su "Myricae"

Giovanni Pascoli, pur vissuto in pieno Positivismo, anticipa le tematiche e lo stile proprio dei poeti decadenti, con una sensibilità molto particolare, che è tutta sua, risultato delle sue ricerche e delle circostanze della sua vita.
Poeta del fonosimbolismo per eccellenza nella raccolta Myricae, una delle più note, attraversa temi quotidiani, di piccole cose a contatto con la Natura Madre, l’interlocutrice privilegiata del suo pensiero.
La silloge comprende 156 componimenti e ha più pubblicazioni con relative revisioni dal 1894 al 1911. Nella prefazione alla terza edizione ci illumina sulla raccolta con la sua celebre dichiarazione poetica:
"Ma l’uomo che da quel nero ha oscurata la vita, ti chiama a benedire la vita, che è bella, tutta bella; cioè sarebbe; se noi non la guastassimo a noi e agli altri. Bella sarebbe; anche nel pianto che fosse però rugiada di sereno, non scroscio di tempesta; anche nel momento ultimo, quando gli occhi stanchi di contemplare si chiudono come a raccogliere e riporre nell’anima la visione, per sempre. Ma gli uomini amarono più le tenebre che la luce, e più il male altrui che il proprio bene. E del male volontario danno a torto, a torto, biasimo alla natura, madre dolcissima, che anche nello spengerci sembra che ci culli e addormenti. Oh! Lasciamo fare a lei,
che sa quello che fa , e ci vuol bene". Livorno, marzo 1894.
Questo è un canto elevato alla Natura, il cui rapporto viene recuperato attraverso la raccolta in cui il poeta decadentisticamente si piega come un “fanciullino” ad ascoltare, ingrandendo e rimpicciolendo con la lente del cuore, per stupirsi ed ammirare. L’attenzione alle piccole cose si desume dalla celebre citazione dalla quarta egloga virgiliana “arbusta humilesquae myricae”, in cui le myricae sono le tamerici, piccoli arbusti, metafora della vita che va spesa nel quotidiano aver a cuore i grandi sentimenti riposti nell’attenzione alle piccole cose. Purtroppo, a deturpare il bello della Natura vergine c’è l’uomo con il suo animo malvagio e con il suo orgoglio tutto positivistico, che pensa di poter piegare la Natura con la sua ragione. Pascoli continua l’attacco polemico leopardiano al “secolo superbo e sciocco” e fa leva sullo spiritualismo per trovare la chiave di lettura della Natura, mentre fanciullescamente e in volutamente rifugge il contatto con la società, trionfo del Male.
L’ontologia del Male è l’ossessione pascoliana, dalla morte del padre per tutta la vita e chiude gli occhi sul mondo come un bambino in perenne fuga, trovando pace solo nel “nido” familiare, il suo sogno di bimbo incontaminato.
Per questa capacità di leggere l’essenza dell’Essere umano vediamo in lui un poeta Vate, ma non nel senso dannunziano roboante e narcisistico, da uomo-tribuno, ma poeta Vate contemplativo che legge oltre l’apparenza del reale cercando nel Simbolismo la chiave di volta della sua poesia.
La silloge raccoglie tutto il suo pensiero e il suo sperimentalismo sospeso tra antico e moderno, traghettando la poesia da Carducci al Decadentismo, anche sotto il profilo metrico, in cui si dimostra l’abilità di mescolare forme classiche a quelle decadenti; particolarmente presente è il cromatismo e il ricorso alle figure retoriche del fonosimbolismo alla Baudelaire, con cui condivide la visione della Natura come un Tempio che parla un linguaggio che solo l’anima del Poeta sa decifrare.

Myricae

di Giovanni Pascoli

Libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
  • Casa Editrice
    Rusconi Libri
  • Dettagli
    136 pagine
  • ISBN
    8818018108