su "L'eredità di Hyde"
Cosa accadrebbe se Mr Hyde non fosse morto? Anzi, cosa accadrebbe se Mr Hyde non fosse una invenzione letteraria? Se lo è chiesto Enzo Verrengia in “L’eredità di Hyde”, un romanzo dall'architettura affascinante e ingegnosa, scritto con metodo certosino, in cui viene immaginato che il romanzo “Lo strano caso del Dr Jekyll e Mr Hyde”, pubblicato da Robert Louis Stevenson nel 1886, sia nato dietro sollecito della polizia, che aveva l’esigenza di stanare questa figura malefica, nata dall’esperimento del dottor Jekyll. Nel romanzo si incontrano e interagiscono diversi personaggi dell'epoca, scrittori e scienziati. Utterson e Lanyon, già personaggi del thriller di Stevenson, sono immaginati come reali. Incontrano sulla loro strada persino Arthur Conan Doyle, che li aiuta a superare un caso difficile: far uscire allo scoperto un uomo che compie le sue malefatte tra la Gran Bretagna e l'Europa, istigando delitti e violando donne dell’alta borghesia, contaminandone la moralità.
Enzo Verrengia, un maestro di tecnica, ha scritto un romanzo scabroso e interessante, cupo come la Londra vittoriana in cui è ambientato, dalla morale ad effetto, bene ideata. Il narratore in terza persona si offre, il più delle volte, di accompagnare il lettore nella comprensione dell'epoca e dei suoi riferimenti, conquistando la sua gratitudine. Una volta entrati nella dimensione del romanzo, ci si sente in un disegno ben costruito e allargato alla storia, con risvolti molto interessanti e un finale wagneriano. La sua scrittura sincopata gli dà il ritmo di un thriller, ma l’ampiezza del’ambientazione e la profondità dei personaggi lo sottraggono alla gabbia del romanzo “di genere”.
“La foresta non benedisse quella congiunzione che veniva formalizzata. Sembro anzi che insorgesse con deliberato astio. Perché cessò ogni stormire. Tacquero gli uccelli e gli insetti. Vi fu un improvviso rilascio di silenzio.”
L'eredità di Hyde
Piemme
389 pagine
885663368X