su "I capricci della luna"
"I capricci della luna" è stato il primo libro di Maria Teresa Santalucia Scibona che ho letto. L'ho sfogliato e mi sono ritrovata a leggerlo con la dedizione di un'ape, quando succhia il nettare di un bel fiore. Ho conosciuto così questa poetessa, in un giorno di primavera in cui mi ha portato tra i campi seminati di poesia.
Il volume è una raccolta di 35 poesie, scritte in diversi anni, in cui il mito, gli astri e la vita reale si intrecciano in un'espressione sapiente che ne osserva le sfumature e tra di esse serpeggia, come Cassiopea nel firmamento. Nelle parole di Santalucia Scibona c'è spazio per i sentimenti più comuni, così come i meno ordinari: dalla malinconia alla rabbia, dalla tenerezza al disincanto, dal sogno alla coscienza dell'esilio, che in Exodus descrive "nei saldi petti degli esiliati/ vibrava la certezza di bastare/ a se stessi".
Nelle strofe de "I capricci della luna" (il componimento che dà nome alla raccolta) la Santalucia Scibona, come un argentiere ci porta nel suo cielo stellato di versi, dove modella poesie a volte celestiali, altre tristemente reali, ma sempre gentili e nobili. Uno sguardo alle stelle ed un altro alla terra, dove ci sono carezze e atrocità, come scrive in Armenia in cui "cataste di corpi martorialti/ sembra assente la sorda ribellione/ del luogo oggi sepolto;/ di coloro che nell'ora successiva/ poveri, randagi, alla deriva,/ come foglie divelte dall'albero."
Una poesia piena di vita, armonia e sentimenti, sintesi degli anni che ci accompagnano come suoni madrigali. Una penna raffinata ed elegante che appasiona e vuole difendere il mondo dall'incuria perché "signori miei è nostra colpa/ se la terra dovunque snaturata/ all'uomo si ribella".
I capricci della luna
Pigmalion
129 pagine