su "L'anulare"
Ancora una volta ho fatto il percorso al contrario, da un libro più recente a uno precedente dello stesso autore, da La formula del professore a L’anulare, nella traduzione di Cristiana Ceci, dell’autrice giapponese Agawa Yoko, definita una delle “ragazze terribili” della nuova letteratura nipponica il cui universo “ossessivo, feticista e straniato... si impone con soave autorevolezza e l’ingannevole trasparenza della sua scrittura ci inchioda a queste pagine da cui nessuno potrà uscire indenne”. Agawa ha attratto e affascinato ancora una volta la sottoscritta.
E’ un breve racconto di poco più di 100 pagine i cui protagonisti, il signor Deshimaru, che gestisce un segreto, misterioso, enigmatico laboratorio e la sua giovane impiegata, di cui non viene mai detto il nome, vivono una vita, “fuori” dalla vita, in cui avvengono cose che l’autrice descrive come banali ma che sono invece “straniate” e lasciano nel lettore un lieve senso di disagio, la scrittura trae in inganno descrivendo situazioni assolutamente patologiche con un linguaggio da cronaca di fatti quotidiani “normali”.
Ancora una volta traspare la passione che l’autrice dimostra di avere (e che condivide con chi scrive) per i numeri visti, però, in questa storia, come simboli di ripetizioni ossessive: anche le due uniche abitanti delle stanze sopra il laboratorio vengono definite solo con il numero della loro camera.
Straordinaria la descrizione del terzo personaggio di questa storia, lo definirei il lustrascarpe-filosofo, anch’egli non ha un nome come nessun altro in questa storia a parte il proprietario del laboratorio; nei due momenti in cui s’incontra con la giovane impiegata, una prima volta al laboratorio quando lui porta un oggetto per farne un “esemplare” e una seconda quando lei lo va a trovare nel luogo, anch’esso simbolico, in cui fa il suo mestiere avviene uno scambio di frasi tra di loro che sembra talmente vero e reale che il lettore ne rimane avvinto e ci crede.
L'anulare
Adelphi
103 pagine
8845921964