta di Atlantide; non era nulla che si potesse confondere dietro la cortina fumosa del Mito. Gli scienziati ci sguazzavano negli altri misteri: oggi uno pubblicava una fesseria scaturita da indizi fittizi e teorie artefatte; domani, un altro Solone, teneva un giro di conferenze per denigrare l’opera del suo collega… chiacchiere, chiacchiere inutili sul nulla. Uno dei sistemi più pratici per far scaturire finanziamenti, e mantenere posti di prestigio, a spese dei “fedelissimi” della letteratura del mistero.

Del Voynich, invece, era rarissimo sentir parlare. Adesso per Davide era evidente l’interesse mai sopito e le spese che comportava detenere il manoscritto. Il libro c’era: bello, corposo, intatto… sembrava sfidarti apertamente. Per un momento s’immaginò di vederne l’artefice: un amanuense col corpo grasso, basso e beffardo, una specie di “Monaciello”, il tipico fantasma delle notti napoletane, se ne stava appollaiato sulla copertina e rideva, sfidandoti, ben conscio dei tuoi limiti.

‐ E quindi uscimmo a riveder le stelle! – disse Davide un po’ triste, disponendosi a concludere la sua breve avventura… ma Corbett si voltò e lo fissò, probabilmente senza vederlo.

‐ Stelle? Ragazzo… hai detto Stelle?! Stelle… ah ah – e per la prima volta il vecchio compassato sembrava un ragazzino dopo la sbronza: era felice. Scuoteva Davide con le mani e rideva, entusiasta – Puoi tornare domani, ragazzo?

Davide non capiva assolutamente niente ma fece cenno di sì, più spaventato che entusiasta. Claire lo fissò stranamente, con occhi di fiamma, tanto da metterlo a disagio, ma poi parlò, e con la sua deliziosa voce, espresse pensieri del tutto soavi, in netto contrasto con la fiammata di un attimo prima. Davide pensò che si era certo sbagliato ma anche che è vero: gli scienziati sono tutti un un po’ lunatici.

Il Figlio del Sole

Tamhal stava per morire. Era la seconda volta; ma questa sarebbe stata l’ultima e, in fondo, non gli dispiaceva neanche troppo. Sebbene sereno, era stanco e molto malato. Aveva sacrificato la vita al Figlio del Sole e l’aveva fatto con gioia. Considerava un privilegio aver ricevuto un compito tanto grande e onorevole, nonostante gli avesse bruciato letteralmente il corpo, riempiendolo di piaghe e facendogli sputare sangue a ogni accesso di tosse ...
Continua...