su "Voglio vivere una volta sola"
La famiglia di Violetta si direbbe una famiglia come le altre. È composta da due genitori, due figli e un cane; ha le sue incomprensioni, grandi gesti d’amore e il tempo che passa sicuro. Deve fare delle scelte, trasferirsi. Ama il mare. Ma la famiglia di Violetta non è esattamente come le altre: Violetta, infatti, non esiste, o meglio, non si vede. La vedono solo quelli che la amano, perché la desiderano.
In “Voglio vivere una volta sola” (Piemme 2014) Francesco Carofiglio decide di raccontare una storia apparentemente comune, da un punto di vista decisamente non comune: quello di una bambina che non c’è, ma che è più presente della presenza stessa.
Ci si muove quindi in una sorta di nuvola di cose che accadono, a volte non subito comprese perché viste con gli occhi inesperti di Violetta, permeate di malinconia e di fiducia incondizionata. Una fiducia che non riesce a crollare davvero del tutto, nemmeno di fronte a piccoli traumi, inaccettabili per l’innocenza di una bambina.
“Voglio vivere una volta sola” è un inno all’amore famigliare, ai posti sicuri dove si può sempre tornare e alla potenza del ricordo. A volte, come Violetta, si ha la sensazione di esistere veramente solo finché si “rimane nei pensieri, o nel cuore”.
“Non riusciva a perdonare se stessa. La felicità perfetta della sua giovinezza, il suo amore senza condizioni, l’intimità silenziosa che li aveva accompagnati per anni. Senza un’incrinatura, senza una voce stonata. Non riusciva a perdonare la bellezza del mondo, il loro mondo, perché era ormai chiusa in una scatola di vetro. Poteva vederla, non poteva più toccarla”.
Voglio vivere una volta sola
Piemme
192 pagine
8856638185