su "Gli innamoramenti"
Meravigliosa prova 2011 di Javier Marías, che per un attimo sfiora il precipizio della banalità per poi fluttuare, placido e pacato, sul suo consueto piano dell’umano. Nelle prime pagine sembra infatti sfilare una serie di considerazioni alquanto prevedibili, ma che, nella loro estrema semplicità, si concatenano le une alle altre fino a diventare una storia sempre più torbida e intricata. Gli innamoramenti del titolo sono solo un pretesto, un sassolino di ambiguità che aziona meccanismi opposti di diffidenza e di resa, poiché “quel che è molto raro è provare debolezza, una vera debolezza per qualcuno, o che costui la produca in noi, che ci renda deboli: questa è la cosa determinante, che ci impedisca di essere oggettivi e ci disarmi in eterno e ci faccia arrendere in tutte le contese”. L’amore, di fatto, resta nello sfondo della narrazione, perché l’ombra aleggiante in primo piano è quella della morte: la perdita, l’assenza, l’adattamento. La protagonista di questo romanzo è una donna che si trova involontariamente in una storia a quattro: si innamora di uno che è innamorato di un’altra, la quale perde suo marito in circostanze tragiche, paragonabili ad “un cornicione che si stacca dalla strada”. Ad un tratto si insedia il sospetto che le circostanze non siano state, poi, così fortuite, e il romanzo assume quasi tinte gialle, nella ricerca della verità, continuamente provata e rimessa in discussione. Il risultato è che, forse, non è dato saperla mai.
“Quando la ragnatela ci intrappola fantastichiamo senza limite e insieme ci accontentiamo di qualunque briciola, di sentirle lui, di percepirne l’odore, di intravederlo, di sentirlo, del fatto che stia ancora dentro il nostro orizzonte e che non sia scomparso del tutto, che ancora non si veda in lontananza la polvere dei suoi passi che stanno fuggendo”.
Gli innamoramenti
Einaudi
306 pagine
8806210440