su "Le vergini suicide "
“La mattina che si uccise anche l’ultima figlia dei Lisbon (stavolta toccava a Mary: sonniferi, come Therese) i due infermieri del pronto soccorso entrarono in casa sapendo con esattezza dove si trovavano il cassetto dei coltelli, il forno a gas e la trave del seminterrato a cui si poteva annodare una corda. Scesero dall’ambulanza, con quella che come al solito ci sembrò una lentezza esasperante, e il più grasso disse sottovoce: “Mica siamo in tivù, gente: più presto di così non si può”. Stava spingendo a fatica le apparecchiature per la rianimazione accanto ai cespugli cresciuti a dismisura, sul prato incolto che tredici mesi prima, all’inizio di quella brutta storia, era perfettamente curato.”
Questo è l’incipit folgorante de “Le vergini suicide” di Eugenides, il romanzo racconta la storia di cinque sorelle accomunate da una sorte comune: il suicidio. La prima a suicidarsi è la sorella più piccola Cecilia, dopo questo avvenimento la famiglia si estranea da tutto e da tutti, e in una notte le restanti quattro sorelle daranno vita ad un suicidio collettivo. La vicenda viene narrata da una pluralità di voci, un gruppo di maschi adolescenti, che a distanza di venticinque anni dall’accaduto cerca di ricostruire cosa è successo. A dispetto della società, che inevitabilmente e tristemente dopo un determinato tempo si scorda dell’accaduto, questi ragazzi che hanno vissuto realmente con le sorelle Lisbon cercheranno dal di dentro di dare una spiegazione al suicidio, al gesto insensato, anche se a ciò poco c’è da dare spiegazione. Attraverso le attrattive giovanili, la curiosità, i turbamenti si assiste ad un coro che si innalza quasi divenendo un requiem di morte, che accompagnerà le ragazze verso l’unica e sola vera libertà.
Le vergini suicide
Mondadori
213 pagine
8804583614